Italiani con la valigia

“Immigrazione” è una parola che ricorre spesso sui giornali in questo periodo. Ma quello dei flussi di persone che arrivano in Italia provenienti dalle regioni in crisi (economica, politica, sociale) è solo uno degli aspetti della questione. Perché, a parte il fatto che per decenni gli italiani sono emigrati in ogni angolo del mondo, anche lo spostamento delle persone all’interno del nostro territorio non è mai cessato. Certo, il fenomeno non ha più le dimensioni imponenti degli anni Sessanta, quando le campagne del meridione si svuotavano per riempire le fabbriche delle grandi città del nord. Ma è comunque sufficiente a destare l’interesse di chi studia i flussi demografici. E si tratta di un fenomeno molto più complesso e variegato, da cui emerge che ad attirare i lavoratori e le loro famiglie non è più la grande città, ma piuttosto la grande provincia. Tutto ciò emerge da una ricerca dell’Istituto di ricerche sulla popolazione del Cnr (Irp) coordinata da Corrado Bonifazi e che verrà pubblicata a settembre. Lo studio ha analizzato i dati anagrafici raccolti dall’Istat negli anni tra il 1955 e il 1994.

Il fenomeno della mobilità interna, cioè gli spostamenti definitivi all’interno del territorio nazionale, ha ancora dimensioni importanti. Se è vero che il 67,9% dei nuovi iscritti nei comuni dell’Italia Nord-occidentale, il 63% in quelli dell’Italia centrale e il 49,8% nell’Italia Nord-orientale continua a provenire dal Mezzogiorno, è però anche vero che il meridione non è più una realtà omogenea. “Quando abbiamo analizzato la situazione nelle singole province abbiamo verificato che alcune sono rimaste zone depresse, cioè con un flusso migratorio in uscita costante dal 1955 a oggi, altre presentano invece una situazione più simile a quella delle province del Centro-Nord”, spiega Angela Chieppa, ricercatrice dell’Irp. I ricercatori hanno quindi suddiviso l’Italia meridionale in due zone principali. La prima è caratterizzata ancora da una forte migrazione: dalle zone più depresse di Calabria, Puglia e Sicilia (rosso scuro nella mappa) ci si sposta verso le ricche province del Centro e del Nord-Ovest come Parma, Siena, Ivrea (verde). Nella seconda, invece, (rosso chiaro) si registra pur sempre una perdita migratoria, ma di dimensioni meno preoccupanti. E qui ecco una sorpresa: i flussi migratori che si registrano in queste zone sono analoghi a quelli che interessano città come Milano, Genova, Torino e Roma, fino a ieri meta degli emigranti ma da cui oggi i cittadini preferiscono partire.

Ma non sono solo i luoghi di partenza a essere cambiati. Anche quelli di arrivo presentano importanti novità. “L’immigrazione intensa degli anni Sessanta”, prosegue Chieppa, “era caratterizzata dal processo di urbanizzazione, e le mete più ambite erano le grandi città del Nord. Ma dal 1975 in poi, con la crisi petrolifera, si è registrata una sempre minore attrazione dei grossi poli industriali”. Oggi, a farla da padrone sono le zone di provincia, tra le quali si intrecciano le nuove reti di rapporti economici. Vi è poi una vasta area che comprende il Nord-Est e le regioni adriatiche in cui gli spostamenti migratori sono minimi, sia in arrivo che in partenza. Gli abitanti di queste regioni si muovono poco, o se lo fanno non vanno molto lontano.

Ma chi è il nuovo emigrante? “Se nel passato a emigrare erano soprattutto gli uomini, oggi il divario fra mobilità maschile e femminile non è più così netto”, risponde Chieppa, “le differenze sono più sottili e riguardano l’età e le ragioni dello spostamento. Gli uomini, infatti, si muovono in media entro i 32 anni e vanno alla ricerca di un posto di lavoro; le donne, invece, si spostano fino a 29 anni e, a portarle lontane da casa, è soprattutto il desiderio di raggiungere il proprio fidanzato o marito”. In sostanza, quindi, la migrazione maschile ha ancora connotati “labour-dominant”, mentre nel caso delle donne è la componente “family-dominant” ad avere una forte influenza. Altra novità è che oggi chi parte ha spesso un grado d’istruzione superiore rispetto a chi resta, mentre nella hit-parade dei posti più ambiti rimangono la Pubblica amministrazione e i servizi pubblici e privati. Una volta raggiunta la terza età, oramai in pensione, l’emigrante torna nel suo paese o città di origine, dando così vita al fenomeno detto migrazione di ritorno, l’unico flusso dal Centro-Nord verso il Sud che i ricercatori sono riusciti a individuare.

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