Il caso Iran

Nei dieci anni trascorsi dall’estensione illimitata del Trattato di Non Proliferazione (TNP) nel 1995 si sono susseguiti molti avvenimenti che hanno messo in discussione gli equilibri raggiunti con quel compromesso (1): terrorismo internazionale, guerre, mercato nero nucleare, occultamenti di attività proibite e Stati che abbandonano il TNP. Anche i recenti interventi militari, come quello in Iraq, benché motivati proprio da timori – veri o pretestuosi – relativi alla diffusione di armi di distruzione di massa (ADM), sembrano aver prodotto risultati quanto meno vari: basti pensare ai casi della Libia, della Corea del Nord e dell’Iran.

Bisogna, anche, registrare l’affermarsi esplicito di un nuovo atteggiamento USA nei confronti della proliferazione (2), secondo il quale il Trattato non può essere applicato in maniera indiscriminata: ci sarebbero cioè Stati che hanno e Stati che non hanno (i cosiddetti “Stati canaglia”) diritto di accedere alle tecnologie nucleari civili, a causa del possibile impiego militare di questa tecnologia. Una concezione, questa, in contrasto con l’idea che un regime internazionale giusto – nel senso di un regime non abbandonato all’arbitrio dei più forti – non possa che essere basato su un complesso di regole accettate e applicate in maniera uniforme da tutti. Ma l’attuale amministrazione USA, fresca della sua riconferma per un secondo mandato, non sembra disponibile a dare ascolto a questo tipo di argomentazioni: a due anni dal suo inizio l’intervento militare in Iraq non è ancora concluso e già si parla di un altro intervento in Iran. Anche questa volta la crisi nasce da un problema di proliferazione di ADM ma, questa volta, ha le sue radici nella lunga e ricambiata ostilità degli USA verso il regime di Tehran e nella paura di quest’ultimo per la politica americana di abbattimento militare dei regimi sgraditi.

Il 14 agosto 2002, durante una conferenza stampa a Washington D.C., il National Council of Resistance of Iran rivelò i nomi di due siti nucleari iraniani segreti (3), Natanz e Arak, in grado di produrre costituenti di armi nucleari (in un caso si ottiene uranio arricchito, nell’altro si separa plutonio dal combustibile esaurito), attività queste che comunque potrebbero rientrare in un programma civile per la produzione di combustibile nucleare. Qualche mese dopo, 13 dicembre 2002, il Dipartimento di Stato americano annunciò di aver raggiunto la conclusione che l’Iran stesse cercando di dotarsi di armi nucleari. Queste affermazioni furono seguite pochi giorni dopo, il 16 e il 18 dicembre 2002, da quelle del ministro degli esteri iraniano Kharrazi e del Presidente Khatami che ribadirono chiaramente che il programma iraniano era solo civile.

Alcuni mesi dopo, il 6 giugno 2003, il Direttore Generale dell’IAEA Mohammed El Baradei stilò un rapporto piuttosto critico nei confronti della segretezza mantenuta dall’Iran circa le sue installazioni e, quindi, il 26 novembre 2003, l’Agenzia adottò una risoluzione in cui si chiedeva il pieno rispetto degli accordi di salvaguardia. L’amministrazione USA avrebbe però voluto che il Board of Governors dell’IAEA riportasse immediatamente il caso al Consiglio di sicurezza dell’ONU per discutere possibili sanzioni punitive, ma alcuni paesi europei (in particolare Francia, Germania e Inghilterra, d’ora in poi indicati come gruppo EU3) si opposero sperando di poter risolvere il caso con una trattativa. Il quadro della crisi – che ha preso forma in un periodo animato dalle polemiche sulle ADM sollevate prima e dopo l’intervento militare in Iraq del marzo 2003 – vede, da un lato, gli Stati Uniti e i paesi occidentali che, sia pur con atteggiamenti differenziati, temono che le attività nucleari iraniane, formalmente permesse dal TNP, nascondano un programma militare, dall’altro, il governo iraniano che sostiene si tratti di attività puramente civili e non intende rinunciare al diritto di esercitarle. Così, alle domande americane circa la necessità di un piano nucleare civile per un paese ricco di petrolio, il governo di Tehran ha risposto che nuove fonti di energia permettono di liberare per l’esportazione molte risorse petrolifere. Il problema sta nel fatto che la differenza fra l’arricchimento dell’uranio per scopi civili (meno del 20 per cento di U235) e quello per scopi militari (più del 90% per cento di U235) è solo quantitativa mentre le tecnologie necessarie nei due casi sono identiche.

