Il bluff delle emissioni

Tempo di esami in inquinamento ambientale per oltre 9.400 industrie europee. Per la prima volta dall’entrata in vigore dell’Emission Trading Scheme, il piano di compravendita delle emissioni di anidride carbonica adottato all’inizio del 2005 per raggiungere gli obiettivi del Protocollo di Kyoto, la Commissione europea pubblica i dati sulle quote di CO2 prodotte dai 21 paesi membri (in realtà mancano all’appello Cipro, Lussemburgo, Malta e Polonia ma il loro contributo è minimo nel quadro globale). Il tetto massimo stabilito per le emissioni di gas serra lo scorso anno era pari a 1.829 milioni di tonnellate. Complessivamente le imprese che partecipano al sistema di compravendita ne hanno rilasciate nell’aria 1.785 milioni. Risultato della sottrazione: 44 milioni di tonnellate di anidride carbonica in meno rispetto a quanto concesso. Tutti promossi quindi? Non proprio. Più che a una conversione ecologista degli impianti europei, infatti, il surplus di CO2 si spiega con la generosità delle quote assegnate dai singoli stati. “Per evitare oneri alle aziende, molti paesi hanno fissato obiettivi spropositatamente elevati. È stato un regalo alle industrie”, è il secco commento di Domenico Gaudioso dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e dei servizi tecnici (Apat) incaricata della gestione del registro nazionale delle quote per l’Italia. Il sistema della “borsa delle emissioni” dovrebbe funzionare come un incentivo per le imprese a investire in energia pulita. Spingerle a ridurre il consumo di carbone a favore di fonti rinnovabili, a vantaggio dell’ambiente e nell’ottica di raggiungere entro il 2012 gli obiettivi fissati da Kyoto. “Ogni anno”, spiega Gaudioso, “ciascun governo stabilisce per le proprie aziende la quantità massima di CO2 a cui hanno diritto. Al momento della verifica annuale, le aziende che hanno superato questa soglia devono acquistare le quote in più di CO2 al prezzo di mercato. Le aziende che hanno emesso meno posso tenersi le quote come bonus per l’anno successivo, o venderle in borsa”. In altre parole, viene premiato chi fa interventi di riduzione dell’energia fossile e punito chi inquina troppo. Ed è proprio per evitare di penalizzare economicamente le imprese nazionali che molti stati avrebbero alzato oltremisura le quote di CO2 utilizzabili, con il consenso della Commissione.Con questa premessa fanno un po’ meno bella figura i primi in classifica nel rapporto della Commissione europea: Germania e Francia, che hanno risparmiato rispettivamente 21 e 19 milioni di tonnellate. Bene, si fa per dire, si piazzano anche Finlandia, Lituania e Repubblica Ceca. Bocciate invece Gran Bretagna e Spagna, che superano i limiti concessi di 33, l’una, e di 19 milioni di tonnellate, l’altra. Maglia nera all’Italia. Stavolta, con attenuante. Il nostro paese ha sforato a 215,4 milioni di CO2 contro i 207 concessi. Record negativo anche per il numero di installazioni non in regola: 647 su un totale di 943 impianti. Tuttavia si tratterebbe solo di problemi tecnici, a causa dei quali l’Italia ha chiesto alla Commissione Ue due mesi di tempo per mettersi in regola. “Il Piano di allocazione nazionale che definisce le quote è stato ultimato solo qualche mese fa, dopo una vicenda lunghissima e penosa”, aggiunge Gaudioso. Le assegnazioni troppo elevate di CO2 non solo gettano un’ombra di ridicolo sulle misure per contrastare l’inquinamento climatico, ma rischiano di far collassare l’intero sistema di Emission Trading. Il disavanzo di 44 milioni di anidride carbonica ha fatto crollare il prezzo alla tonnellata del 60 per cento. Sin dalle prime indiscrezioni ufficiose trapelate prima del rapporto ufficiale della Commissione Europea, il valore di una tonnellata di CO2 in borsa era sceso da 25 euro a 10 euro. È una regola elementare dell’economia: se l’offerta cresce, il prezzo cala. Le imprese, quindi, potrebbero non essere più così interessate a investire in energia pulita, se per rimediare, a giochi fatti, bastano pochi euro. “Se le allocazioni fossero state troppo restrittive si sarebbe verificato il contrario, i prezzi sarebbero aumentati. Serve misura. L’esperienza di questa prima fase non è stata brillante. Che sia da lezione per il futuro”. Un monito che la Commissione dovrà tener presente ora che si accinge a definire il prossimo piano per il quadriennio 2008-2012. Per non mandare tutto in fumo. Compreso il protocollo di Kyoto.

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