Il dragone dai mille caratteri

A. Lavagnino – S. Pozzi
Cultura cinese – segno, scrittura e civiltà
Carocci 2013, pp. 243, euro 18

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La scommessa moderna è la Cina. Dopo secoli di sottomissioni e guerre intestine, il dragone si è risvegliato ed è più roboante che mai. “Non si riesce a cogliere il perché di un simile fulmineo successo, né a valutarne bene i prezzi e i costi, se non si comprende da dove tutto questo proviene”, afferma Alessandra Lavagnino, una delle autrici di “Cultura cinese – segno, scrittura e civiltà”, nella prefazione al testo. In effetti, il patrimonio culturale cinese è vasto e complesso: trovare un filo conduttore che possa anche solo sommariamente abbracciare tutte le diverse sfaccettature della tradizione dell’antico Catai non è cosa semplice. Le autrici sembrano esserci riuscite al meglio, partendo “da quello che è stato uno dei grandi fili, forse il principale, grazie a cui il mirabile tessuto culturale che abbiamo oggi di fronte è stato pazientemente costruito, ovvero la scrittura, questo mezzo straordinario e poetico”, per dirlo con le loro stesse parole.

È dunque la scrittura cinese la grande protagonista del testo, quel wen che è “segno scritto” ma anche “modello/forma/ornamento”, ricostruito e spiegato nelle pagine dell’opera nei composti wenhua (cultura), wenmiing (civiltà) e wenxue (letteratura). I caratteri cinesi sono l’anima della Cina annotata sulla carta, specchio e modello di tutto ciò che la sinizzazione del mondo moderno porta con sé. L’alto valore attribuito alla parola scritta è testimonianza molto antica. Già in epoca Xia (XVII e XVIII sec a.C.) la calligrafia diviene una delle sei arti insegnate a scuola. Acquista poi un ruolo predominante nella carriera dei giovani studenti che accorrevano dalle più lontane province per sostenere gli esami imperiali e rimane, per sempre, elegante e sofisticato sistema di annotazione della realtà storica e culturale.

I nove capitoli che compongono il libro prediligono ognuno un preciso tema che diventa un micro-nucleo argomentativo nel complesso insieme dell’opera. La prima scelta, anche per necessità cronologiche, ricade sulle origini e classificazioni dei caratteri, necessari a definire cosa si intende per “lingua cinese”, quali sono i suoi vantaggi, i suoi limiti e le disquisizioni accademiche relative a termini come sinogramma, logogramma, ideogramma e carattere. Le autrici, poi, esaminano la stretta correlazione tra scrittura cinese e numerologia, con accenni alla pratica del fengshui, fino ad arrivare al Maestro Kong (Confucio) e alle Cento scuole fiorite durante il periodo delle Primavere e degli autunni e degli Stati combattenti (dal 770 al 221 a.C.). Nel quarto capitolo la scrittura diventa poesia, composizione peculiare nella tradizione cinese, particolarmente legata alla figura del funzionario deluso che si ritira in privato ed esprime i suoi dispiaceri in versi, mantenendo la dignità predicata dai precetti morali del confucianesimo. Fondamentale è anche il legame tra scrittura e tradizione storica, come verrà sottolineato nel sesto capitolo. Teatro, novelle e romanzi sono altre forme in cui si cristallizza la parola scritta, con modalità e caratteristiche ogni volta differenti. In ultimo, riferimenti all’influenza esercitata dal buddhismo e al significato del termine qi serviranno per delineare i confini di questa disamina che si conclude con una simpatica e arguta postfazione in cui sono Marco Polo (commerciante) e Matteo Ricci (missionario) a raccontare la loro esperienza cinese mostrando timori ed esaltazioni dello spirito pressoché simili a quelle dei numerosi migranti occidentali risucchiati dal miracolo cinese.

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