 Da parte iraniana si denuncia però, che il metro di valutazione non è sempre lo stesso: il possesso di armi nucleari viene assolutamente negato ai paesi i cui regimi gli USA e i suoi alleati considerano ostili (per esempio, quelli dell’ “asse del Male”: Iraq, Iran e Corea del Nord) mentre è tacitamente consentito agli altri paesi (per esempio Israele, Pakistan e India, che non sono firmatari del TNP). Tutto questo si inquadra infine nella attuale propensione USA – esplicita dopo gli attentati del settembre 2001 – alla semplice eliminazione militare dei regimi sgraditi. In effetti, il programma nucleare iraniano risale all’epoca in cui il paese era uno dei principali alleati degli USA in Medio Oriente (4), cioè a prima della rivoluzione che nel 1979 che portò al potere gli ayatollah. Ai tempi dello Shah l’Iran, che nel 1970 ratificò il TNP, prevedeva di costruire venti centrali, ma il piano dovette procedere a rilento visto che i due reattori di Bushehr erano ancora incompleti quando furono bombardati dall’Iraq durante la guerra con l’Iran (1980-88).

Il programma, per come è noto oggi, prevede un ciclo completo del combustibile (miniere di uranio di Saghand; produzione di yellowcake in Ardekan; conversione dell’uranio in UF6, uranio metallico e ossidi a Isphahan; arricchimento a Natanz; ritrattamento e separazione del plutonio ad Arak) ed è stato disperso in diversi siti per ragioni di sicurezza. Sebbene le ispezioni che l’IAEA ha potuto compiere dal 1992 non abbiano rilevato nessuna violazione prima del 2003, oggi è noto che il programma nucleare iraniano ha subito una notevole accelerazione a partire dal 1987, anno nel quale è iniziata una collaborazione clandestina con Abdul Q. Khan, il padre della bomba pakistana, il quale ha fornito piani e centrifughe per l’arricchimento. Le preoccupazioni USA sono aumentate dal fatto che l’Iran possiede (o sta sviluppando) anche dei missili capaci di portare testate a grande distanza.

I missili iraniani (5) Shahab-3, derivati dai nordcoreani Nodong-1, hanno una gittata di 1550-1620 chilometri con un carico di 500-650 chili, e sembra che si stia lavorando a uno Shahab-4 con una gittata di 2000 chilometri. Gli americani e gli europei, convinti del fatto che l’Iran sia ormai determinato a costruire la bomba, vorrebbero che esso rinunciasse al diritto di sviluppare il ciclo completo di produzione del combustibile nucleare. A questo scopo, i paesi dell’EU3 hanno offerto in cambio un patto commerciale e limitate tecnologie nucleari. Il 14 novembre 2004, a seguito di contatti con EU3 l’Iran ha notificato all’IAEA la sospensione di tutte le attività di arricchimento per la durata dei susseguenti negoziati (6). La sospensione, controllata dall’IAEA, di attività permesse dal TNP è stata richiesta per fornire delle rassicurazioni sul possibile sviluppo di armi nucleari. E finché la sospensione dura i paesi dell’EU3 hanno promesso di negoziare – la trattativa è iniziata il 20 dicembre scorso – un accordo di lungo termine che includa garanzie sul carattere pacifico del programma iraniano, garanzie di cooperazione nucleare tecnologica ed economica con l’Iran e fermi impegni internazionali sulla sicurezza reciproca.

Il 21 ottobre del 2003 le stesse parti avevano già firmato un accordo simile che, pur consentendo alla IAEA di svolgere molta attività, grazie ad alcune ambiguità poi rimosse nel nuovo testo, non ha comunque impedito all’Iran di fare progressi nel ciclo del combustibile. ? opinione comune però che una conclusione positiva di queste trattative richieda consistenti incentivi perché la cessazione definitiva delle attività di arricchimento va al di là di quanto richiesto dagli obblighi del TNP. L’Iran chiede, infatti, che sia rispettato il suo diritto a produrre combustibile nucleare, e sarà difficile stabilire delle garanzie credibili sulla natura pacifica del programma. Cina e Russia si sono a loro volta mostrate contrarie a un immediato deferimento dell’Iran al Consiglio di sicurezza dell’ONU per violazioni del TNP (la Cina è interessata al gas e al petrolio iraniano mentre la Russia alla vendita di tecnologie nucleari e di armi).

Il 15 novembre 2004 il direttore generale dell’IAEA ha stilato un rapporto nel quale sostiene che, al momento, non c’è ragione di riportare il caso al Consiglio di sicurezza visto che la situazione, definita preoccupante prima dell’ottobre 2003, è migliorata (7). In effetti, la IAEA non può chiedere all’Iran di rinunciare a sviluppare un ciclo di produzione del combustibile al quale ha diritto in base al TNP; inoltre, l’accordo del 2003 era stato sottoscritto dai paesi dell’EU3 e non dalla IAEA, dunque, la sua violazione non implica quella delle norme di salvaguardia. Gli accordi del novembre 2004 fra Iran e EU3 sono però diversamente percepiti dalle parti: i paesi europei li vedono come uno strumento per arrestare definitivamente le attività nucleari (forse illecite) dell’Iran; l’Iran li considera un passo verso una lecita acquisizione di un ciclo del combustibile per usi civili. L’EU3 ha offerto di facilitare l’ingresso dell’Iran nel WTO (World Trade Organization), di fornire reattori ad acqua leggera con combustibile prodotto all’estero e di iscrivere nella lista delle organizzazioni terroristiche i Mujahideen del Popolo, un gruppo oppositore del regime iraniano di base in Iraq.

