Il software come dono

    Mariella Berra, Meo Angelo R.
    Informatica solidale. Storia e prospettive del software libero
    Bollati Boringhieri, 2001
    pp.238, £ 28000 (14,46 euro)

    L’editoria specializzata in informatica e sociologia del lavoro occupa lunghi scaffali nelle librerie, ma è spesso di difficile lettura per i non iniziati. Scritto da una sociologa insieme a un ingegnere, “Informatica solidale”, invece, è un libro che sa parlare di software e di organizzazione del lavoro in modo stimolante. Il volume racconta l’epopea del free software, i programmi distribuiti senza copyright, manipolati e migliorati dagli stessi utenti-programmatori. Poiché nella società occidentale l’informatica è onnipresente, il software è divenuto un settore economico importante che merita di essere studiato. E nonostante i grandi monopolisti, in questa giovane industria c’è spazio per modelli di produzione diversi. Il fenomeno più interessante in tal senso è la comunità dei programmatori che attraverso Internet si scambiano programmi, li migliorano e li rimettono a disposizione degli altri. Nascono così prodotti collettivi migliori di quelli brevettati dalle grandi imprese: il sistema operativo Linux, i programmi che permettono la connessione via Internet, gli algoritmi crittografici più diffusi sono prodotti liberi entrati nell’uso comune. Berra e Meo raccontano la storia di questa comunità, nutrita della cultura libertaria degli anni Settanta, e dei suoi protagonisti, Linus Torvalds e Richard Stallman su tutti.

    Gli autori tracciano un’analogia tra il free software e le economie non capitalistiche in cui il dono è il principale modo di scambio, recentemente riscoperte (una ricca letteratura è citata in bibliografia). In queste organizzazioni sociali, lo scambio di doni serve a stabilire rapporti di fiducia e a indurre un potenziale nemico alla cooperazione. Anche nella società post-industriale molte interazioni economiche, come la produzione di software libero, si spiegano meglio con modelli basati sul dono piuttosto che sulla razionalità utilitaristica. Gli autori propongono diverse spiegazioni plausibili del fatto che molti programmatori rinuncino ai guadagni derivati dal diritto d’autore. Innanzitutto, l’attività di innovazione (si pensi alla ricerca scientifica) per tradizione valorizzerebbe la cooperazione. Inoltre, il software libero assicurerebbe una gratificazione personale che l’informatica tradizionale non consente, grazie alla reputazione acquisita nella comunità. I servizi collaterali all’installazione di un programma (la formazione, l’assistenza, la manutenzione) possono compensare la perdita degli introiti garantiti dal copyright. Quindi, si possono realizzare profitti anche senza diritto d’autore, e ciò spiega la fioritura di nuove società produttrici di software libero, decise ad applicare tecniche manageriali in un settore ancora vergine.

    L’”informatica solidale” costituisce dunque, secondo i punti di vista, un possibile superamento dell’economia capitalistica e un mercato da conquistare. L’analisi di Berra e Meo non risolve tale ambiguità. Se l’incentivo costituito dalla reputazione può apparire come un’alternativa al prezzo come misura del valore, la reputazione acquisita viene spesso valorizzata sul mercato tradizionale, permettendo all’impresa di recuperare alle sue leggi gli indisciplinati del free software (con il vantaggio di aver selezionato i migliori senza spendere una lira). D’altronde, le imprese hanno compreso l’importanza della collaborazione spontanea nell’economia attuale, investendo molte risorse per favorire la cooperazione tra i “prosumer” (producer + consumer).Il fenomeno del free software suggerisce comunque nuove potenzialità e problemi inediti. Innanzitutto, la diffusione di un’informatica trasparente può divenire il presupposto di un rapporto più maturo con la tecnologia che ci circonda, troppo spesso percepita come una misteriosa “scatola nera”. Infine, la produzione di innovazione tecnologica senza brevetto è incompatibile con le teorie economiche dominanti. Se non altro, ciò sottolinea la necessità di discutere tali dottrine (adottate come Vangelo da tutti i decisori istituzionali) anche oltre l’ambito della produzione informatica.

    LASCIA UN COMMENTO

    Please enter your comment!
    Please enter your name here