Sembra che certe regole valide all’interno del nostro Sistema solare non siano universali. Kepler, la sonda spaziale della Nasa a caccia di esopianeti, ha appena individuato due nuovi mondi in orbita attorno alla stessa stella, Kepler-36: uno di questi è una Super-Terra massiccia e rocciosa, mentre l’altro è avvolto di gas e assomiglia a Nettuno. Eppure i due corpi celesti sono trenta volte più vicini di qualsiasi altra coppia all’interno del nostro sistema. La scoperta, pubblicata su Science, rappresenta una sfida per i modelli di formazione ed evoluzione dei pianeti.
All’interno del Sistema solare gli astronomi avevano le loro loro certezze: i pianeti più vicini al Sole sono più densi e rocciosi, mentre quelli più lontani sono gassosi e hanno una densità decisamente inferiore. La scoperta recente che intorno ad altre stelle le cose possano funzionare diversamente, e che nelle immediate vicinanze di soli lontani orbitino pianeti giganti, i Giovi caldi, è stato un primo indizio che non tutti i sistemi planetari si comportano come il nostro. Adesso il gruppo di Joshua Carter, della Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, ha scoperto quest’altra violazione alle leggi nostrane: i due pianeti in orbita attorno alla stessa stella, trenta volte più vicini di qualsiasi coppia di pianeti del Sistema solare, anche se uno è otto volte più denso dell’altro.
Insomma, dopo i pianeti gemelli della nostra Terra, i più piccoli esopianeti mai osservati e le vibrazioni delle stelle, il telescopio Kepler ci regala questa nuova sorpresa (vedi Galileo, I più piccoli esopianeti mai scoperti; Kepler, spettacolo di vibrazioni stellari; Una tavola periodica per gli esopianeti). Kepler-36 è uno dei 150.000 astri che la sonda tiene costantemente d’occhio nella speranza di scovare un pianeta simile al nostro. Analizzando i dati su questo corpo celeste, i ricercatori hanno scoperto i due pianeti che le ruotano attorno, denominati con poca fantasia b e c. Il sistema planetario è stato individuato con la cosiddetta tecnica dei transiti, osservando cioè le variazioni di luminosità della stella causate dal passaggio dei pianeti, in analogia col fenomeno dell’eclissi.
Dall’analisi degli spettri di Kepler-36, gli scienziati hanno ricavato la sua temperatura e la sua “metallicità”. Dalle vibrazioni, hanno potuto stimarne la densità, che è circa il 25 per cento di quella del Sole. Così sono riusciti a stabilire con grande precisione la massa e il raggio, che ne rendono una stella sub-gigante, 2-3 miliardi di anni più anziana del nostro Sole, più calda e meno metallica.
Secondo il modello che riproduce tutti i dati osservati, le dimensioni del pianeta b sono coerenti con quelle di una Terra rocciosa, con circa il 30 per cento della massa costituito da ferro e con una scarsa quantità di elementi volatili – idrogeno, elio, acqua. Al contrario, il pianeta c è ricco di elementi volatili, è meno denso dell’acqua e possiede un’atmosfera di idrogeno ed elio. Il modello rivela anche che i due pianeti percorrono orbite quasi circolari, situate quasi sullo stesso piano e molto ravvicinate. Al momento di congiunzione, i corpi si vengono a trovare a 0,013 unità astronomiche. In pratica, nel cielo di b, c appare 2,5 volte più grande della Luna piena vista dalla Terra.
Questa piccola distanza orbitale, accompagnata da un elevatissimo contrasto di densità, rappresenta un vero e proprio grattacapo per le teorie di formazione ed evoluzione dei pianeti. Una soluzione è che i due pianeti si siano formati a una distanza congrua con le “nostre regole” e che poi un fenomeno di migrazione planetaria li abbia avvicinati. Un’altra possibilità, che non esclude la precedente, è che la composizione e la densità dei pianeti sia cambiata nel tempo per effetto, per esempio, della radiazione di Kepler-36.
Science DOI: 10.1126/science.1223269
Nell’immagine, una rappresentazione artistica: vista dal pianeta Kepler-36 b (credit: Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics/David Aguilar)