La sicurezza nucleare? E’ un work in progress

articolo originariamente pubblicato su Sapere, dicembre 2007

Una dannazione del genere umano è la difficoltà di prevenire disastri e sofferenze e il correre ai ripari solo se forzato da eventi catastrofici, che, considerati col senno di poi, risultavano evitabili grazie al rispetto di opportune regole (1). Gli incidenti che hanno costellato lo sviluppo dell’energia nucleare (2, 3) hanno via via portato a una sempre migliore comprensione degli aspetti tecnici della sicurezza e in alcuni casi al rafforzamento dei controlli nazionali, ma solo il disastro di Chernobyl (4), col suo enorme impatto a livello mondiale, ha portato finalmente a una serie di convenzioni internazionali miranti alla sicurezza degli impianti nucleari civili e alla mitigazione di possibili eventi catastrofici, accelerando in alcuni casi dei processi che stavano languendo da decenni. In questo lavoro concentreremo l’attenzione sui trattati che costituiscono la cosiddetta “famiglia della sicurezza nucleare”, composta dalle due convenzioni sull’emergenza e dalle due sulla sicurezza. I testi ufficiali delle convenzioni si possono trovare sul sito dell’Agenzia atomica di Vienna (International Atomic Eenergy Agency, IAEA).

Il disastro di Chernobyl ha sfatato l’illusione che la produzione di energia nucleare potesse essere assolutamente sicura e ha messo in chiara evidenza le debolezze dell’industria energetica nucleare di allora: carenza di adeguati provvedimenti scientifici, tecnici, amministrativi e legali per la  sicurezza nucleare, soprattutto delle installazioni nucleari e della gestione delle scorie radioattive; inadeguatezza degli strumenti legali internazionali per garantire la sicurezza; debolezza delle procedure di informazione sia interna che internazionale in caso di incidenti; inesistenza di precise forme organizzative per la cooperazione internazionale in caso di emergenze; mancanza di un sistema internazionale efficace per l’attribuzione di responsabilità e la definizione di compensazioni per danni nucleari. Ingegneri e scienziati individuarono rapidamente i miglioramenti tecnici necessari per eliminare le più gravi carenze della tecnologia nucleare, e questi vennero rapidamente realizzati. Più difficile era l’obiettivo di rafforzare globalmente la sicurezza operativa di tutti gli impianti mondiali, creando una nuova cultura di sicurezza basata su principi e metodologie comuni e condivisi a livello internazionale.

Già prima dell’incidente esisteva un notevole corpus relativo alla sicurezza nucleare: la IAEA fin dai primi anni Sessanta aveva sviluppato standard internazionali di sicurezza, producendo codici e procedure, organizzando scambi di informazioni e promuovendo ricerche scientifiche e tecnologiche. Nel 1978 l’agenzia iniziò a formalizzare queste misure in un corpo di Nuclear Safety Standards, riguardanti un po’ tutti gli aspetti della sicurezza nucleare, inclusi suggerimenti per la creazione di strutture nazionali preposte alla sicurezza e alla protezione dalle radiazioni. L’incidente della centrale americana di Three Mile Island (28 marzo 1979) convinse i paesi membri della IAEA a concordare nuovi programmi di sicurezza. Fu così possibile giungere a un Incident Reporting System per registrare e analizzare a livello internazionale i numerosi malfunzionamenti degli impianti nucleari, soprattutto di minore gravità. Questa forma di controllo internazionale tuttavia divenne efficace solo dopo Chernobyl, vincendo inerzie burocratiche e molte resistenze per l’imbarazzo delle autorità a presentare le debolezze dei propri impianti. Il fatto è che gli Stati hanno sempre attribuito altissima importanza ai loro programmi nucleari e, conseguentemente, ogni obbligo sopranazionale in questa delicata materia veniva considerato una vera lesione della sovranità nazionale. Codici e procedure di sicurezza elaborati anche in collaborazioni internazionali restavano così indicativi e non vincolanti.

