Categorie: Società

La mappa della scienza globale

Nature non ha dubbi: non solo la scienza si sta globalizzando, ma in futuro non potrà che esserlo ancora di più. In un editoriale – accompagnato da diversi articoli e commenti di approfondimento – la rivista inglese ha ricostruito il modo in cui i ricercatori si spostano da un paese all’altro, collaborano e accettano progetti, mettendo insieme una mappa della ricerca mondiale, che mostra la direzione verso cui procede la scienza del futuro.

Per farlo c’è bisogno di numeri, dati, statistiche, e così Nature ha fatto ricorso all’indagine GlobSci, un progetto (che verrà pubblicato nella sua interezza su Nature Biotechnology di dicembre) in cui sono stati intervistati 17mila ricercatori di 16 paesi e 4 campi differenti. Obiettivo primario: studiarne i movimenti attraverso i dipartimenti di tutto il mondo.

I risultati interessanti sono stati diversi, e più o meno attesi. Il podio della scienza più internazionale spetta, nell’ordine, a Svizzera, Canada e Australia. L’Italia si colloca al penultimo posto nella classifica, con appena il 3% di cervelli stranieri (per lo più francesi, tedeschi e spagnoli). Quando invece si guarda alle “spedizioni” di cervelli da un paese all’altro i maggiori emigranti sono gli indiani, seguiti da Svizzera e Paesi Bassi (in questo caso noi ci posizioniamo a metà classifica). Chiara Franzoni del Politecnico di Milano, e parte dell’indagine, ha quindi analizzato chi si muove di più, scoprendo come praticamente in tutti i casi i più “mobili” siano i postdoc rispetto ai docenti.

Analizzando i dati in senso più ampio, quel che emerge dall’analisi proposta su Nature è che le grandi e vecchie superpotenze della ricerca – Europa e Stati Uniti – sono in (relativo) declino. L’entrata nel mercato globale di nazioni emergenti come l’India e la Cina, infatti, sta spostando gli equilibri non soltanto a livello geo-politico ma anche per quanto riguarda quantità e qualità della ricerca. L’Oriente infatti ha ormai capito che gli investimenti nella scienza forniscono un vantaggio competitivo fondamentale, e il loro budget per la ricerca e lo sviluppo è in continua crescita. Questi paesi riescono così anche ad aumentare la loro capacità di attrarre cervelli.

Tuttavia, continua Nature, questo non implica necessariamente che la ricerca di eccellenza continuerà a essere collegata a una nazione o all’altra, come invece si è verificato fino a questo momento. Un paradosso, in apparenza. Ma ci sono almeno due ragioni a giustificarlo: se non c’è dubbio che le “migrazioni” stiano aumentando, è altrettanto vero che sono sempre più diffuse forme innovative di collaborazione fra scienziati. Tramite Internet, per esempio, o con brevi visite in istituti di ricerca stranieri, o persino con articoli scientifici che ormai possono avere centinaia – quando non migliaia – di autori. 

Cosa succede a questo punto, si domanda Nature, se un Nobel è vinto da uno scienziato giapponese che ha studiato a San Francisco? E se dei ricercatori coreani lavorano nello stesso laboratorio di un Nobel americano? Di chi è davvero la paternità di una scoperta, in questi casi: americana, giapponese o coreana?

Riferimenti: Nature

Credits immagine: Jasiek Krzysztofiak

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