Ma molte concessioni, come l’accesso dell’Iran al WTO e i compromessi sui Mujahideen del Popolo, o vere garanzie sulla sicurezza dipendono principalmente dagli USA. Questi, però, al momento mostrano di preferire un cambio di regime in Iran e, così facendo, svuotano di significato proprio l’iniziativa negoziale dell’EU3. La recente storia dei rapporti tra USA e Iran è complessa. Nel suo primo mandato il presidente Clinton cercò di isolare in tutti i modi l’Iran. Nel luglio 1996 fu approvato l’Iran-Libya Sanction Act, poi rinnovato per altri cinque anni nel luglio 2001, e nel 2003 furono estese alcune sanzioni economiche già imposte nel 1995. Nel 1997 l’elezione presidenziale del moderato Khatami aprì speranze di dialogo ma alla fine del 2000 l’ala dura del governo iraniano fu di nuovo dominante. Vero è che, dopo gli attentati del 2001, l’Iran contribuì alla caduta dei Talebani, ma all’inizio del 2002 Israele intercettò un carico di armi ritenute provenienti dall’Iran e destinate all’Autorità Palestinese in violazione degli accordi fra israeliani e palestinesi. Poche settimane dopo Bush incluse incluso l’Iran nell’ “asse del Male”.

Da allora l’atteggiamento USA è stato meno chiaro: da un lato l’amministrazione Bush non considera quello iraniano un regime legittimo, dall’altro cerca la sua preziosa cooperazione per stabilizzare l’Iraq. Data l’ambiguità statunitense, gli iraniani incoraggiano i loro alleati sciiti in Iraq a collaborare ma, secondo informazioni di fonte americana e britannica, usano anche denaro e armi per aiutare gruppi della resistenza. Nessuno dubita, insomma, della capacità dell’Iran di creare più caos in Iraq in rappresaglia per una eventuale incursione militare sulle sue installazioni nucleari, e questo rende tutti più prudenti. Interessante e istruttiva, è poi la scoperta che il principale fornitore di tecnologia nucleare all’Iran – e non solo – sia stato Abdul Q. Khan, cioè il protagonista del programma di costruzione di armi nucleari in Pakistan (8). Nel 1987, in un incontro segreto a Dubai, Khan presentò per iscritto all’Iran una “proposta di acquisto” di quanto necessario per un programma di armi nucleari.

L’Iran, che all’epoca era in guerra con l’Iraq, acquistò i progetti delle centrifughe e degli elementi di partenza del programma ma sostiene di non aver mai acquisito il necessario per costruire una bomba. Sembra, invece, che l’offerta scritta sia poi servita come guida per comperare altrove (Cina, Russia, UE) altro materiale più a buon mercato. Questa offerta è a tutt’oggi l’indicazione più chiara dell’interesse iraniano per un programma di armi nucleari ma, ovviamente, non basta a provarne l’esistenza: molta dell’attrezzatura dell’Iran ha scopi civili, e l’IAEA non ha trovato nessuna traccia concreta di un programma di armi nucleari. L’unica violazione accertata consiste nel non aver dichiarato il programma di arricchimento. Ma la ricostruzione dei fatti relativi alla rete clandestina di Khan resta, a distanza di tempo, piuttosto difficile. Per il momento, l’Agenzia ha sollevato solo problemi di minore importanza (9) relativi agli accordi siglati con EU3 ma l’impressione è che l’Iran svolga queste attività più che altro per non cedere sul suo diritto ad avere un programma nucleare civile, per conservare rapporti commerciali già avviati e per non licenziare un gran numero di tecnici e operai. Un altro recente sviluppo è l’accordo siglato con i russi (10): la Russia, che ha collaborato per la costruzione di Bushehr, fornirà anche il combustibile necessario per il suo funzionamento ma, per evitare l’estrazione di plutonio, ha richiesto e ottenuto che il combustibile esaurito sia restituito. In una conferenza a Teheran su “Tecnologia nucleare e sviluppo sostenibile” (5-6 marzo, 2005) le posizioni ufficiali sono state riaffermate (11): L’Iran ha dichiarato che non accetterà mai una sospensione permanente del programma di arricchimento dell’uranio. Inoltre, ha avvertito che eventuali sanzioni internazionali renderebbero più instabile il Medio Oriente, minacciando anche di interrompere i negoziati con l’EU3 se questi non dovessero fare progressi o se dovessero prevalere le pressioni americane per una linea più dura.

