La reazione all’ebola è scritta nei geni

È la peggiore epidemia della storia. 10mila contagi, 5mila morti. Cifre che, purtroppo, sembrano destinate a salire. Ebola fa ancora tanta, tantissima paura. Ma qualcosa, fortunatamente, si muove: gli scienziati italiani di Okairos stanno cercando di mettere a punto un vaccino, e sempre in Italia si sta sperimentando un farmaco per bloccare le terribili emorragie provocate dal virus. Ma non basta. Bisogna conoscere bene il proprio nemico, come ammoniva Sunzi: un’équipe di scienziati statunitensi è al lavoro per identificare le cause di una così ampia variabilità nelle reazioni all’infezione. Alcuni resistono bene alla malattia. Altri soffrono di disturbi lievi o moderati e poi si riprendono. Altri ancora, purtroppo, soccombono. Come raccontano su Science, i ricercatori sembrano aver ottenuto i primi risultati grazie a un nuovo modello murino: la causa sarebbe dovuta a diverse risposte genetiche degli individui esposti al virus.

Gli scienziati hanno esaminato diversi ceppi di topi di laboratorio appositamente allevati per studiare il ruolo della genetica nel decorso della malattia. Tutti i topi sono stati infettati con il virus dell’attuale epidemia in Africa occidentale e tutti hanno perso peso nei giorni immediatamente successivi all’infezione. Il 19% di essi non ha sviluppato la malattia in forma grave: non solo sono sopravvissuti, ma hanno recuperato completamente il peso perduto dopo appena tre settimane. Il loro fegato appariva in buona salute.

Il 70% dei topi ha avuto una mortalità superiore al 50%; un gruppo ha mostrato infiammazione al fegato ma nessuna emorragia, mentre altri hanno avuto problemi di coagulazione del sangue, un marchio di fabbrica della febbre emorragica fatale negli esseri umani. Quest’ultimo gruppo di topi ha sofferto anche di rigonfiamento della milza e ha cambiato la consistenza e il colore del proprio fegato.

Gli scienziati hanno correlato il decorso della malattia e le variazioni nei tassi di mortalità con specifiche linee genetiche dei topi, scoprendo sorprendenti analogie con l’infezione umana: “La frequenza delle diverse manifestazioni della malattia sui topi che abbiamo monitorato è simile, per varietà e proporzioni”, ha detto Angela Rasmussen, del Dipartimento di microbiologia della University of Washington, “allo spettro osservato nell’epidemia dell’Africa occidentale. I dati suggeriscono che i fattori genetici hanno un ruolo significativo nell’esito della malattia”. In generale, gli scienziati hanno osservato che quando il virus colpiva individui con più attività sui geni coinvolti nella promozione dell’infiammazione dei vasi sanguigni e nella morte cellulare, la mortalità era più alta. Al contrario, i superstiti mostravano più attività sui geni coinvolti nella riparazione dei vasi sanguigni e nella produzione di globuli bianchi.

“Speriamo che la ricerca medica sia presto in grado di applicare queste scoperte a vaccini e terapie”, ha detto Michael Katze, uno degli autori dello studio. Secondo gli scienziati, il modello murino potrebbe essere utilizzato per trovare nuovi marcatori genetici e valutare l’efficacia di farmaci attivi contro il virus.

Credits immagine: Brian Donohue
Via: Wired.it

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here