Il 15% dei morti per Covid è legato all’inquinamento dell’aria

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Immagine di  JuergenPM via Pixabay 

Lo sappiamo: l’inquinamento uccide. In Europa ben un decesso su 8 è dovuto all’inquinamento, a causa di malattie polmonari e cardiovascolari (ma non solo), secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente. Non stupisce, pertanto, che lo smog possa avere un ruolo anche nel favorire i contagi da coronavirus e nello sviluppo di infezioni gravi. Oggi uno studio del Max Planck Institute for Chemistry in Germania ha quantificato per la prima volta il contributo dell’inquinamento. E ha stimato che un’alta esposizione agli inquinanti atmosferici potrebbe aumentare del 15% la mortalità per Covid-19. I risultatipubblicati su Cardiovascular Research, forniscono un’ulteriore conferma e un monito ad agire presto contro tutte le forme di inquinamento.

Il legame fra inquinamento e Covid-19

Sul legame fra smog e Covid-19 si è discusso molto sin dall’inizio della pandemia, anche in seguito all’osservazione della presenza di tracce del coronavirus sul particolato e così all’ipotesi – poi smentita – che le polveri sottili potessero veicolare il Sars-Cov-2. L’inquinamento atmosferico sembrerebbe però avere un peso nell’impatto del coronavirus. Diverse ricerche, infatti, hanno mostrato che nelle zone più inquinate aumenta il rischio di contrarre l’infezione e anche quello di andare incontro a forme più gravi, soprattutto per i soggetti più suscettibili. Ma in che misura? Si può quantificare questo maggior rischio?

Le polveri sottili PM2.5

Lo studio ha messo a fuoco il ruolo delle polveri sottili PM2.5, particolato fine, di diametro uguale o più piccolo di 2,5 micrometri. Di dimensioni pari al 3% dello spessore di un capello umano, queste particelle penetrano facilmente nei polmoni. In buona parte derivano da attività umane, prodotte ad esempio nei processi di combustione per il riscaldamento domestico, da veicoli a motore e molte attività industriali.

Covid-19, l’inquinamento complice

Lo studio stima quanti decessi per Covid-19 possano essere collegati all’inquinamento dell’aria incrociando i dati italiani raccolti durante la pandemia di Covid-19, i dati cinesi relativi alla Sars nel 2003 e i dati satellitari sull’esposizione alle PM2.5.

Dall’analisi è emerso che in media a livello globale lo smog peserebbe per il 15% nella mortalità per Covid-19, con differenze notevoli fra i paesi. Il peso maggiore si rileva in Repubblica Ceca (29%), in Cina (27%), in Germania (26%). L’Italia si allinea alla media globale con il 15%, mentre valori più bassi si hanno per Israele (6%), Australia (3%) e Nuova Zelanda (1%).


“Coronavirus: l’inquinamento può aver contribuito all’elevata mortalità nel Nord Italia”


Ma che vuol dire che l’inquinamento contribuisce al 15% dei decessi? Prendiamo il caso del Regno Unito, dove il 14% dei decessi per Covid risulta associato all’inquinamento. Statisticamente, questo significa che 1 morto per Covid su 7 è dovuto all’esposizione all’inquinamento e che, come spiega il coautore Jos Lelieveld, su 44mila morti nel paese più di 6mila sarebbero in parte da ricondurre allo smog. Ripetendo questo calcolo con i dati italiani, avremmo che su più di 37mila decessi circa 5.700 sarebbero collegati in qualche modo alla esposizione ad inquinanti nell’aria.

Il particolato agisce su Ace2

I processi con cui l’aria inquinata può danneggiare le vie respiratorie sono vari. Il nostro organismo si difende da agenti estranei, come patogeni, in diversi modi, e un’alta esposizione al particolato, può indebolire questa difesa e causare infiammazione. Nel caso del coronavirus, oltre al danno generale le polveri sottili interferirebbero con uno dei meccanismi chiave con cui il virus infetta le cellule. “Il particolato atmosferico – spiega Thomas Münzel della Johannes Gutenberg University – sembra aumentare l’attività di un recettore sulla superficie delle cellule, chiamato Ace2”. E sappiamo che proprio Ace2 favorisce l’accesso del coronavirus nelle cellule. “Abbiamo un doppio colpo: l’inquinamento dell’aria danneggia i polmoni e favorisce l’attività di Ace2”, prosegue Münzel: “Che a sua volta porta a un aumentato assorbimento del virus da parte dei polmoni e probabilmente anche dei vasi sanguigni e del cuore”.

Riferimenti: Cardiovascular Research

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