In diretta dal Sole

Dal Sole partono minuscoli “pacchetti di dati” che possono rivelare, in tempo reale, informazioni importanti sullo stato della “nostra” stella e sulle reazioni che avvengono al suo interno. Queste informazioni sono contenute nei neutrini, e l’unico strumento in grado di leggerle con elevata precisione si trova sotto il Gran Sasso. L’esperimento si chiama Borexino, e i suoi ultimi risultati sono appena stati presentati: lo strumento riesce a captare anche i neutrini a bassissima energia (sotto 1 MeV), che costruiscono oltre il 90% dei 60 miliardi di neutrini per centimetro quadrato emessi dal Sole che piovono sulla Terra ogni secondo. Borexino ne capta circa 50 al giorno, che non è affatto male se si pensa che gli altri due esperimenti analoghi condotti finora – il giapponese Superkamiokande e il canadese Sno – sono riusciti a catturare solo neutrini ad alta energia (5 MeV), che rappresentano una piccola parte di quelli emessi dalla stella.

Borexino è quindi l’unico esperimento al mondo che riesce a rilevare queste particelle e, se non bastasse, anche a studiarne l’ oscillazione (ovvero la trasformazione da un tipo a un altro): “Un fenomeno di nuova fisica, ovvero non previsto dal Modello Standard delle particelle elementari, e di cui restano da chiarire ancora diversi aspetti”, come ha commentato Gianpaolo Bellini dell’ Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), responsabile del progetto che oltre l’Italia vede coinvolti Usa, Germania, Francia e Russia. “I risultati di Borexino”, continua Bellini, “sono tra i più importanti ottenuti in fisica delle particelle negli ultimi anni”.

I neutrini sono le particelle più elusive scoperte finora; la loro massa non è ancora stata misurata, sono senza carica elettrica e raramente interagiscono con la materia, motivo per cui riescono ad attraversare “muri” spessi chilometri. Sono prodotti delle reazioni nucleari, quando un elemento decade in un altro perdendo energia. In questo processo, gli atomi perdono anche della massa: nel 1930, il fisico austriaco Wolfgang Pauli ipotizzò che venisse prodotta una particella neutra infinitesimale, che in seguito Enrico Fermi battezzò neutrino (in tutto se ne conoscono tre tipi: elettronico, muonico e tau).

Quelli prodotti dalle reazioni nucleari nel centro del Sole impiegano appena 3 secondi per raggiungerne la superficie (la luce, invece, impiega 100.000 anni). Proprio perché interagiscono poco con la materia, mantengono intatte le informazioni su come sono stati prodotti e possono dirci molto sul funzionamento del motore del Sole. Tra circa cinque miliardi di anni, quando la nostra stella starà per esplodere (ammesso di essere ancora su questo pianeta), grazie ai neutrini noi lo sapremo subito.

La straordinaria sensibilità di Borexino si deve alla sua struttura, che permette di abbassare incredibilmente la radioattività naturale, normalmente presente nei rivelatori, e che di solito maschera i neutrini di bassa energia.

Si tratta di una cupola di 16 metri di diametro che ospita 2.100 tonnellate di acqua (un primo schermo per le emissioni radioattive delle rocce e dell’ambiente); immersa nell’acqua vi è una sfera di acciaio che internamente presenta 2.200 foto-moltiplicatori (sensori in grado di captare i lampi di luce provocati dai neutrini). La sfera contiene anche 1.000 tonnellate di pseudocumene, idrocarburo usato come ulteriore schermo per la radioattività e che ospita una sfera di nylon; questa, a sua volta, contiene 300 tonnellate di liquido scintillante (guarda la gallery su Flickr).

Ecco cosa avviene: i neutrini si scontrano con gli elettroni dello scintillatore e trasferiscono loro parte dell’energia. Ne risulta un lampo di luce, che viene poi registrato dai foto-moltiplicatori. Di ogni urto è possibile misurare energia e posizione. Si è così visto, per esempio, che non esiste differenza nel flusso di neutrini tra giorno e notte.

Riferimenti: wired.it

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