In particolare, Hashemi Rafsanjani (presidente dal 1989 al 1997) ha dichiarato che l’Iran ha tenuto segreto il programma nucleare a causa delle sanzioni USA e delle restrizioni dell’UE che impedivano l’accesso alla tecnologia nucleare. Alla medesima conferenza gli iraniani hanno anche confermato che l’impianto di arricchimento di Natanz è sotterraneo per proteggerlo da incursioni aeree e che non serve a produrre armi nucleari. In maggio 2005 la situazione era ancora piuttosto confusa: il 28 aprile, alla vigilia della ripresa dei negoziati con il gruppo EU3. il ministro degli esteri Kamal Kharrazi ha dichiarato che l’attività di arricchimento sarebbe ripresa se i negoziati non avessero fatto progressi. il 15 maggio successivo il Parlamento iraniano ha appoggiato questa posizione, anche se il negoziatore Rowhani ha annunciato che l’Iran non avrebbe messo in atto immediatamente le sue minacce, ammonendo comunque che i negoziati non possono durare troppo a lungo senza che vengano riprese alcune attivitàrelative ai combustibili.

I paesi EU3 hanno allora fatto presente che in questo caso essi avrebbero interrotto i negoziati e riportato la questione al CS dell’ONU per eventuali sanzioni: in conseguenza di questo, il ministro degli esteri ha infine dichiarato che il suo paese intende dare agli EU3 un’ultima occasione per raggiungere un compromesso.Anche se con un linguaggio per ora cauto, gli USA hanno fatto capire che un intervento militare non è affatto escluso. Negli ultimi anni le amministrazioni americane si sono limitate a imporre sanzioni all’Iran ma oggi c’è chi vorrebbe rompere gli indugi e puntare direttamente a una politica di cambiamento di regime. Queste intenzioni minacciose degli USA sono state messe in evidenza da un ben noto articolo apparso sul New Yorker nel gennaio 2005 che ha sollevato molte polemiche (12).

Insomma, mentre la IAEA continua le sue ispezioni, la Russia collabora alla costruzione Bushehr e il gruppo EU3 persegue la sua trattativa, ci sono indicazioni del fatto che l’amministrazione USA desidera arrivare a una soluzione drastica del problema e, secondo l’articolo citato, avrebbe già cominciato i preparativi concreti per farlo. Alcuni osservatori mettono, però, in guardia contro i rischi di un’altra avventura militare, con l’Iraq non ancora chiuso e in presenza di una opposizione democratica e pacifica da sostenere in Iran. Le eventuali opzioni militari proponibili sono poche, visto che una vera e propria invasione oggi non sembra pensabile: dopo l’Afghanistan e l’Iraq, gli USA non possono permettersi una avventura del genere. Una possibilità è quella di bombardamenti aerei, più simili per la loro estensione all’operazione Desert Storm che all’attacco israeliano che distrusse il reattore irakeno di Osiraq; gli obiettivi possibili sono una diecina e tra essi Bushehr, Natanz e Arak (13). Anche Israele sta valutando la possibilità di un intervento per il quale potrebbe impiegare bombardieri in grado di colpire obiettivi a più di 2.000 chilometri (Bushehr e Isphahan sono a circa 1.500 chilometri) e i piani, rivelati da Der Spiegel nell’ottobre del 2004, prevedono un attacco simultaneo su sei siti. Il 18 luglio 2004 il Sunday Times riveò che Israele aveva completato le preparazioni per un attacco su Bushehr, e il 21 settembre successivo Haaretz riferì che gli Usa avrebbero venduto a Israele armi per 319 milioni di dollari, in particolare 500 bombe BLU-109 per la distruzione di bunker sotterranei.

 Per questo motivo, e per il fatto che un attacco israeliano richiederebbe anche i permessi americani per attraversare lo spazio aereo irakeno. Le operazioni militari di Israele e USA non sono considerate come realmente separate e gli iraniani hanno minacciato rappresaglie anche su Dimona.Le installazioni iraniane sono vulnerabili a un attacco convenzionale di questo tipo, anche se l’Iran ha delle capacità di difesa antiaerea, e anche se sono prevedibili possibili rappresaglie missilistiche in tutto il Golfo Persico. Incertezze restano, però, sulla completezza delle informazioni che si hanno sul programma iraniano: nei casi conosciuti (Cina, Corea del Nord, Pakistan) le installazioni sono state dislocate in vari modi. Si suppone che l’Iran possieda un complesso simile a quello pakistano con installazioni difese contro gli attacchi, ma non si può neanche escludere che alcune delle installazioni visibili siano piuttosto delle esche mentre quelle più importanti potrebbero essere ancora nascoste e, quindi, sfuggire alle incursioni.

