Il nemico in casa

Gavin Hood
Rendition. Detenzione illegale
Eagles Pictures, 2007

“Non ho visto la luce per due settimane. Mi hanno lasciato al buio. Non ci capivo niente. Non sapevo cosa avessi fatto di male. Non mi sarei mai aspettato che gli americani si comportassero in questo modo”. E’ la testimonianza di un cittadino giordano rifugiato politico nel Regno Unito, detenuto illegalmente nella prigione di Bagram, in Afghanistan. Una delle tante vittime della “rendition”, estradizioni illegali messe in pratica dalla Cia per estorcere a presunti terroristi informazioni da usare nella lotta mondiale a Osama Bin Laden e ai suoi seguaci. Queste consegne speciali, realizzate trasportando i prigionieri con voli speciali che partivano dalle diverse basi Usa presenti in paesi stranieri, sono raccontate con cruda verità nel film “Rentidion. Detenzione illegale”, di Gavin Hood, sostenuto da Amnesty International, nelle sale italiane il 29 febbraio.

Ecco la trama. Un osservatore della Cia in missione, interpretato da Jake Gyllenhaal, assiste al sequestro illegale e alla detenzione con tortura in un paese arabo di un ingegnere chimico, cittadino americano nato in Egitto. L’accusa per il malcapitato è di aver ricevuto una telefonata da un terrorista. Negli Usa, intanto, la moglie incinta (Reese Whiterspoon) cerca di capire cosa sia successo al marito nonostante la fermezza e l’insensibilità del capo della Cia, interpretato da Meryl Streep. Il film si ispira alla storia vera di Maher Arar, sequestrato illegalmente mentre transitava all’aeroporto di New York, portato in Giordania e poi in Siria, dove è stato sottoposto a 11 mesi di tortura. Il suo è uno dei 21 casi ben documentati dalla Commissione d’inchiesta sulle rendition del Parlamento Europeo. Sugli altri, ben 1341, voli di compagnie fantasma intestate a caselle postali di posti sperduti e tutti riconducibili alla Cia c’è poca chiarezza, a causa della reticenza dei governi europei, che più volte hanno permesso agli aerei Usa di utilizzare il proprio territorio come supporto logistico o scalo tecnico verso i centri di detenzione illegale in Afghanistan, Giordania, Egitto, Uzbekistan. È successo anche all’Italia, proprio con il caso descritto dalla pellicola.

Come ha spiegato il relatore della Commissione Claudio Fava, presente all’anteprima della proiezione organizzata da Amnesty, “Arar ha testimoniato che per i 38 minuti in cui l’aereo in cui era prigioniero è stato fermo a Ciampino c’era un uomo, forse dei nostri servizi segreti militari, che sorvegliava che nessuno si avvicinasse al velivolo”. E’ alquanto improbabile, infatti, che operazioni del genere avvengano senza l’autorizzazione delle istituzioni di un paese. Nonostante queste evidenze, i governi europei rispondono con il silenzio al lavoro della commissione dell’Europarlamento, e anzi ora hanno scelto di non dare seguito all’indagine. Eppure qualche squarcio di luce in questa vicenda c’è stata. Sono di pochi giorni fa le scuse al popolo inglese del ministro degli esteri David Miliband, che ha ammesso che la base americana presente sull’isola britannica di Diego Garcia, nell’oceano Indiano, è stata utilizzata due volte nel 2002 come base per dei trasferimenti segreti di prigionieri verso Guantanamo e Marocco. Niente di simile, purtroppo, è avvenuto nel nostro paese, dove nel 2003 l’imam Abu Omar fu rapito in pieno giorno a Milano da 26 uomini della Cia, con la probabile complicità del Sismi, e trasferito in Egitto. Ma il12 marzo dovrebbe riprendere il processo, finora bloccato perché il governo aveva opposto il segreto di Stato.

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