An empty landscape, cioè un paesaggio vuoto. Per la precisione, svuotato. William Ripple, ecologo presso la Oregon State University evoca questo scenario nel riportare gli ultimi aggiornamenti di un processo in atto da decenni: il declino dei grandi erbivori – cioè quelli superiori ai cento chili – che potrebbe portare alla loro scomparsa in tempi relativamente brevi, con estreme conseguenze “a cascata” su tutti gli ecosistemi.
Attualmente, secondo le liste dell’International Union for Conservation of Nature (Iucn), 44 dei 74 più grandi erbivori terrestri sono nell’elenco delle specie a rischio di estinzione. Per la nuova analisi, pubblicata su Science Advance, Ripple e il suo team hanno rivisto e integrato i dati disponibili sull’impatto della caccia e dell’invasione degli habitat da parte dell’essere umano su tutte le 74 specie. Ricalcolando il ruolo ecologico dei diversi fattori, i ricercatori mostrano come il declino dei grandi erbivori possa incidere in maniera negativa sulle altre specie, essere umano compreso. Fino a portare, appunto, a un “empty landscape”.
Lo studio ha ampliato il concetto di “foresta vuota” utilizzato da Kent H. Redford in una ricerca pubblicata sulla rivista BioScience nel giugno del 1992 : “La nostra analisi – racconta Ripple – mostra che il problema va ben al di là delle foreste, e tocca anche le savane, le praterie e i deserti, per questo abbiamo coniato il nuovo termine”.
Secondo quanto riporta la ricerca, la competizione per l’allevamento di bestiame e per l’agricoltura – che a livello mondiale è triplicato dal 1980 – ha ridotto gli spazi disponibili per gli animali selvatici e, di conseguenza, la possibilità di accesso al cibo e all’acqua, accrescendo il rischio di malattie trasmissibili. Ad oggi, 25 specie tra quelle analizzate occupano appena il 19% dei loro habitat storici, in media. E con la popolazione umana in crescita, le prospettive non sono rosee (vedi Galileo: “2050: a rischio tigri, panda e rinoceronti”).
“Mi aspettavo che il cambiamento dell’habitat fosse la causa principale della scomparsa dei grandi erbivori. Sorprendentemente, però, i risultati mostrano che la caccia è un cofattore di uguale peso”, ha spiegato l’ecologo.
Circa un miliardo di persone vive infatti di carne selvatica e il mercato illegale di parti di animali continua a prosperare. Tra il 1996 e il 2008, lo stato di conservazione delle sette specie erbivore con peso superiore ai 100 kg è peggiorato. In particolare, la criminalità organizzata sta causando il drammatico declino di elefanti e rinoceronti in alcune parti dell’Africa e dell’Asia meridionale, annullando decenni di successi nella loro conservazione. Attualmente, il 75% delle popolazioni di elefanti è a rischio estinzione. Il bracconaggio e il commercio illegale di avorio sono le principali minacce per questi animali, in gran parte a causa di un aumento della domanda e dei prezzi dell’avorio in Cina, tanto che il numero di elefanti (L. africana cyclotis) delle foreste dell’Africa centrale è diminuito del 62% tra il 2002 e il 2011.
Quanto ai rinoceronti, il bracconaggio per i loro corni è cresciuto a dismisura negli ultimi anni a causa del loro uso nella medicina tradizionale cinese: un massacro guidato dal prezzo elevato che supera, per unità di peso, quella di oro, diamanti e cocaina. La situazione è talmente disperata che è stato previsto un intervento di emergenza per trasferire in aree potenzialmente più sicure molti rinoceronti bianchi del Parco Nazionale Kruger (Sudafrica). Una specie di rinoceronte nero (Diceros bicornis longipes) è stata dichiarata estinta nel 2011. Se il bracconaggio continua ad accelerare, i rinoceronti africani potrebbero estinguersi in natura entro 20 anni.
Molte altre specie di grandi erbivori sono cacciati per il valore di alcune parti del corpo: gli ippopotami per le zanne d’avorio, i bovidi per i corni e i teschi, gli equidi per le pelli, i tapiri per i piedi e le pelli, i cervidi per i palchi e i gorilla per le teste, le mani e i piedi.
Le conseguenze della perdita di questi grandi animali sono, tra le altre, la riduzione di cibo per i grandi carnivori già a rischio estinzione, come leoni e tigri, un calo della dispersione di semi ad opera degli erbivori, una maggiore frequenza degli incendi. Ripple ha cominciato questo studio dopo aver condotto una prima analisi globale sul declino dei grandi carnivori, che – conferma l’esperto – va di pari passo con la scomparsa delle prede erbivore.
Questo articolo è stato prodotto in collaborazione con il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara.
Riferimento: Collapse of the world’s largest herbivores (DOI: 10.1126/sciadv.1400103).
Credit per l’imagine: Diriye Amey via Compfight cc