Il pregiudizio che è in noi

Sono missionari, suore, volontari, medici senza frontiere. Hanno scelto di aiutare la gente bisognosa senza fare distinzione di sesso, di etnia o di credo religioso, senza nessun pregiudizio. Eppure anche loro potrebbero essere dei “razzisti inconsapevoli”. Ad affermarlo è Anthony Greenwald, psicologo dell’Università di Washington, che con un nuovo studio, presentato a Seattle la scorsa settimana, ha scoperto che il pregiudizio ha radici profonde nell’inconscio. E che tra il 90 e il 95 per cento delle persone ne è affetta. Secondo il ricercatore, i volontari che hanno partecipato all’esperimento – condotta attraverso un test di “associazione implicita” – avevano dichiarato inizialmente di non avere alcun pregiudizio di razza, di sesso o di religione. Ma con grande sorpresa si sono dovuti ricredere.

Come si è svolta la ricerca? Lo staff di Greenwald ha chiesto ai partecipanti di muovere la gamba destra ogni qualvolta venivano pronunciati nomi propri generalmente associati a persone di pelle bianca e a parole che indicavano concetti piacevoli. I volontari dovevano invece muovere la gamba sinistra ogni qualvolta venivano pronunciati nomi caratteristici di afro-americani, e concetti negativi. Un compito facile, che i volontari hanno svolto senza difficoltà. Invertendo le associazioni, però, le persone non riuscivano a coordinare correttamente il movimento delle gambe. Il test che, secondo Greenwald, ha la capacità di rivelare il proprio livello inconscio di pregiudizio, può essere effettuato singolarmente o in gruppo anche su Internet.

Ma sulle conclusioni a cui sono giunti i ricercatori statunitensi, non tutti gli esperti sono d’accordo. “Questo studio mi sembra assolutamente privo di fondamento”, osserva Aldo Carotenuto, docente di Psicologia della personalità all’Università di Roma La Sapienza. E spiega: “E’ sempre bene essere molto cauti con i test o con ricerche che indagano aspetti così particolari e così delicati. Credo, per altro, che il problema del pregiudizio sia del tutto diverso da come lo interpretano Greenwald e colleghi. Non è radicato nell’inconscio. Il pregiudizio nasce perché uomini e donne hanno paura di vivere. La necessità di definire gli altri come esseri inferiori è una forma di difesa, rappresenta la ricerca di un maggior spazio di vita. E il razzismo, o meglio il pregiudizio, è un sistema di difesa eccellente”.

Ma allora il pregiudizio di razza, per esempio, è radicato in tutti noi?

“Gli esseri umani sono buoni perché fanno degli sforzi per esserlo. Possiamo aiutare un barbone che chiede soccorso, ma non è un’azione spontanea: dobbiamo fare uno sforzo per superare la prima reazione istintiva. Bisogna lavorare su se stessi per capire che le persone spesso oggetto di razzismo non devono essere sottoposte a prevaricazioni”.

Quanto influisce l’ambiente culturale sulla formazione del pregiudizio?

“In genere è proprio l’ambiente che ne determina lo sviluppo. Perché le nostre caratteristiche psicologiche si acquisiscono vivendo. E’ l’esperienza che determina la mia dimensione di persona, la mia idea della vita”.

Quindi si possono eliminare i pregiudizi?

“Si, ma solo con molti sforzi. Nell’individuo è l’intervento della cultura che cambia i pregiudizi acquisiti durante l’infanzia”.

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