I giovani sono più colpiti dalle varianti del coronavirus?

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(Credits: PIRO4D via Pixabay)

I giovani non sembrano essere il target preferito delle nuove varianti di coronavirus. A precisarlo sono gli esperti dell’Istituto superiore di sanità (Iss), a seguito dell’allarme sui focolai scolastici nel Centro Italia. Per quanto se ne sappia ora, la variante identificata per la prima volta nel Regno Unito (B.1.1.7) si trasmette con più frequenza in tutte le fasce d’età, mentre per quella sudafricana (501.V2) e brasiliana (P.1) le informazioni sono ancora troppo poche.

Coronavirus e bambini

Dall’inizio della pandemia le fasce giovani della popolazione sono sempre state quelle in cui l’infezione da coronavirus ha dato meno problemi, con la stragrande maggioranza di casi asintomatici o manifestazioni lievi.

I motivi per cui bambini e adolescenti rispondano meglio all’attacco del virus non sono ancora chiari, ma ci sono diverse ipotesi basate sulle differenze biologiche rispetto agli adulti. Alcuni esperti, per esempio, ritengono che i bambini siano meno suscettibili a Sars-Cov-2 perché l’epitelio delle loro vie respiratorie potrebbe esprimere meno recettori Ace-2 (quelli che il virus usa per agganciarsi alle cellule e entrare) e soprattutto nel tratto superiore. Altri ipotizzano che il sistema immunitario dei più piccoli, ancora acerbo, sia più reattivo nei confronti di patogeni sconosciuti e riesca a stroncare sul nascere l’infezione locale del coronavirus.

In ogni caso anche i bambini si infettano e se (come sembra ormai dimostrato almeno per la variante inglese) le varianti di coronavirus sono più contagiose, non sorprende che i casi di Covid-19 aumentino anche in queste fasce d’età. “In termini di trasmissibilità la variante inglese manifesta un aumento per tutte le fasce di età, compresi i bambini”, chiarisce l’Iss. “Ci sono ancora molti studi in corso, ma al momento non sembra che la variante inglese abbia come target specifico i bambini, non li infetta in maniera particolare rispetto agli altri. Per quanto riguarda le altre varianti i dati non sono ancora sufficienti a formulare ipotesi”.

Per quanto riguarda una maggiore pericolosità delle nuove varianti, invece, l’Iss aggiunge: “Fino a questo momento le varianti più preoccupanti non sembrano causare sintomi più gravi in nessuna fascia di età. La malattia si presenta con le stesse caratteristiche e i sintomi sono gli stessi di tutte le altre varianti del virus”.


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Focolai nelle scuole

La precisazione si è resa necessaria dopo che si è diffusa la notizia che in diverse regioni del Centro Italia si sono sviluppati focolai di Covid-19 da nuove varianti, molti nelle scuole.

A monitorare l’andamento delle curve epidemiche è l’Associazione italiana di epidemiologia (Aie) che sta registrando l’incidenza della Covid-19 per classi di età nel nostro Paese. L’ultimo report (aggiornato al 31 gennaio e pubblicato il 9 febbraio) riferisce che fino al 24 gennaio vi era una “tendenza di aumento dell’incidenza nei bambini 0-5 e 6-10 anni, particolarmente evidente in alcune regioni e in modo difforme dall’andamento in tutte le altre fasce di età, inclusa la fascia delle persone con età maggiore di 84 anni, che registrano tassi di incidenza in calo” e aggiunge che “l’andamento dell’incidenza tra i bambini merita a livello delle singole regioni approfondimenti su focolai specifici, l’eventuale effetto di nuove attività di screening, la caratterizzazione dei ceppi virali circolanti, per identificare eventuali varianti”.

Particolarmente interessata è l’Umbria, soprattutto la provincia di Perugia, dove si registrano focolai della variante brasiliana e inglese. La situazione qui è in controtendenza rispetto al resto del paese, scrivono gli esperti dell’Aie, segnalando un aumento dell’incidenza di Covid-19 in tutte le fasce d’età e nell’ultima settimana analizzata specialmente nelle classi 6-10 e 11-13 anni.

Anche in Emilia Romagna “si conferma una tendenza all’aumento della classe di età 0-5 che richiede un approfondimento per essere meglio compreso”. Infatti, si precisa nel report, “una possibile spiegazione può essere l’attivazione in regione dell’offerta di test rapidi da eseguirsi nelle farmacie con la possibilità di ripetere il test gratuitamente ogni 15 giorni. Alla luce di queste considerazioni diventa importante un’analisi del numero di tamponi eseguiti“.

Via: Wired.it

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