Analisi recenti sottolineano questa mancanza di informazioni adeguate, anche se, secondo l’opinione più diffusa, una struttura parallela sotterranea semplicemente non esisterebbe. Un altro problema è dato dal fatto le installazioni dovrebbero essere distrutte prima che divengano operative, per evitare danni ambientali inaccettabili anche per l’opinione pubblica occidentale. Se le attività riprendessero, si ritiene che Isphahan (conversione dell’uranio) e Arak (reattore ad acqua pesante) potrebbero essere funzionanti nel giro di un anno; il combustibile per Bushehr dovrebbe arrivare nel 2005 e il reattore sarà operativo qualche mese dopo; infine l’arricchimento dell’uranio a Natanz è previsto per il 2006 e la produzione di plutonio ad Arak per il 2010. D’altra parte, anche come conseguenza degli interventi in Afghanistan e in Iraq, gli USA hanno oggi molti aerei nelle vicinanze. Le informazioni sui numeri non sono molte ma sembra che non ci siano Stealth e AWACs, il che potrebbe far supporre che non si stia prendendo in considerazione un attacco, almeno nell’immediato futuro. Niente vieta, però, di pensare che si stia pianificando una sorpresa con bombardieri pesanti che arrivano direttamente dagli USA; inoltre, nel Golfo c’è sempre un gruppo di portaerei dotate anche di missili Tomahawk. In alternativa all’opzione militare alcuni analisti (14). ritengono che bisognerebbe puntare sulle divisioni nella dirigenza iraniana fra conservatori – reazionari e ideologi, fautori di una linea dura che privilegia la sicurezza – e progressisti – pragmatici e realisti, interessati a un miglioramento economico che ritengono essenziale per conservare il potere.

L’idea è che offrendo forti incentivi per il rispetto degli accordi, e punizioni severe per la loro violazione, si rinforzerebbe il campo pragmatico che preferisce scegliere il burro invece dei cannoni. I reazionari controllano il sistema giudiziario, il Consiglio dei Guardiani, le Guardie Rivoluzionarie e altre importanti istituzioni; essi ritengono che l’isolamento internazionale sia un prezzo da pagare per l’affermazione della rivoluzione. I pragmatici (come Rafsanjani) garantiscono invece che l’Iran resti un attore importante sul mercato dell’energia e, di conseguenza, hanno atteggiamenti cauti nei confronti degli USA. Anche sull’Iraq le posizioni sono divise: i reazionari vogliono esportare la rivoluzione in Iraq; i pragmatici temono che istigare una crisi in Iraq possa coinvolgere anche l’Iran, e consigliano agli sciiti irakeni di collaborare con gli USA. Spesso si elencano i motivi per cui il regime iraniano risulta inaccettabile per gli USA: supporto al terrorismo, opposizione alla pace fra arabi e israeliani, ambizioni nucleari e disprezzo dei diritti umani.

Più raramente, invece, si esaminano i possibili motivi del risentimento iraniano verso gli USA: da quelli storici (l’eliminazione di Mossadeq e l’appoggio al regime dello Shah), a quelli più recenti come l’appoggio alla repressione israeliana nei Territori Occupati, l’accettazione del nucleare israeliano, l’uccisioni di civili irakeni e il disprezzo dei diritti umani in Iraq (come nel caso dei prigionieri ad Abu Ghraib). I motivi principali dell’atteggiamento iraniano restano, però, non la storia o i diritti umani ma gli sforzi USA per determinare il futuro del Medio Oriente e la minaccia che questa strategia pone al loro regime. D’altra parte, è anche vero che in questo momento l’Iran prende poche iniziative: reagisce piuttosto agli stimoli esterni ed è sulla difensiva sia all’interno – dove deve controllare un popolazione disillusa – che all’esterno – dove deve far fronte alla nuova aggressività USA che ormai ha basi militari in Iraq, Afghanistan, Kyrgyzstan e Uzbekistan.

Per questo i dirigenti iraniani temono un periodo di difficoltà economiche e di disoccupazione. Molti ritengono, pertanto, che, sebbene l’opinione pubblica iraniana sia favorevole alle armi nucleari (dopotutto Israele, Pakistan e India le hanno), la separazione fra la gente e il regime sia divenuta grande, sicché il dibattito su questo tipo di affari riflette piuttosto la retorica di gruppi di potere in competizione mentre per la gente comune è, ovviamente, più importante il prezzo del pane. In effetti le armi nucleari sono viste da ambedue i campi come una garanzia: dopotutto gli USA hanno invaso l’Iraq, ma non la Corea del Nord. Ma gli ideologi spingerebbero per un programma completo che sfidi l’opinione internazionale, mentre i realisti privilegiano la prudenza. In realtà gli ideologi vedono come inevitabile un conflitto con gli USA e come garanzia di sopravvivenza il possesso di armi nucleari che rappresentano anche un fattore di orgoglio nazionale da utilizzare in politica interna. Viceversa i realisti temono che le provocazioni possano ulteriormente isolare il regime teocratico esponendolo a sanzioni economiche che il paese non può permettersi.

