Il Mediterraneo si allarga

Il Mediterraneo è come diviso in due opposti schieramenti. Da una parte ci sono i paesi poveri e fuori dall’Unione Europea, come Marocco, Siria, Egitto, e dall’altra quelli ricchi, per esempio Francia, Grecia, Spagna e Italia. Negli ultimi 40 anni il divario tra queste due sponde è raddoppiato. Con il rischio di generare una più grande instabilità politica e sfociare in un conflitto aperto. La prospettiva è contenuta in uno studio condotto dall’Istituto di analisi economica del Consiglio superiore della ricerca spagnolo (Csic) nell’ambito del progetto “Polarizzazione e conflitto” finanziato dall’Unione Europea, e di prossima pubblicazione all’interno del “Berlin Workshop series: Equity and development” della Banca Mondiale. I ricercatori, coordinati da Joan Maria Esteban, economista e professore all’Istituto di analisi economica di Barcellona, hanno studiato il modello di sviluppo di 12 paesi sulle sponde del mar Mediterraneo (Algeria, Egitto, Francia, Grecia, Italia, Israele, Giordania, Marocco, Spagna, Siria, Tunisia e Turchia) tra il 1961 e il 1998 utilizzando un nuovo strumento, l’indice di polarizzazione. Esso va ben oltre lo studio della disparità economica, che non è ritenuta un fattore sufficiente per valutare la coesione sociale e l’eventuale potenziale di conflitto, e permette invece di individuare altri fattori ad essa collegati. Per esempio, l’emergere di raggruppamenti con interessi opposti, cioè gruppi di paesi caratterizzati da un alto livello di affinità al loro interno e da una marcata disparità rispetto ad altri. “Questo indice non solo ci dice quanto la gente di un paese è povera o ricca, ma se queste differenze possono dare origine a due masse contrapposte, a due poli insomma”, spiega Eliana la Ferrara, dell’Innocenzo Gasparini Institute for Economic Research dell’Università Bocconi di Milano, che prende parte al progetto europeo. “Se la disuguaglianza tra le persone, che può essere non solo di reddito, ma anche politica, religiosa o etnica, genera più strati differenziati nella società allora l’indice di polarizzazione è da considerarsi basso e non c’è rischio di conflitti. Se invece porta alla formazione di due schieramenti, ciascuno omogeneo al proprio interno ma diverso rispetto all’altro, allora la polarizzazione è alta e c’è da preoccuparsi. E’ normale che chi è povero si identifichi con persone uguali a lui e si senta alienato rispetto invece a chi è ricco”. Per i paesi del Mediterraneo è successo proprio questo. Nel corso dei quattro decenni scorsi si è avuta una loro convergenza verso due poli diversi, ricchezza e povertà, che si stanno definendo in maniera più precisa e anche allontanando l’uno dall’altro. Così troviamo da una parte Grecia, Spagna, Italia, Francia più Israele, e dall’altra Marocco, Tunisia, Algeria, Siria, Egitto, Giordania e Turchia. Ad una prima analisi del reddito pro capite e della popolazione di entrambi i gruppi con strumenti economici tradizionali, come l’indice Gini, gli studiosi hanno rilevato che la disparità tra i due era cresciuta solo del 18 per cento nel periodo considerato. Ma usando l’indice di polarizzazione essa risulta raddoppiata. In sostanza, nel 1961 si riscontravano differenze significative in termini di reddito pro capite tra i paesi di entrambi i gruppi, con un rapporto di 5 a 1 tra i due estremi, cioè Francia e Marocco. Comunque paesi come Spagna, Italia meridionale e Grecia non erano molto distanti da quelli della sponda africana del Mediterraneo, come Marocco ed Egitto. Alla fine degli anni Novanta, invece, la distanza economica tra essi si è fatta incolmabile e l’indice di polarizzazione è passato dallo 0,0643 del 1961 allo 0,1313. Conseguenza anche della politica dell’Unione Europea, che è riuscita a diminuire in maniera costante le differenze di reddito nei suoi stati membri, ampliando il divario con i paesi vicini che non fanno parte dell’Ue. Se nel bacino del Mediterraneo, infatti, gli stati Ue, a cui i ricercatori hanno aggiunto Israele, sono convergenti in termini di reddito, i paesi esclusi dall’Europa risultato a paragone più poveri. Questi fattori potrebbero sfociare in malcontento e mancanza di stimoli e condurre a un periodo di instabilità nei paesi della regione, mette in guardia lo studio. Ecco perché l’intero progetto, che vede coinvolti non solo economisti ma anche sociologi e politologi, mira anche a fornire strumenti e indicatori per un sistema di preallarme per le situazioni più difficili e a trovare forme alternative di intervento, come la mediazione o l’arbitrato, utili quando si deve conseguire accordi dopo i conflitti.

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