Isolati i geni che fanno funzionare i globuli rossi

Sono microscopici e senza non potremmo sorpavvivere. Sono i globuli rossi, gli autobus su cui viaggia l’ossigeno nel sangue. Così importanti che una loro riduzione (nel numero e/o nella funzione) è causa di anemie, malattie molto diffuse che causano nei malati infezioni, affaticamento e debolezza fino addirittura alla morte. Nonostante i molti progressi fatti finora, i meccanismi molecolari alla base delle anemie però non sono ancora completamente chiari e un nuovo studio multicentrico pubblicato su Nature prova oggi a far chiarezza sull’argomento. Combinando tecniche di analisi genomica con i dati ottenuti da pazienti e organismi-modello (topi e moscerini), i ricercatori hanno identificato 75 regioni contenenti 121 nuovi geni necessari al corretto funzionamento dei globuli rossi, che se alterati causano sintomi caratteristici delle anemie nei topi.

Per identificare le regioni geniche necessarie per il corretto funzionamento dei globuli rossi gli scienziati hanno combinato i risultati di diversi studi di associazione estesi a tutto il genoma (Gwas) condotti su oltre 135.000 persone in un’unica analisi statistica. Questo tipo di studio permette di identificare le varianti genetiche associate a particolari caratteristiche fenotipiche e, basandosi su un numero di campioni molto elevato, consente di isolare anche quelle differenze rare responsabili di specifici caratteri patologici.

“Nella nostra analisi abbiamo identificato 75 regioni geniche correlate con sei parametri funzionali specifici per i globuli rossi, tra cui il loro numero, il volume e il contenuto di emoglobina”, spiega John Chambers, uno dei responsabili dello studio presso l’Imperial College di Londra: “Di queste 75 regioni, 43 sono nuove e non erano state identificate in precedenza”.

Usando tecniche di biologia computazionale i ricercatori hanno mappato in queste regioni 121 “potenziali regolatori” dei globuli rossi, tra i quali figurano geni già coinvolti in disordini quali l’anemia emolitica, alterazioni del metabolismo del ferro e dell’emoglobina e altri disordini che influenzano la morfologia degli eritrociti. I geni candidati sono maggiormente espressi nelle cellule precursori dei globuli rossi soprattutto negli stadi finali di differenziamento, confermando il loro coinvolgimento nella regolazione dell’emopoiesi, il processo di formazione degli eritrociti. Inoltre, da un punto di vista clinico, alcune varianti geniche identificate erano associate con le caratteristiche fenotipiche dei globuli rossi presenti in individui affetti da talassemia, o anemia mediterranea, una malattia genetica molto diffusa causata da difetti della sintesi dell’emoglobina.

Un aspetto interessante della ricerca, secondo il coautore dello studio Willem Ouwehand, dell’Università di Cambridge, è che nel Mouse Genome Database erano presenti dati su 29 dei 121 “regolatori”, la cui inattivazione induceva negli animali problemi ematologici quali riduzione del numero dei globuli rossi e delle cellule emopoietiche staminali. Questo ruolo di controllo dell’emopoiesi era conservato anche nella Drosophila melanogaster (il moscerino della frutta), come hanno dimostrato studi di silenziamento dell’espressione genica (sebbene i moscerini non abbiano globuli rossi, ma condividano comunque alcuni tratti riguardo la formazione dei componenti del sangue).

“Questi risultati sono molto eccitanti”, sostiene Nicole Soranzo, una delle autrici che lavora presso il Wellcome Trust Sanger Institute: “e confermano che gli studi Gwas possono portare alla luce varianti genetiche che sono conservate durante l’evoluzione e il cui impatto sulla salute dell’essere umano può essere studiato almeno in parte usando organismi-modello. È chiaro che i meccanismi molecolari tramite cui questi geni agiscono sia biologicamente sia patologicamente devono ancora essere elucidati, ma – conclude l’autrice – le nostre ricerche rappresentano il punto di partenza per studi futuri che potrebbero migliorare il trattamento dei pazienti affetti da anemia”.

Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature11677

Credits immagine: Stephen Begin/Flickr
 

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