Un’azione cruciale a livello internazionale venne intrapresa dalla IAEA, il cui direttore Hans Blix compì un sopralluogo a Chernobyl dal 5 al 9 maggio del 1986: fu il primo controllo internazionale della situazione, a seguito del quale prese il via il processo che portò alle presenti convenzioni. Il 21 maggio successivo il consiglio dei governatori della IAEA convenne all’unanimità su un programma in cinque punti: la definizione in tempi rapidi di un accordo vincolante sulla notifica immediata di incidenti nucleari con possibili effetti transnazionali; la formulazione urgente di un  accordo vincolante per il coordinamento degli interventi internazionali d’emergenza; il  rafforzamento della cooperazione per la sicurezza nucleare e la definizione di standard internazionali; un’inchiesta internazionale su tutti gli aspetti dell’incidente di Chernobyl; l’indizione di una conferenza internazionale su tutte le questioni relative alla sicurezza nucleare. La conferenza venne indetta per il 24-26 settembre 1986 e dal 22 luglio all’8 agosto si tenne a Vienna un incontro  di esperti internazionali per esaminare le bozze di possibili accordi.

L’informazione

Una delle più gravi carenze dei provvedimenti immediati delle autorità sovietiche dopo l’incidente fu la scorretta informazione sia interna che internazionale; ciò impedì, fra l’altro, alle autorità degli altri paesi di prendere provvedimenti adeguati a mitigare gli effetti della contaminazione radioattiva. Per avere delle informazioni significative la comunità internazionale dovette attendere la visita a Chernobyl di Hans Blix. Dal punto di vista del diritto internazionale, non esisteva alcun obbligo per l’URSS di informare le autorità straniere, se non le vaghe regole consuetudinarie del buon vicinato. La convenzione, stipulata il 24 settembre del 1986, venne effettivamente ed efficacemente a coprire una lacuna nella giurisdizione internazionale. L’elemento sostanziale è l’obbligo per lo Stato in cui avvenga un incidente nucleare di notificarlo immediatamente agli Stati che sono, o potrebbero essere, fisicamente coinvolti, precisandone la natura, il momento in cui si è verificato e la localizzazione esatta, e di comunicare tempestivamente tutte le informazioni  disponibili allo scopo di limitare quanto più possibile le conseguenze radiologiche all’estero.

Si definisce come “incidente nucleare” qualsiasi incidente che comporti, o possa comportare, il rilascio di materie radioattive e che abbia, o possa avere, come conseguenza un rilascio transfrontaliero internazionale che possa divenire rilevante sotto il profilo della sicurezza radiologica per un altro Stato. Affinché la convenzione possa applicarsi è pertanto necessario il  simultaneo verificarsi di due condizioni: il rilascio effettivo o probabile di materiale radioattivo e l’attraversamento effettivo o probabile di frontiere da parte di tale materiale. Il punto cruciale è l’introduzione del concetto di probabilità, per cui la notifica va fatta anche se non ci sono rilasci verificati o attraversamenti effettivi di frontiere, ma solo la possibilità che tali condizioni abbiano modo di materializzarsi. Le installazioni e le attività considerate nella convenzione includono  praticamente tutte le attività civili che usino materiali radioattivi e sono specificatamente elencate. Su base volontaria, le parti possono estendere il campo d’azione anche all’ambito militare: di fatto   Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti hanno dichiarato di notificare anche incidenti  coinvolgenti armamenti ed esplosioni nucleari.

Le informazioni devono essere accurate e venire costantemente aggiornate riguardo al momento, la  localizzazione e la natura, la causa presupposta o conosciuta nonché le caratteristiche generali e la prevedibile evoluzione dell’incidente nucleare e del rilascio radioattivo; l’installazione o l’attività coinvolta; le condizioni meteorologiche e idrologiche al momento dell’incidente e le previsioni per le zone interessate; i risultati del monitoraggio ambientale; le misure di protezione adottate o previste. Va osservato che per poter ottemperare a queste condizioni è necessario creare un  adeguato sistema di controllo permanente presso tutte le installazioni nucleari. La realizzazione di queste misure di controllo ha di fatto imposto in molti casi un effettivo rafforzamento delle forme e procedure di sicurezza degli impianti. Per rendere efficace la comunicazione, ogni Stato definisce le proprie autorità competenti e un punto di contatto attivo 24 ore su 24. La convenzione presenta un grave punto debole, insito nella stessa definizione dell’evento che dà origine alla comunicazione, in quanto il testo lascia decidere allo Stato ove avviene l’incidente se si siano o meno verificate le condizioni necessarie per la notifica. Per esempio, le autorità sovietiche sostennero che l’incidente di Chernobyl non produsse effetti nocivi al di fuori dell’URSS: pertanto, anche se la convenzione fosse già entrata in vigore, non ci sarebbe stato l’obbligo di notifica. Pertanto la convenzione è efficace solo se vi è buona volontà ma, in caso contrario, la sua formulazione fornisce una  scappatoia e permette di venir meno agli obblighi.

