Rosi BraidottiIn metamorfosiFeltrinelli, 2003pp. 354, euro 38,00Per leggere questo libro bisogna predisporsi ad affrontare un viaggio senza mete definite. Non a caso, Rosi Braidotti dedica “In metamorfosi” al rischioso salto con l’elastico del “bungee jumper” che si lancia da grandi altezze e riesce a tornare al punto di partenza rimbalzando nel vuoto. Lo stile quasi narrativo e il linguaggio immaginifico del testo sacrificano il procedere lineare delle argomentazioni ma riescono a rappresentare la complessità e le contraddizioni del mondo contemporaneo molto meglio di quanto non faccia solitamente la filosofia accademica. Cosa siamo? Cosa possiamo diventare? Rosi Braidotti s’interroga sui processi di trasformazione della soggettività contemporanea usando come lente d’ingrandimento l’analisi della cultura cosiddetta popolare e fa notare come il tema delle mutazioni genetiche si sia trasferito dai laboratori al cinema, alla letteratura di genere e in particolare alla fantascienza. Mostri tecnologici, ibridi scandalosi e virus che accelerano l’inesorabile estinzione della razza umana popolano l’apocalittico immaginario “post-nucleare”, di cui si nutre anche l’economia politica del terrore e della paura della catastrofe incombente: un fenomeno tipicamente giapponese e americano che dopo l’11 settembre 2001, il fantasma dell’antrace, la “guerra al terrorismo internazionale” e la Sars, sta diventando sempre più globalizzato. Ma i mostri non sono solo ambasciatori di cattivi presagi, sono anche profeti di un’umanità a venire e di un altro mondo possibile. Infatti l’immaginario sociale che Braidotti definisce “tecnoteratologico”, rende esplicita la crisi del “soggetto umanista”: l’uomo, catturato nella rete di un apparato tecnoscientifico che usa la vita come oggetto di manipolazione, non può più essere separato dalle sue protesi tecnologiche. La nuova relazione simbiotica tra “bios” e “tecnos” ha prodotto dei mutamenti antropologici che impongono il ripensamento della categoria moderna dell’umano a partire da ciò che ne è stato ostracizzato. Nel XIX secolo la tassonomia naturalistica si riarticola in base all’opposizione tra organico e inorganico: la “vita” diviene il principio organizzatore per eccellenza. Secondo Braidotti, il principio vitale dell’uomo è stato storicamente identificato con “bios”: l’essenza della natura umana sarebbe la vita della mente, la coincidenza del pensiero con la coscienza, il controllo della razionalità sulla vita. Ma “bios” ha una gemella “illegittima” che teme e che ha allontanato da sé: “zoe”, il corpo, “puro dispiegarsi delle sequenze biologiche”, una forza impersonale e ingovernabile che ci muove senza interpellarci, solitamente identificata con la vita animale. Nell’immaginario tecnoteratologico avviene quello che Sigmund Freud definirebbe “il ritorno del rimosso”: zoe si allea con tecnos per vendicarsi della sorella bios ed è proprio la sua familiarità a spaventarci di più. In realtà, ci ricorda Braidotti, a dispetto della tradizione del pensiero occidentale, nell’uomo bios e zoe convivono: “L’organismo umano non è interamente umano, e non è neppure soltanto un organismo. E’ una macchina astratta, che cattura, trasforma e produce interconnessioni. Il potere di un organismo come questo non può certo essere circoscritto dalla coscienza e ad esso limitato”. In effetti, Rosi Braidotti, e con lei tutta la teoria femminista, punta alla riscoperta delle radici corporee e affettive del pensiero e alla fondazione di una filosofia materialista che sappia riconciliare corpo e mente, separati dal dualismo cartesiano. Un’ecofilosofia che sappia riconoscere la stretta parentela tra “zoe” e “bios” e valorizzare la diversità dei principi vitali che animano l’uomo sostituendo al principio del “cogito”, un più umano “desidero ergo sum”.