La natura della diversità

Daniel R. Brooks, Deborah McLennan
The Nature of Diversity. An Evolutionary Voyage of Discovery
The University of Chicago Press, 2002
pp.668+ XIII, euro 34,63

Alessandro Baricco, nel monologo “Novecento”, scrive: “Non sei fregato veramente se hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla”. A quasi un secolo e mezzo dalla pubblicazione del capolavoro di Darwin “L’origine delle Specie”, le storie da raccontare sui temi dell’evoluzione sono ancora molte. Anzi, secondo gli autori di questo studio, un aspetto fondamentale della teoria darwiniana è stato sottovalutato. Tagliando con l’accetta, ma con più di una giustificazione, Brooks e McLennan riconducono gli studi evoluzionisti a due punti cardinali indicati dallo stesso Darwin: la discendenza comune degli organismi (filogenesi) e lo stretto legame tra le specie e il loro ambiente (adattamento). Quest’ultimo lato della questione ha effettivamente ricevuto maggiori attenzioni nei programmi di ricerca in tutto l’arco del Novecento, per ragioni le più diverse. Il primo capitolo del volume è istruttivo in questo senso e cerca di mostrare come si sia arrivati a questa dissociazione, prendendo in esame tre diverse discipline per le quali si è avuta “un’eclisse della storia”: ecologia, etologia e biologia evolutiva. In effetti, si tratta proprio di una disputa sul concetto di storia, che Brooks e McLennan considerano fondamentale per una buona comprensione della natura. Sì, perché la storia è in qualche modo “incorporata” negli organismi, nelle loro strutture fisiologiche nonché nei loro comportamenti individuali e sociali che mettono in relazione l’individuo e il suo ambiente. Dunque non si può ignorare la discendenza filogenetica se si vuole ricostruire una teoria scientifica realmente multidimensionale che esplori compiutamente la realtà naturale. Per far ciò, il primo strumento proposto dagli autori è una nuova sistematica, che sia il più possibile legata alla discendenza ma che non ignori l’aspetto ambientale (l’azione della selezione naturale) dell’evoluzione. L’obiettivo del libro è dunque creare una “ecologia storica”: “Gli umani celebrano la loro storia perché ne riconoscono il grande impatto sulla loro esistenza presente. Queste storie includono eroi ed eventi eroici, ed è il lavoro dell’ecologista storico trovare e spiegare gli episodi eroici nella storia della vita su questo pianeta.” (p.20)La parte centrale del volume, per ovvi motivi molto tecnica, è quindi dedicata a individuare come un tale programma di ricerca possa essere messo in atto, con quali strumenti (anche informatici) e quali sono i suoi oggetti di studio. Decisamente più leggibile è l’ultimo capitolo “Biodiversità: esplorando il futuro”, che non solo analizza il concetto stesso di biodiversità, ma propone anche una rassegna dei problemi aperti in questo campo, con particolare riferimento all’attività umana sia di distruzione che di protezione della diversità naturale del nostro pianeta. Molto interessanti sono le pagine che riguardano la biodiversità degli agenti patogeni (per esempio il plasmodio responsabile della malaria), modello molto particolare dell’interazione uomo-ambiente.Il volume è quindi un vero “viaggio evolutivo di esplorazione” al cuore della natura, che rimanda anche al lettore inesperto il fascino immenso della diversità della natura e la grandiosità dell’evoluzione: “Ogni specie su questo pianeta ha una storia da raccontare […]. Questa è la fonte della nostra esistenza, e l’assoluta bellezza di tutto fa star bene gli umani che si sentono vicini ad essa, in essa, parte di essa.” (p.559) Speriamo Baricco abbia ragione, e che qualcuno ancora stia ad ascoltare.

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