Un’interfaccia neurale in un paziente locked-in per comunicare con l’esterno

interfaccia neurale
(Foto: Nathaniel Shuman on Unsplash)

Riuscire a comunicare nuovamente con parenti e caregiver tramite un innovativa interfaccia neurale (Bci). È questo lo straordinario risultato raggiunto da un team di ricerca internazionale, che ha permesso a un paziente affetto da una grave malattia neurodegenerativa e completamente paralizzato di poter tornare in contatto con il mondo esterno

Come raccontano i ricercatori nello studio, appena pubblicato sulle pagine di Nature Communications, questa è la prima volta che un impianto cerebrale viene utilizzato con successo, o meglio sia stato in grado di leggere l’attività cerebrale di un paziente con sindrome locked-in completa, una condizione in cui si è coscienti ma non ci si può muovere perché completamente paralizzati.

Il profilo del paziente

Il paziente, precisiamo, è affetto dalla sclerosi laterale amiotrofica (Sla), una malattia neurodegenerativa progressiva che porta appunto alla paralisi e alla morte. Inizialmente, per comunicare ha utilizzato un sistema di tracciamento oculare, che consente la lettura del movimento degli occhi. Molto rapidamente, tuttavia, il paziente ha perso anche la capacità di direzionare lo sguardo, così il team di ricercatori ha deciso di sottoporre il paziente a un intervento chirurgico invasivo, impiantando due array di microelettrodi nella sua corteccia motoria.

Ricordiamo che già in precedenza diversi studi avevano monitorato la capacità dei pazienti con sindrome locked-in di comunicare con le interfacce neurali, ma nessuno di questi era riuscito a farlo una volta raggiunta la paralisi completa, quindi anche il controllo sul movimento degli occhi


La cuffia che legge i pensieri dei pazienti locked-in


L’ipotesi fino a oggi, infatti, era che una volta perso completamente il controllo sul movimento fisico, anche i segnali neurali sarebbero andati persi, rendendo impossibile la comunicazione cerebrale. Questo nuovo studio, così, allontana quest’idea mettendo un punto al lungo dibattito sulle capacità dei pazienti negli stadi più gravi della malattie neurodegenerative. “Questo studio risponde a una domanda di vecchia data sul fatto che le persone con sindrome del locked-in completa – che hanno perso tutto il controllo muscolare volontario, compreso il movimento degli occhi o della bocca – perdano anche la capacità del cervello di generare comandi per la comunicazione”, ha commentato il coautore Jonas Zimmermann del Wyss Center di Ginevra.

Lo studio

Come viene descritto nello studio, i ricercatori hanno inizialmente chiesto al paziente di immaginare il movimento della mano, del braccio o del piede, ma l’interfaccia neurale non è stata in grado di rilevare alcun segnale affidabile. Dopo circa tre mesi dall’intervento, i ricercatori hanno deciso di cambiare strada, adottando un nuovo approccio basato sul neurofeedback uditivo, una tecnica con la quale i pazienti riescono a modulare attivamente la propria attività cerebrale. Al paziente è stato riprodotto un tono che corrispondeva alla velocità della sua attività neurale. Quando le cellule aumentavano la loro velocità di scarica, il tono aumentava, mentre un’attività inferiore produceva un tono più basso. Il paziente così è stato in grado di aumentare o diminuire la sua attività neurale per ottenere uno dei due toni target (il tono più alto indicava un “sì”, mentre il tono più basso significava “no”).

Da qui, il paziente ha acquisito la capacità di selezionare le lettere lette dall’interfaccia (una al minuto), permettendogli di comporre parole e formulare frasi. “Il successo della comunicazione è stato precedentemente dimostrato con l’interfaccia neurale in individui con paralisi. Ma, per quanto ne sappiamo, il nostro è il primo studio a raggiungere la comunicazione da parte di qualcuno che non ha più movimenti volontari e quindi per il quale l’interfaccia è l’unico mezzo di comunicazione”, ha concluso Zimmerman. 

Sebbene il sistema utilizzato non sia attualmente disponibile al di fuori della ricerca clinica, la tecnologia, ha aggiunto il coautore Niels Birbaumer dell’Università di Tubinga, sta cambiando la vita: “Con la comunicazione, la qualità della vita è migliore nei pazienti affetti da Sla. Anche lo standard di cura dovrebbe migliorare notevolmente se possiamo chiedere ai pazienti informazioni su dolore, sintomi”.

Via: Wired.it

Credits immagine: Nathaniel Shuman on Unsplash