Il lato buono dell’Hiv

Di solito i virus sono considerati nemici pericolosissimi per l’uomo. Molti di loro hanno la capacità di aggirare le nostre difese immunitarie. Alcuni, come l’Hiv, sono tanto efficienti da provocare malattie per ora incurabili e mortali. Ma proprio questa loro caratteristica può anche essere sfruttata a scopi terapeutici. Infatti, i virus opportunamente “disinnescati” sono alla base della terapia genica, l’arma del futuro che apre nuove speranze nella lotta contro il cancro e le malattie ereditarie. Così, anche un microorganismo micidiale come il virus dell’Aids può mostrare almeno un lato positivo.

Ma come funziona questa terapia e a che punto è la ricerca? “La terapia genica – spiega Fulvio Mavilio, co-direttore del Telethon Institute for Gene Therapy dell’Istituto San Raffaele di Milano, in occasione della Convention Telethon che si è tenuta a Roma nei giorni scorsi – viene applicata nei pazienti affetti da malattie genetiche, in cui un gene è alterato o mancante. L’obiettivo è sostituire il gene malato con un gene sano clonato in laboratorio e introdotto attraverso un qualsiasi veicolo all’interno della cellula. Per il trasferimento dei geni si usano alcuni virus resi innocui perché il materiale genetico viene manipolato e modificato in laboratorio, privato delle sequenze di acido nucleico pericolose e arricchito con i geni terapeutici”.

Del virus originario non resta quindi che l’involucro, al cui interno sono inseriti i geni utili. “Niente paura dunque – rassicura Mavilio – persino nel caso dell’Hiv, la particella virale usata come vettore di fatto non ha più nulla del temibile agente dell’Aids, tranne alcuni meccanismi molecolari molto efficienti sviluppati dal virus per poter entrare nei nuclei delle cellule del sangue umano. Il genoma virale così modificato viene poi inserito in cellule particolari capaci di produrre in laboratorio il vettore in grande quantità. Nella fase successiva il vettore viene impiegato per infettare le cellule bersaglio nelle quali inserisce il gene o i geni terapeutici”.

I retrovirus, l’adenovirus e l’herpes virus sono gli altri vettori utilizzati dai biologi molecolari. L’herpes virus viene impiegato, per esempio, per la sua predilezione per le cellule del sistema nervoso centrale ed è molto efficiente nel trasferire i geni nei neuroni. L’adenovirus (il virus del comune raffreddore) è stato scelto invece per le sue notevoli dimensioni, che lo rendono adatto a contenere e trasferire i grossi geni della distrofia muscolare e della fibrosi cistica. “L’Hiv, l’ultimo dei sistemi vettori scoperti, – continua Mavilio- presenta diversi vantaggi che ne fanno un veicolo ideale: è uno dei virus più studiati, nessun altro è così efficace nell’aggirare le difese del sistema immunitario sfuggendo al loro attacco, può trasferire i geni nelle cellule staminali, muscolari e nei neuroni. Non solo, può portare i geni sani pure in cellule che non si dividono, come quelle del fegato, a differenza dei retrovirus classici in grado di farlo solo in cellule che si moltiplicano frequentemente come quelle del sangue”.

Per ora, la terapia genica viene impiegata raramente nelle malattie ereditarie, soprattutto per via dell’insufficienza dei fondi destinati alla ricerca in questo settore. Esistono tra l’altro ancora enormi difficoltà tecniche e la ricerca avanza a piccoli passi. “Per esempio – aggiunge Mavilio – nella distrofia muscolare il gene interessato è enorme, difficile da manipolare e soprattutto da trasferire nel tessuto muscolare. C’è però una speranza in più: abbiamo infatti scoperto che alcune cellule del midollo osseo sono in grado di trasformarsi in cellule muscolari, mentre finora si pensava che il midollo non contenesse alcun progenitore del muscolo. Oggi abbiamo quindi a disposizione una cellula facilmente manipolabile e trapiantabile, che potrà ricostituire in futuro la muscolatura danneggiata dalla distrofia muscolare”.

Ma quali sono le applicazioni più diffuse della terapia genica? “Attualmente si usa per curare soprattutto l’immunodeficienza congenita grave (Scid), una malattia dovuta a carenza di un enzima, la denosina deaminasi, che rende il bambino completamente sprovvisto di difese immunitarie. In questo caso il vettore è un retrovirus che provoca la leucemia nel topo. I linfociti del sangue periferico e le cellule staminali del midollo osseo umano vengono coltivate con questo virus modificato e reimmesse nell’organismo con un’iniezione endovenosa”. In altre patologie genetiche, come la fibrosi cistica o l’ipercolesterolemia familiare, la terapia genica fa registrare invece una lunga lista di insuccessi, dovuti alla mancanza di un sistema vettore ideale.

Nata con l’obiettivo di curare le malattie genetiche, la terapia genica di fatto oggi trova maggiore spazio contro il cancro, il diabete e le malattie cardiovascolari. Nei tumori lo scopo è di rinforzare le difese immunitarie dell’organismo. Si usano vettori virali opportunamente addestrati a trasferire sui linfociti, le cellule deputate a riconoscere elementi estranei a un organismo, l’informazione genetica necessaria per acquisire capacità antitumorali. In tutto il mondo sono in corso decine di sperimentazioni cliniche su questa tecnica, che sta aprendo speranze significative nell’immunoterapia. “E’ ancora presto per dire qualcosa sulla sua efficacia rispetto alla chirurgia o alla farmacologia tradizionale – conclude Mavilio – ma penso che i primi dati saranno disponibili nel giro di due o tre anni. La ricerca italiana in questo settore è all’avanguardia e non escludo che i primi dati su alcuni tumori, come il melanoma, verranno proprio dal nostro paese”.

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