Il risveglio del mostro stellare

Un intenso brillamento nella volta stellare. Non è certo un fenomeno inusuale per gli astronomi, abituati a riconoscere eventi catastrofici come l’esplosione di una supernova. Ma una sorgente di raggi X energetica come quella osservata a partire da marzo nel cielo dell’emisfero settentrionale – e da allora seguita costantemente da gruppi di ricerca in tutto il mondo – è uno spettacolo che non si vede spesso. Tanto che gli astrofisici che l’hanno osservata hanno impiegato più di un mese a capire quale fosse l’origine di questo evento: si tratterebbe della radiazione emessa da un buco nero che ha cominciato a mangiare una stella vicina. L’evento, che ha una durata molto lunga, non è insolito nell’universo, ma il suo momento iniziale non era mai stato osservato prima. Ora lo raccontano nel dettaglio due studi su Nature.

Alla sorgente è stato dato un nome molto difficile da ricordare – Swift J164449.3 + 573451 – che richiama quello del primo satellite che l’ha avvistata, lo Swift della Nasa (vedi Galileo, “E il buco nero mangiò la stella“). Sono poi stati due i gruppi di ricerca che hanno seguito la sua evoluzione, uno che fa capo all’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, l’altro è presso il Dipartimento di Astronomia e Astrofisica della Pennsylvania State University. Ma i ricercatori che ne fanno parte vengono da centri di studio di tutto il mondo, compresi gli italiani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e dell’Asi Science Data Center di Frascati.

I buchi neri supermassivi – che possono avere dimensioni di milioni o addirittura miliardi di volte più grandi di quelle del Sole – sono oggetti dal campo gravitazionale molto forte e che cambia rapidamente man mano che ci si allontana da essi. Questi esercitano sulle stelle che hanno intorno una forza intensa, che però risulta molto più violenta sulla faccia del corpo celeste rivolta verso di essi, che non su quella opposta: se una stella è particolarmente vicina al buco nero, la differenza di forza applicata a un lato rispetto all’altro è talmente acuta da distruggerla.

I suoi detriti (poiché formati da materiale stellare che possiede un momento angolare troppo grande, dovuto alla elevata velocità di rotazione del corpo celeste precedente alla sua disgregazione), invece di collassare direttamente nel buco nero, cominciano a girare intorno ad esso. Si crea il cosiddetto disco di accrescimento: i residui della stella si dispongono lungo un anello ed entrano solo pian piano all’interno della sorgente del campo gravitazionale, generando grandi getti di energia e di radiazione elettromagnetica in direzione esattamente perpendicolare al disco stesso. Questi fenomeni sono detti jet relativistici, poiché le particelle emesse viaggiano ad una velocità prossima a quella della luce. È proprio questo che gli astronomi suppongono di aver visto in Swift J164449.3 + 573451.

I ricercatori hanno infatti osservato tutte le emissioni della sorgente: da quelle nello spettro dei raggi gamma a quelle nelle onde radio, passando per quelle a raggi X, nell’ultravioletto, nello spettro della luce visibile e nell’infrarosso. La quantità di radiazione elettromagnetica registrata è molto più alta di quella attesa per un evento come questo: ciò succede perché, per un caso fortuito, il getto si sta espandendo proprio nella nostra direzione. L’effetto è simile a quello che si ottiene osservando un laser: guardando la luce di lato, questa sembra molto meno intensa di quella che percepiamo quando ci viene puntato addosso.

Lo studio di oggetti come questa sorgente può essere utile per vari motivi. In primo luogo possono dare informazioni sulle condizioni del centro della galassia, nel quale di solito si trovano i buchi neri più massicci. Inoltre, possono aiutare gli astronomi a conoscere meglio i processi che hanno luogo all’interno delle sorgenti di campi gravitazionali così intensi. “In più – ha detto Davide Lazzati, ricercatore al dipartimento di Fisica della North Carolina State University – studiare le fasi di sviluppo iniziali dei jet relativistici può darci ulteriori dati sul processo stesso di formazione dei getti, che conosciamo molto poco. Forse riusciremo a capire come il materiale espulso interagisce con la materia interstellare circostante, e come si apre un varco all’interno di essa”.

Riferimenti: doi:10.1038/nature10366; doi:10.1038/nature10374

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