L’economia iraniana è inefficiente e corrotta: una riforma sarebbe necessaria e possibile, ma richiederebbe misure impopolari; l’ammodernamento delle infrastrutture petrolifere richiederebbe poi un massiccio influsso di capitali stranieri. I pragmatici sono insomma più inclini a barattare le ambizioni nucleari in cambio di concessioni economiche, un po’ come ha fatto la Corea del Nord negli anni passati. Autorevoli commentatori (15) ritengono quindi che l’Iran sia oggi vulnerabile alle sanzioni economiche, e che lo scopo del suo governo è piuttosto l’autoconservazione. Essi ritengono che EU, Russia e USA dovrebbero offrire congiuntamente significativi benefici per la sicurezza e l’economia a fronte di un impegno a cessare tutte le attività correlate a capacità nucleari militari (reattori di ricerca ad acqua pesante e arricchimento dell’uranio).

Secondo questi analisti la coalizione dovrebbe segnalare anche che un rifiuto dell’accordo sarebbe interpretato come una dichiarazione di interesse per le armi nucleari, e che a questo punto il CS sarebbe autorizzato ad imporre punizioni significative. Un simile scambio, peraltro, avrebbe il vantaggio di offrire qualcosa a tutti: gli USA ridurrebbero il rischio di azioni iraniane contro i suoi interessi; l’UE accrescerebbe la sicurezza per il commercio e per le forniture di energia; la Russia potrebbe migliorare la cooperazione nucleare con gli USA; l’Iran aumenterebbe la sua sicurezza e il suo commercio; e infine tutti eviterebbero una proliferazione a cascata in Medio Oriente. Lo stato del regime di non proliferazione regolato dal TNP è, dunque, piuttosto precario e la fiducia nella capacità delle tradizionali salvaguardie di prevenire l’acquisizione di armi nucleari (in particolare della capacità di produrre il materiale fissile) diminuisce. In realtà, è opinione diffusa che se un paese volesse potrebbe trovare modo di dotarsi di un programma segreto di riarmo nucleare, con l’eventuale opzione finale di uscire dall’TNP al momento giusto.

Per impedire che l’Iran o altri paesi si dotino di armi nucleari bisogna allora piuttosto chiedersi quali motivi li spingano su questa strada (16). Invece, almeno fino a oggi, gli USA hanno evitato di porsi questi interrogativi e si sono limitati a discutere o dei mezzi tecnici per impedire la proliferazione o dei mezzi militari per distruggere le installazioni e abbattere i regimi sgraditi. Il contesto politico e le richieste relative alla sicurezza sono un elemento essenziale per definire una strategia: dopotutto altri paesi, come la Libia, hanno rinunciato ai loro programmi nucleari. Viceversa l’Iran – che preoccupa altri paesi per i suoi comportamenti, per esempio per l’appoggio agli Hezbollah libanesi – è un paese che si sente minacciato: gli USA sono ostili al suo regime, appoggiano i suoi oppositori all’estero e gradirebbero abbattere il suo governo. Il ruolo delle armi nucleari per l’Iran sembra dunque essere quello classico di deterrente contro attacchi convenzionali di potenze non nucleari regionali, attacchi di potenze nucleari regionali (Pakistan e India), attacchi di Israele o infine attacchi di una grande potenza esterna (USA e forse Russia).

Questo non significa che bisogna quindi rassegnarsi ad accettare un Iran nucleare; piuttosto vuol dire che sarebbe utile innanzitutto mitigare le sue preoccupazioni. A partire dalla rivoluzione, infatti, gli USA hanno seguito una politica ostile nei confronti dell’Iran. Ad esempio durante la guerra Iran-Iraq hanno appoggiato l’Iraq che ne ha anche concluso (giustamente) di poter usare impunemente armi chimiche e (erroneamente) di poter invadere il Kuwait. Insomma, se è vero che le ambizioni nucleari sono in genere motivate da una ricerca di prestigio politico, o da un supposto potere deterrente delle armi nucleari, è anche vero che lo stesso scopo potrebbe essere raggiunto dagli iraniani se le minacce fossero rimosse. Un’offerta dovrebbe allora prevedere delle rassicurazioni sulla sicurezza e lo sviluppo di una struttura politica regionale che includa tutti. USA e occidentali dovrebbero mostrare di essere sensibili alle legittime preoccupazioni dell’Iran sulla sua sicurezza, e dovrebbero offrire una riammissione nella comunità internazionale, relazioni pacifiche con tutti i paesi occidentali e la fine delle sanzioni economiche.

