Incontro di menti a Napoli

Di fronte ai rapidi progressi scientifici e tecnologici nel campo delle neuroscienze, come fare per mettere d’accordo ricercatori e cittadini in modo che il lavoro dei primi non vada in direzione troppo diversa dalle aspettative dei secondi? L’Unione Europea ha deciso di sperimentare proprio su questo tema un nuovo modello di partecipazione pubblica con il progetto Meeting of Minds. In ognuno dei nove paesi coinvolti, sono stati selezionati 14 cittadini “comuni”, scelti in modo da rappresentare un insieme eterogeneo per età, professione e zona di residenza, che a più riprese si sono riuniti per discutere dei principali temi che stanno emergendo dalla ricerca neuroscientifica, dal potenziale delle tecnologie di imaging ai nuovi farmaci, aiutati da esperti che rispondevano alle loro domande e li aiutavano poi a trarre le conclusioni. Un progetto ampio e ambizioso (la sua preparazione è iniziata nel 2002) e anche molto costoso, reso possibile grazie all’intervento, oltre che della Commissione Europea (nell’ambito del VI programma quadro) anche di diverse fondazioni private, con l’impegno soprattutto della Fondazione Re Baldovino del Belgio. Per l’Italia, il progetto è seguito dalla Fondazione Idis-Città della Scienza di Napoli, che ha selezionato e seguito il gruppo dei 14: dopo l’invio di una lettera di invito a un campione casuale di persone sul territorio nazionale, coloro che avevano dato la propria adesione sono stati catalogati, per poi estrarre una persona da ogni categoria: nel gruppo ci sono impiegati, neolaureati e studenti, un cuoco, un insegnante, un’infermiera, pensionati, una giornalista…un gruppo decisamente eterogeneo, con un solo tratto comune: nessuno si occupa professionalmente di neuroscienze né di ricerca scientifica. I quattordici si sono riuniti una prima volta nel maggio del 2005, confrontandosi poi con i colleghi europei poche settimane dopo. Da questi incontri sono emersi una serie di domande generali sulle implicazioni nelle neuroscienze che, raggruppati in sei temi (regolazione e controllo, normalità e diversità, informazione e comunicazione pubblica, pressione degli interessi economici, accesso equo alle cure, libertà di scelta), hanno costituito la base per i successivi incontri nazionali. La metodologia scelta era volutamente non rigida. Il campione non ha la pretesa di una reale rappresentatività statistica, e nemmeno sono state usate le metodologie standard di focus group della ricerca sociale. Il secondo incontro europeo, in cui ognuno dei gruppi presenterà formalmente i propri risultati, si svolgerà a Bruxelles dal 20 al 23 gennaio, e i risultati andranno poi a costituire la base di raccomandazioni politiche per l’indirizzamento della ricerca a livello comunitario. A sintetizzare i risultati preliminari ottenuti dal gruppo italiano è il direttore della Fondazione Idis-Città della Scienza, Luigi Amodio. “Rispetto al tema nel suo complesso, quello che salta all’occhio è che se per la comunità scientifica le neuroscienze riguardano essenzialmente i rapporti tra mente e cervello, la memoria o la coscienza, l’interesse dei cittadini si concentra sugli aspetti clinici, sulla ricerca sui disturbi mentali o sulle patologie degenerative” spiega. Inevitabile chiedersi che fine faranno le indicazioni emerse da questo panel di cittadini europei, e se possano davvero bastare ad assicurare che la ricerca vada avanti con maggiore attenzione alle reali richieste delle persone. “Chiaramente si tratta di iniziative ancora sperimentali” spiega Amodio, “e anche il modo in cui queste informazioni verrano tradotte in raccomandazioni politiche andrà definito in corso d’opera. Di sicuro c’è, a livello europeo, un grande sforzo per trovare forme di partecipazione dal basso dei cittadini al processo scientifico, per evitare che si ripropongano in altri campi i conflitti aperti verificatisi nel settore ambientale. Tuttavia, credo che il valore di queste iniziative sia soprattutto quello di veri e propri strumenti di comunicazione, molto più che di raccolta di dati. In quest’epoca di progresso così rapido, la divulgazione scientifica tradizionale, fatta sui grandi media, non basta probabilmente più a consentire ai cittadini di seguire quello che sta succedendo nel mondo della scienza. Servono anche spazi in cui discutere in profondità, con un numero necessariamente ristretto di persone, ma creando una consapevolezza molto maggiore dei problemi che, nel tempo e con il moltiplicarsi delle iniziative, può diffondersi in modo altrimenti impossibile”.

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