Il razzismo rende insensibili

I sentimenti razzisti si riflettono nei circuiti neuronali. Secondo i ricercatori dell’Università di Bologna, infatti, le persone razziste avrebbero più difficoltà degli altri a immedesimarsi in chi appare “diverso” e, di conseguenza, a percepirne la sofferenza fisica.

Primo autore dello studio, che sarà pubblicato a giugno su Current Biology, è lo psicologo Alessio Avenanti del Centro studi e ricerche in neuroscienze cognitive dell’Alma Mater. I ricercatori hanno sottoposto 40 studenti universitari – metà italiani di colore bianco e metà africani di colore nero –  a stimolazione magnetica transuranica. Questo esame permette di registrare l’attivazione dei circuiti neuronali associati ai movimenti del corpo e alle sensazioni, come quelle tattili e dolorose.

A tutti i partecipanti sono state presentate immagini in cui degli aghi venivano conficcati nel dorso delle mani di individui di diverse etnie. Contemporaneamente, grazie a sensori ultrasensibili posti sulle dita e sulle mani, e capaci di rilevare impercettibili contrazioni dei muscoli, veniva misurata l’attività cerebrale corrispondente al dolore mostrato. La tecnica si basa sul fatto che quando guardiamo qualcuno provare una sensazione dolorosa, si verifica una brusca riduzione dell’attività neuronale associata a quella sensazione. Questo si ripercuote sui muscoli collegati che si “congelano” improvvisamente.

Ecco, dunque, i risultati dell’esperimento. Quando le immagini erano relative a una persona della stessa etnia dell’osservatore – sia questo bianco o nero –  nel cervello si attivavano sempre i circuiti cerebrali relativi alla percezione di quel particolare dolore, come se venisse provato in prima persona. Quando, però, le immagini si riferivano a un individuo di colore diverso, questa reazione era spesso meno forte e, a volte, del tutto assente. Il test è stato allora ripetuto mostrando ai volontari immagini di mani colorate di viola, percepite come estranee tanto dai bianchi quanto dai neri. La stimolazione magnetica ha rivelato che entrambi i gruppi si sono immedesimati nella persona ‘torturata’, sebbene la mano viola mostrata ai bianchi fosse quella di un nero e viceversa.

Secondo i ricercatori non sarebbe, quindi, la “diversità” a ridurre la risposta empatica a livello neuronale, ma i pregiudizi culturali e gli stereotipi. Un altro test sembra confermare questa ipotesi. I partecipanti sono stati infatti sottoposti a un’indagine sui pregiudizi razziali inconsci (un esame che misura la spontaneità e la rapidità con cui le idee positive o negative vengono associate a diversi gruppi etnici). Ne è emersa una evidente correlazione tra i sentimenti razzisti latenti e una bassa risposta empatica. Più, cioè, l’osservatore era inconsapevolmente razzista, e meno forte è risultata la sua capacità di immedesimarsi in persone di etnie diverse. (t.m.)

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