L’Iran dal canto suo dovrebbe rassicurare sulle sue intenzioni pacifiche riguardanti nucleare, terrorismo, processo di pace arabo-israeliana, Iraq e Afghanistan. Il caso iraniano potrebbe allora diventare un modello per una più generale strategia di non proliferazione che incorpori una analisi dei motivi che spingono i paesi a ricercare il nucleare (o altre ADM), e dia risposte a queste preoccupazioni. L’alternativa – costosa e impopolare – sarebbe, per gli USA e gli occidentali, quella di restare gli unici garanti della sicurezza.Nelle ultime settimane gli USA sembrano aver parzialmente modificato la loro tattica anche se non è certo che abbiano modificato le loro intenzioni (17). Almeno nel breve periodo l’attuale Amministrazione USA sembra interessata a tentare un impegno, anche indiretto, nella trattativa fra Iran e EU3 e ha deciso di offrire alcuni incentivi economici. Queste novità hanno anche un ruolo nel sanare le divisioni con UE: i paesi dell’EU3 infatti ritengono che l’Iran non accetterà un accordo se gli USA, che hanno già molti soldati ai suoi confini, ne resteranno fuori.

D’altra parte in questo modo, se i negoziati dovessero fallire, gli USA non apparirebbero come suoi evidenti sabotatori, e sarebbe quindi più facile essere uniti successivamente nel chiedere sanzioni al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.Possiamo ritenere che gli USA stiano mostrando interesse almeno per un grande baratto di questo tipo? Il Segretario di Stato ha recentemente annunciato che l’Amministrazione rinuncerà alle sue obiezioni a un possibile ingresso dell’Iran nel WTO e consentirà alcune vendite di pezzi di ricambio di aerei civili esaminando i casi uno alla volta (18). Sembra inoltre che gli europei si siano dichiarati d’accordo per andare al Consiglio di Sicurezza se i negoziati dovessero fallire. Le concessioni prospettate non sono però molto significative – come hanno confermato le prime reazioni iraniane (19)- e nella migliore delle ipotesi sono per l’Iran solo un segnale di disponibilità. Gli USA d’altra parte non hanno modificato la loro valutazione sul governo iraniano e le loro opzioni sono rimaste intatte: essi infatti restano liberi per ora di valutare se lo scambio con l’Iran deve essere fatto e in che termini.

E restano anche minacciosamente orientati verso un cambio di regime, con il vantaggio di essere riusciti a legare la loro offerta di incentivi economici ad una esplicita disponibilità dell’UE a partecipare alla punizione se la diplomazia dovesse fallire. La limitata offerta americana appare quindi piuttosto come un mezzo per obbligare l’Iran a rendere chiare le sue intenzioni e per garantire che a quel punto gli europei siano impegnati a riportare il caso in Consiglio di Sicurezza assieme agli USA per una discussione sulle sanzioni. Fermo restando che l’attuale regime di non proliferazione presenta molti limiti – e non solo quelli evidenziati dalla discussione di questo articolo – non è accettabile che il TNP sia applicato in maniera selettiva. Una sua pur auspicabile modifica non può che passare attraverso la ricerca negoziata di un nuovo compromesso che sia poi applicato in maniera uniforme. Nel frattempo i rischi di proliferazione e di aggiramento delle sue salvaguardie devono quindi essere affrontati con mezzi politici rimuovendo i motivi per i quali uno Stato come l’Iran desidera dotarsi di armi nucleari. D’altra parte qualunque sforzo per risolvere il problema potrebbe essere vano se l’Iran e gli altri Stati interessati alle armi nucleari percepissero chiara la sensazione che si usano misure diverse per i vari casi.

Per esempio l’insistenza con cui gli USA vogliono che l’IAEA dichiari che l’Iran viola i suoi obblighi del TNP ha posto ancora una volta in evidenza il problema dell’arsenale nucleare israeliano (20). Questo è raramente menzionato perché gli USA non percepiscono Israele come una minaccia; gli altri paesi del Medio Oriente, però, sì. In realtà anche Israele sarebbe più sicuro in una regione senza armi nucleari, e negli anni Novanta la cosa è stata discussa, anche se poi è stata abbandonata dopo il collasso del processo di pace israelo-palestinese. Attualmente Israele ha problemi di sicurezza interna per i quali le armi nucleari sono inutili, mentre gode di una notevole sicurezza esterna di un livello mai visto negli anni recenti: il regime Baathista eliminato in Iraq, la Siria prossima a ritirarsi dal Libano, i Talebani fuori dal governo Afgano, la scomparsa dell’URSS e una considerevole presenza USA nell’area. La superiorità convenzionale di Israele rende peraltro le sue armi nucleari ancora meno necessarie, mentre è chiaramente suo interesse che altri non ottengano tali armi che potrebbero annullare tale sua superiorità.

