Categorie: Salute

Il legame tra cancro del colon, microbioma e la carne rossa

Nel corso degli ultimi quarant’anni la carne rossa è diventata la vera protagonista dei nostri pasti, soprattutto nelle tavole americane. Ma siamo sicuri che questo abbondante consumo non possa danneggiare la nostra salute? Secondo uno studio di alcuni ricercatori olandesi, pubblicato su Pnas, la flora intestinale sarebbe fondamentale nel danneggiamento dell’epitelio provocato dal gruppo eme presente nella carne, portando il nostro organismo ad una condizione di iperplasia (ovvero quel processo biologico che porta alla crescita del volume di un organo o di un tessuto per aumento del numero delle cellule che lo costituiscono). Un fenomeno che aiuterebbe a spiegare la connessione tra l’aumento del consumo di carne rossa e il parallelo aumento delle diagnosi di tumore del colon-retto.

Nel corso del loro studio i ricercatori hanno suddiviso alcuni topi in due gruppi: il primo è stato alimentato con una dieta molto simile a quella americana, quindi ricca di carne rossa; il secondo gruppo invece, si è nutrito con la stessa dieta del primo, ma con un’integrazione di antibiotici. Dalla ricerca è risultato evidente che i topi a cui erano stati somministrati gli antibiotici non hanno subito alcun danno alle cellule epiteliali intestinali, mentre i topi privi del trattamento antibiotico hanno mostrato un successivo danno epiteliale intestinale e citotossicità associato con il conseguente sviluppo del cancro. Che cosa era successo?

La risposta andrebbe cercata nella chimica della carne. L’eme, oltre a essere il cofattore che conferisce alla carne il colore rosso, è un complesso chimico membro di una famiglia di composti chiamati porfirine contenente un atomo di ferro. L’eme costituisce il gruppo prostetico, cioè la parte non proteica di una serie di proteine tra cui l’emoglobina, la mioglobina e i citocromi. Questo complesso chimico è scarsamente assorbito nell’intestino tenue, e se penetra nello strato di muco protettivo dell’intestino, danneggia le cellule epiteliali superficiali, portando all’iperproliferazione delle cellule staminali, e alla conseguente iperplasia, condizione di precursore del cancro del colon-retto.

Ma come fa l’eme a penetrare lo strato di muco protettivo? Per prima cosa, le diete ricche di carne rossa inducono a una modificazione del gruppo eme nel colon, portando alla comparsa del fattore citotossico eme (CHF). Successivamente, il microbioma del colon facilita il danno epiteliale aprendo la barriera di muco tramite la produzione di idrogeno solforato e batteri che degradano la mucina. Una volta avvenuta la mucolisi, cioè l’apertura dello strato di muco protettivo, si avvia la diffusione di CHF sulla superficie epiteliale. Questo porta il nostro corpo a una iperproliferazione compensativa, nella speranza di riparare il danno. Quindi la flora intestinale è necessaria per l’iperproliferazione epiteliale indotta dell’eme, per la sua capacità di indebolire la funzione della barriera di muco.

Secondo lo studio i topi alimentati con la dieta integrata con antibiotici hanno bloccato la produzione microbica di solfuro mantenendo e rafforzando la barriera di muco e impedendo così  l’iperproliferazione indotta dal gruppo eme.

“Il nostro studio ed i nostri risultati implicano quindi che il solfuro riduce i legami di disolfuro e può guidare la denaturazione della mucina e l’accesso nello strato di muco”, concludono gli autori: “Questa riduzione si traduce nella formazione di trisolfuri, rilevabili in vitro e in vivo. Quindi i trisolfuri fecali possono servire come biomarcatori per rilevare l’integrità della barriera di muco, e sono fondamentali per la diagnosi delle malattie del colon. Pertanto, sarebbe molto utile misurare i livelli di trisolfuri negli enterotipi umani e nelle malattie intestinali in cui la barriera di muco è compromessa, come nella sindrome dell’intestino irritabile”.

Riferimenti: Pnas Doi: 10.1073/pnas.1507645112

Credits immagine: Jose Wolff/Flickr CC

Marta Musso

Laureata in Scienze Naturali alla Sapienza di Roma con una tesi in biologia marina, ha sempre avuto il pallino della scrittura. Curiosa e armata del suo bagaglio di conoscenze, si è lanciata nel mondo del giornalismo e della divulgazione scientifica. “In fin dei conti giocare con le parole è un po' come giocare con gli elementi chimici”.

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