Incubo etico

Sonia Shah
Cacciatori di corpi
Nuovi Mondi Media 2007, pp. 275, euro 17,50

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Nell’ultimo anno abbiamo assistito a una moltiplicazione esponenziale dei libri e dei saggi che puntano il dito sulle industrie farmaceutiche, sui meccanismi che Big Pharma utilizza per vendere i farmaci, sulla corruzione dei medici ‘comprati’ a suon di convegni in luoghi esotici e sull’assunzione di opinion leader che, come testimonial, non solo vengono pagati migliaia di dollari o di euro, ma diventano veri e propri azionisti delle aziende farmaceutiche. La pentola del conflitto di interessi, insomma, ribolle e cresce la voglia di giornalisti e osservatori di scoperchiarla per osservare da vicino un fenomeno sempre più sfacciato.

Di certo non si può pensare di boicottare le industrie farmaceutiche tout court: se abbiamo mal di testa prendiamo un analgesico, se abbiamo un tumore, a maggior ragione tenteremo di curarci al meglio delle possibilità. Ma forse è tempo che i cittadini siano un po’ più consapevoli, per saper scegliere meglio. Conoscere per decidere.

Sonia Shah è una rinomata scrittrice e giornalista d’inchiesta che scrive per “The Washington Post”, “The Boston Globe”, “New Scientist” e “The Nation”. Sa ciò di cui parla e si è guadagnata una prefazione scritta da John Le Carrè, romanziere, sì, ma di un libro ‘Il giardiniere tenace’ che indagava e portava alla luce, proprio la parte più nascosta e segreta di una industria controversa.

Sonia Shah alza il velo sui meccanismi della sperimentazione, su quel lungo e controverso processo necessario alla immissione in commercio di un farmaco. Si tratta di un punto nodale per le industrie: dai risultati della sperimentazione dipende il futuro di un farmaco. Ma, in Occidente, sempre meno persone sono disponibili a fare da cavie per i trial. La soluzione geniale è quindi quella di eseguire gli studi clinici più rischiosi su persone che si ritiene non abbiano niente da perdere, per esempio gli abitanti dei paesi in via di sviluppo. I giganti del farmaco bussano quindi alle porte di India, Cina, Russia alla ricerca di cavie umane, a buon mercato e soprattutto che non siano consapevoli dei propri diritti.

D’altronde per lanciare sul mercato un singolo farmaco un’azienda ha bisogno di più di 4000 pazienti, ciascuno sottoposto a più di 140 procedure mediche in oltre 65 diversi esperimenti. Per gli screening iniziali servono almeno 100mila persone. La spesa per ogni paziente che aderisce alla sperimentazione è di circa 1500 dollari e bisogna considerare che circa il 90 per cento dei farmaci non ottiene l’approvazione della Food and Drug Administration, il che si traduce in una perdita secca. Il risultato è che minimizzare i costi è una esigenza fondamentale.

Ma tra i pazienti occidentali c’è sempre meno disponibilità a partecipare a un trial, anche dietro pagamento: meno di un americano su 20 sarebbe disposto a partecipare a una sperimentazione clinica e anche tra i malati di cancro (la categoria che avrebbe più da guadagnare dai nuovi trattamenti sperimentali) meno del 4 per cento partecipa come volontario.

Per aggirare questo ostacolo le industrie si affidano alle Cro (Contract Research Organizations) che dietro un sostanzioso compenso forniscono soggetti e risultati. Come? Al di fuori degli Stati Uniti perché alla Fda non interessa affatto dove si sia svolta la sperimentazione. La tendenza delle grandi multinazionali a condurre sperimentazioni sull’essere umano nei paesi in via di sviluppo è ancora all’inizio, ma i maggiori produttori mondiali già conducono tra il 30 e il 50 per cento dei loro esperimenti fuori dagli Usa e dall’Europa Occidentale e secondo “USA Today”, avrebbero in progetto di arrivare al 67 per cento entro il 2006. D’altro canto nei paesi più poveri ci sono orde di pazienti privati della possibilità di accedere a farmaci necessari alla loro sopravvivenza e ospedali strangolati dalla mancanza di denaro.

Il paradosso è che in queste nazioni vengono sperimentati farmaci contro colesterolo, depressione e disfunzione erettile su persone che hanno bisogno, invece, di medicine per la tubercolosi e la malaria. Insomma, la sperimentazione è su di loro ma non per loro. Che avrebbero bisogno solo di molecole economiche e assolutamente non appetibili per le industrie.

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