Oggi molti paesi sospettano delle intenzioni USA a causa della mancata ritrovamento delle ADM in Iraq: per scoraggiare questi sospetti gli USA dovrebbero essere molto equilibrati circa le armi non convenzionali in Medio Oriente. In particolare portare allo scoperto l’arsenale israeliano potrebbe impedire agli altri di costruire il proprio arsenale: questo sarebbe un buon momento per imporre una zona libera da ADM. Con il vantaggio di un’applicazione uniforme su tutti i paesi dei principi che animano il TNP.

NOTE

(1) Joseph Cirincione: A new non-proliferation strategy (International Conference on Nuclear Technology and Sustainable Development, Tehran March 5-6, 2005), relazione è basata su George Perkovich, Jessica Mathews, Joseph Cirincione, Rose Gottemoeller and Jon Wolfsthal: Universal Compliance: A Strategy for Nuclear Security (Carnegie Enowment Report, March 2005), disponibile su www.ceip.org.

(2) David E.Sanger: Bush seeks to alter global nuclear pact (The International Herld Tribune, March 16 2005).

(3) Buona parte delle informazioni che seguono è tratta da www.globalsecurity.org/wmd/world/iran/nuke.htm.

(4) Per un’analisi delle capacità nucleari iraniane fino al momento dell’attuale crisi si veda ad esempio Joseph Cirincione, Jon B. Wolfsthal and Miriam Rajkumar: Deadly Arsenals, p. 255 (Carnegie Endowment for International Peace, 2002) disponibile anche su www.ceip.org.

(5) www.globalsecurity.org/wmd/world/iran/missile.htm

(6) Paul Kerr: Iran agrees to temporarily suspend uranium-enrichment program (Arms Control Today, December 2004).

(7) Questo atteggiamento cauto di ElBaradei è stato ulteriore motivo di dispiacere per l’Amministrazione USA dopo le posizioni assunte dall’IAEA riguardo al problema delle ADM dell’Iraq prima dell’intervento. Sembra che in conseguenza di questo l’attività di ElBaradei sia stata seguita molto da vicino con l’intenzione di scoprire eventuali errori nel suo comportamento. Si veda a questo proposito Dafna Linzer: IAEA leader’s phone tapped (Washington Post, Decembre 12, 2004). In particolare gli USA minacciano di porre un veto alla prossima conferma di ElBaradei, un atteggiamento che è stato adottato altre volte in simili occasioni: vedi Christopher Brauchli: US pressure helps oust international leaders (Boulder Daily Camera, May 11, 2002).

(8) Douglas Frantz: A high-risk nuclear stakeout (Los Angeles Times, February 27, 2005). Dafna Linzer: Iran was offered nuclear parts (Washington Post, February 27, 2005).

(9) Elaine Sciolino and David E. Sanger: Pressed, Iran admits it discussed acquiring nuclear technology (New York Times, February 28, 2005).

(10) Ali Akbar Dareini: Iran and Russia sign nuclear fuel deal (Washington Post, February 27, 2005).

(11) Iran: U.N. action would harm Mideast stability (MSNBC, March 5, 2005)Iranian confirms underground nuke plant (MSNBC, March 7, 2005).

(12) Seymour M. Hersh: The coming wars (The New Yorker, February 26, 2005).

(13) Parte delle informazioni proviene dal sito web di Global Security agli indirizziwww.globalsecurity.org/military/ops/iran-options.htmwww.globalsecurity.org/military/ops/iran-strikes.htm.

(14) Kenneth Pollack and Ray Takeyh: Taking on Tehran (Foreign Affairs, March/April 2005). Kenneth Pollack: The Persian puzzle: The conflict between Iran and America (Random House, 2005)

(15) Brent Scowcroft and Daniel Poneman: An offer that Iran cannot refuse (Financial Times, March 8, 2005).

(16) Robert E. Hunter: The Iran case: Addressing why countries want nuclear weapons (Arms Control Today, December 2004).

(17) Robin Wright: Bush weighs offers to Iran (Washington Post, February 28, 2005)A better Iran strategy (Washington Post, March 4, 2005).

(18) David E.Sanger and Steven R.Weisman: US and EU forge joint strategy on Iran talks (IHT, March 12, 2005).

(19) Iran vows to continue nuclear program (New York Times, March 12, 2005).Jad Mouawad: Iran offers Europe “guarantees” on its nuclear program (New York Times, March 17, 2005).

(20) Joseph Cirincione: Iran and Israel’s nuclear weapons (The Globalist, March 11, 2005)

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