Influenza, quando le aziende “forzano” i risultati

Quando si tratta di scegliere una nuova terapia è bene chiedere il parere di un medico. Ma, purtroppo, non è detto che i dottori abbiano a disposizione i dati necessari per fare le scelte migliori. Soprattutto quando si tratta di prodotti contro l’influenza. In effetti, spesso gli studi sull’efficacia dei nuovi farmaci sono finanziati dalle stesse case farmaceutiche che li producono, e tendono a ingigantirne benefici. Lo sostitene una ricerca pubblicata dalla Cochrane Library che mette in guardia sulla presenza di distorsioni (bias) nelle pubblicazioni scientifiche.

Il team di ricerca internazionale coordinato da Andreas Lundh, medico del Nordic Cochrane Centre, riporta che in genere gli studi finanziati dalle case farmaceutiche tendono ad essere molto più accondiscendenti nei confronti di farmaci e dispositivi medici dell’azienda rispetto a quelli condotti senza partnership commerciale. Gli scienziati hanno preso in considerazione 48 ricerche, pubblicate dal 1986 al 2010 e sposorizzate o meno dalle case farmacceutiche. Nel dettaglio, le ricerche campionate dal team di Lundh comprendevano 37 pubblicazioni su nuovi farmaci, 1 su un dispostivo medico, 1 su un dispositivo medico e farmaco, e 9 su interventi di natura ibrida (farmacologica, strumentale e comportamentale).

L’equipe della Cochrane ne ha individuate 28 che si esprimevano solo in termini positivi, 16 che nei risultati mediavano tra benefici e rischi di bias e 4 che esprimevano esclusivamente dubbi sulle nuove terapie, osservando una correlazione tra ricerche accondiscendenti e studi sponsorizzati dall’industria farmaceutica. La maggior parte di bias sarebbe dovuta alla presunta solidità degli esperimenti in doppio cieco, per cui gli studi finanziati dalle case farmaceutiche si esprimono con maggiore sicurezza rispetto alla controparte senza partnership. Una tendenza sospetta che, per assurdo, si rispecchia nella divergenza tra risultati e conclusioni (in genere favorevoli) della ricerca.

Una incongruenza non da poco visto che ogni studio preso in esame dalla Cochrane può accrescere la propria credibilità attraverso citazioni da parte di altre ricerche su antipsicotici, antidepressivi e farmaci contro l’influenza. “Lo sponsor dovrebbe essere riportato negli studi originali pubblicati” ha detto Lisa Bero, tra gli autori dello studio e docente del Dipartimento di Farmacia Clinica presso l’Università della California di San Francisco “ma deve essere preso in considerazione anche quando i risultati degli studi sono riportati in altri studi o documenti”.

Non a caso, l’iniziativa della Cochrane ha ispirato una campagna del Bmj (British Medical Journal) per fare chiarezza sul Tamiflu, il farmaco anti-influenza targato Roche la cui reale efficacia ha suscitato molti dubbi. Certo, non tutta la ricerca sponsorizzata dalle big pharma è sotto accusa, ma per fugare ogni dubbio servono maggiore chiarezza, accesso ai dati e trasparenza a tutti i livelli (vedi Galileo: Anche gli scienziati gonfiano le notizie). Come sostiene Ben Goldacre, medico e columnist del Guardian: “Con tutti problemi della scienza, una delle migliori cose che possiamo fare è alzare il coperchio e sbirciare”.

Riferimenti: The Cochrane Library Doi: 10.1002/14651858.MR000033.pub2

Credits immagine: Wouter van Doorn/Flickr

1 commento

  1. Il motivo della divergenza è semplicissimo e fa riferimento alla motivazione che è dietro all’esecuzione degli studi clinici.
    I cosiddetti “non-industry sponsored studies” sono tendenzialmente progettati da accademici “super partes” che, in fondo, non subiscono particolari ripercussioni negative dal mancato successo dello studio che eseguono (e possono anche essere più oggettivi e distaccati rispetto all’analisi dei dati). Sono quindi studi progettati in modo tale da assumersi – in modo aperto – un elevato rischio di fallimento, che poi è accettato in modo tendenzialmente disinvolto. Invece, negli studi sponsorizzati dall’industria vi è una maggiore “ossessione” nel ricercare il risultato comunque positivo. E quindi si mettono in cantiere degli studi che – pur nel rispetto delle regole della metodologia più rigorosa e anzi esasperando fin che si può in tale rispetto – siano caratterizzati da una estrema minimizzazione dei rischi, perchè colui che nell’azienda ha sponsorizzato uno studio che ha dato luogo a un esito negativo, dovrà poi comunque renderne conto all’Amministratore Delegato e agli azionisti. P.S. anche le analisi dei dati tendono sistematicamente a “vedere il bicchiere mezzo pieno”. Devono essere compitio dei peer reviewer e degli editorialisti quello di portare l’attenzione anche sulla parte di verità del “bicchiere mezzo vuoto”!

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