Il sisma in Emilia è stato scatenato dall’attività umana?

Aggiornamento 15 aprile 2014: il rapporto Ichese è stato pubblicato in versione integrale. Nelle conclusioni si legge: “Lo studio effettuato non ha trovato evidenze che possano associare la sequenze sismica del maggio 2012 in Emilia alle attività operative svolte nei campi di Spilamberto, Recovato, Minerbio e Casaglia, mentre non può essere escluso che le attività effettuate nella Concessione di Mirandola abbiano avuto potuto contribuire a innescare la sequenza”.

“Non si può escludere” che l’attività umana di estrazione di petrolio a Cavone, in Emilia Romagna potrebbe aver innescato il terremoto del 20 maggio 2012, con epicentro a 20 chilometri di distanza dall’impianto estrattivo. Sono le conclusioni choc di un rapporto, atteso da lungo tempo – e ancora non pubblicato – divulgate in anteprima da Science questa settimana. Il lavoro era stato commissionato a fine 2012 a un panel internazionale di geologi (due italiani, tra cui Franco Terlizzese, ingegnere al Ministero dello Sviluppo Economico, e tre stranieri, tra cui Peter Styles, della Keele University) per indagare su eventuali collegamenti tra l’estrazione di idrocarburi e il sisma, in particolare le due scosse maggiori, quella di magnitudo 5.9 del 20 maggio 2012 e quella di magnitudo 5.8 nove giorni dopo. Poco dopo l’inizio dello studio, a maggio 2013, Vasco Errani, presidente della regione Emilia Romagna, aveva rimandato tutte le approvazioni di richieste di esplorazioni petrolifere nella zona del sisma a dopo la consegna del lavoro. Secondo Science, il rapporto di Ichese (questo il nome del panel) è stato presentato alle autorità oltre un mese fa, ma il suo contenuto scottante ne sta ritardando la pubblicazione.

In ogni caso, è necessaria estrema cautela prima di saltare a conclusioni affrettate e avallare superficialmente la tesi che bucare il suolo provoca sempre e ovunque un terremoto. Le cose non stanno esattamente così. Il rapporto di Ichese ha anzitutto smentito che le attività umane in un deposito di gas a Rivera, nella valle del Po, proprio al di sopra di una faglia geologica vicina ai due epicentri, siano in qualche modo legate al terremoto, come qualcuno aveva invece ipotizzato, anche perché la trivellazione, al momento del sisma, ancora non era iniziata. Al contrario, ha indicato nel piccolo impianto di Cavone, di proprietà di Gas Plus, un possibile corresponsabile dell’evento. A parte l’uso del condizionale, il rapporto (almeno gli stralci riportati da Science, precisa che “i cambiamenti in stress e pressione della crosta terrestre che conseguono sia dalla rimozione di petrolio che dall’iniezione di fluidi per aumentare il flusso di petrolio non sarebbero quasi certamente stati sufficienti, da soli, a scatenare un terremoto potente”. Ma che “è possibile che la faglia coinvolta nell’evento del 20 maggio fosse vicina al punto di rottura” (per altre cause) “e che i cambiamenti indotti dall’uomo nella crosta, sebbene estremamente piccoli, siano stati sufficienti a innescare la scossa”. La classica goccia che fa traboccare il vaso, insomma. Ricordando che, perché trabocchi, deve essere già pieno.

Il gruppo di esperti è giunto a queste conclusioni sulla base di correlazioni tra l’aumento di produzione di petrolio dell’impianto di Cavone e l’aumento della sismicità nella zona prima dell’evento del 20 maggio. Un’osservazione che dovrebbe ora essere spiegata da un modello teorico che tenga conto della “fluidodinamica del giacimento e delle rocce circostanti” – e che attualmente ancora non esiste. Comunque, le reazioni non si sono fatte attendere. Un geologo ha spiegato a Science, chiedendo di restare anonimo, che diversi fattori escludono il collegamento tra attività umana a Cavone e terremoto: “l’assenza di piccole scosse indotte direttamente dalla produzione, la distanza significativa tra epicentro e impianto e l’entità molto modesta delle attività estrattive, circa 500 barili al giorno”.

È bene precisare, tra l’altro, che i presunti collegamenti tra attività umana (tra cui il famigerato fracking, in cui si sfrutta la pressione di un fluido per creare e poi propagare una frattura in uno strato roccioso già trivellato) non sono mai stati confermati con certezza. E anche i casi in cui è stata ipotizzata una corresponsabilità umana sono relativi a sismi più deboli di quelli completamente naturali. Geoffrey Abers, della Columbia University, ha ricordato per esempio le tre scosse di terremoto del 1967 a Denver, di magnitudo compresa tra 4.5 e 5, attribuite al pompaggio di sostanze chimiche sotto la scrosta terrestre. O quelle del novembre 2011 in Oklahoma, forse conseguenza di piccole quantità di acque nere iniettate in un giacimento di petrolio esaurito. Quanto all’Emilia Romagna, ne potremo sapere di più solo quando – e se – il rapporto verrà divulgato per intero.

Via: Wired.it

Credits immagine: Alessandro Canella/Flickr

 

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