Categorie: Ambiente

Il compromesso di Bruxelles

I 27 paesi europei riuniti a Bruxelles hanno raggiunto un accordo sul percorso da seguire per fronteggiare il cambiamento climatico e la crisi energetica. Dopo le sollecitazioni che sono venute da Polonia, paesi dell’Est, Italia e Germania, i membri dell’Unione hanno confermato che l’Europa, entro il 2020, dovrà ridurre le emissioni di CO2 del 20 per cento rispetto ai livelli del 1990, incrementando nel contempo di un altro 20 per cento sia il ricorso all’efficienza energetica, sia alle fonti rinnovabili. Ma il risultato è stato ottenuto con un compromesso: a causa della congiuntura economica sfavorevole, infatti, alcune imprese dei settori manifatturieri tedeschi e italiani potranno non aderire al sistema di Emission trading stabilito dal Protocollo di Kyoto.

Dal gennaio 2005, infatti, (con l’entrata in vigore della direttiva europea 2003/87), la quantità di gas serra che ciascuna impresa può emettere è stabilita non può superare un dato limite, fissato per ciascuna azienda: chi rilascia più CO2 rispetto a quanto concesso, deve comprare le quote in surplus.

Ora, invece, le imprese che rischiano la delocalizzazione (lo spostamento dei propri comparti produttivi nei paesi in via di sviluppo, esclusi dal protocollo di Kyoto) non dovranno adeguarsi al meccanismo delle quote.

Il settore industriale avrà infatti degli sconti sul prezzo da pagare per le quote extra: dell’80 per cento da qui al 2020 e del 30 per cento per i successivi cinque anni. Il prezzo intero dovrà essere pagato solo dal 2025. I paesi dell’Est Europa e la Polonia, inoltre, riceveranno sostanziosi aiuti economici per riconvertire il proprio sistema energetico, prevalentemente basato sul carbone.

Perplesse le associazioni ambientaliste come Greenpeace e Wwf, che a queste condizioni trovano poco realistico l’obiettivo della riduzione delle emissioni entro il 2020. Ora la decisione dovrà essere presentata al Consiglio, al Parlamento e alla Commissione Europea. (a.g.)

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