Il segreto del Blu Maya

Antropologi del Wheaton College, in Illinois, e del Field Museum di Chicago hanno scoperto il sistema usato per ottenere un particolare pigmento, noto come Blu Maya, utilizzato durante i sacrifici celebrati a Chichén Itzá, uno dei principali siti archeologici attribuito alla civiltà precolombiana, che visse presso la penisola messicana dello Yucatán dal 300 al 1.500 d.C. I risultati della ricerca sono pubblicati online su Antiquity British Journal.

Un pigmento indistruttibile

Il Blu Maya, usato anche per le decorazioni ceramiche e per la pittura murale, è considerato – fin da da quando fu identificato nel 1931 – una delle più grandi conquiste artistiche e tecnologiche della Mesoamerica, in virtù della sua straordinaria resistenza all’azione del tempo. La sua inusuale stabilità a livello chimico lo rende uno dei pigmenti più resistenti agli agenti atmosferici, alle piogge acide, alla biodegradazione e persino ai solventi chimici moderni, tanto da meritarsi il titolo di pigmento virtualmente indistruttibile.

Come gli archeologi sanno da tempo, queste caratteristiche si possono ottenere grazie a un legame chimico che si forma quando si riscaldano e si mescolano piccole quantità della pianta indaco con il minerale argilloso attapulgite (o paligorskite), la cui struttura interna risulta costituita da lunghi canali. Finora però, non c’erano prove di come il pigmento fosse effettivamente ottenuto in antichità.

La formula del Blu Maya

L’equipe di Chicago, diretta dall’antropologo Dean Arnold, ha ora scoperto che la creazione del colore faceva parte dei rituali presso il Sacro Cenote, un sorta di pozzo naturale in cui indaco, attapulgite e incenso venivano fusi insieme. La chiave per svelare l’enigma è arrivata da un tripode di ceramica, rinvenuto nel 1904 nel Sacro Cenote e depositato nei magazzini del Field Museum dal 1930. I ricercatori hanno infatti esaminato al microscopio elettronico a scansione i frammenti del reperto, che hanno rivelato la composizione del pigmento.

Un pigmento rituale

Secondo testimonianze del Cinquecento, venivano tinte di blu le vittime umane prima di essere gettate nel Cenote insieme ad altre offerte di caucciù e di legno, colorate  anch’esse. La nuova scoperta dimostra che il pigmento era prodotto proprio nei pressi del Cenote, secondo un “rito” che, a detta degli studiosi, avrebbe avuto un ruolo centrale nella cerimonia. Si è così capita anche l’origine dello strato di melma bluastra, di oltre 4 metri, trovato sul fondo del pozzo quando fu dragato agli inizi del Ventesimo secolo: è ciò che rimane del colore delle offerte e dei corpi delle vittime, depositatosi per decantazione sul fondo. (f.g.)

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