Si cercò di ovviare a questa debolezza con l’invito a rafforzare il regime di informazione almeno a livello bilaterale o regionale. Alla fine di maggio 2007 aderivano alla convenzione cento paesi, e altri 13 l’avevano firmata ma non ratificata. A parte Taiwan (5), attualmente esclusa dalla famiglia delle nazioni dell’ONU, tutti i paesi dotati di impianti nucleari civili sono parte della convenzione, mentre tranne con reattori di ricerca operativi.

L’assistenza

Il raggiungimento di una convenzione sull’assistenza si presentava più ardua di quella sulla notificazione, dato che la materia coinvolge questioni più delicate e sensibili, quali la sovranità nazionale, immunità e privilegi, responsabilità, e, argomento sempre ostico, costi. Non è quindi sorprendente che al momento dell’incidente di Chernobyl non esistesse alcuno strumento internazionale specifico che si potesse applicare nel caso in cui l’URSS avesse chiesto assistenza esterna. La convenzione, sottoscritta il 26 settembre dell’86, richiede l’impegno delle parti a cooperare «per facilitare un sollecito intervento di assistenza per un incidente nucleare o di  emergenza radiologica volto a mitigarne le conseguenze e a proteggere la vita, l’ambiente e la proprietà dagli effetti dei rilasci radioattivi». Uno Stato che ne abbia necessità può richiedere l’assistenza di un altro Stato; quest’ultimo deve decidere sollecitamente e comunicare allo Stato richiedente se è o meno in grado di prestare assistenza e, in caso di risposta affermativa, in che misura e con quali modalità. L’assistenza può venir concordata con o senza rimborso delle spese. Lo Stato richiedente conserva la direzione generale, il coordinamento e la supervisione degli interventi e concede alla parte che presta assistenza i privilegi, le immunità e le strutture necessarie per lo svolgimento delle operazioni. La convenzione affida alla IAEA speciali responsabilità  operative, e l’agenzia ha sviluppato una serie di provvedimenti e meccanismi pratici, in particolare il Centro emergenze e incidenti, un punto focale operativo di allerta attivo 24 ore su 24, una rete globale di esperti e di risorse disponibili per un intervento rapido.

Per un sistema efficace di reazione a un’emergenza sono estremamente importanti una buona pianificazione preventiva e una chiara definizione delle responsabilità fra le varie organizzazioni internazionali: a tal fine è stato istituito nel settembre 1986 il Comitato inter-agenzie di risposta a un incidente nucleare (IACRNA), che si riunisce regolarmente e promuove esercitazioni internazionali di intervento. La più recente di tali esercitazioni (ConvEx-3) si è svolta nel maggio 2005 con la partecipazione di 62 paesi e 8 organizzazioni internazionali per verificare lo scambio di informazioni a livello internazionale e il meccanismo di comunicazione col pubblico nelle prime fasi di una grave emergenza nucleare simulata all’impianto nucleare di Cernavoda in Romania.

Altre iniziative e piani internazionali di intervento rendono di fatto l’emergenza nucleare e radiologica la meglio affrontata fra tutte quelle che possono proporsi sia in infrastrutture tecnologiche che nel caso di catastrofi naturali. Al 31 maggio 2007 aderivano alla convenzione 98 paesi, e altri 14 l’avevano firmata, ma non ratificata; ne fanno quindi parte tutti quelli dotati di impianti nucleari civili, eccetto Taiwan, alcuni paesi con reattori di ricerca. Questa convenzione ha molti punti in comune con quella sulla notifica, ma presenta una significativa estensione del campo  di applicazione, in quanto non si applica solo agli incidenti nucleari con possibili conseguenze transnazionali, ma a ogni incidente nucleare e anche alle emergenze radiologiche. In realtà la convenzione non definisce con precisione tali emergenze, e quindi queste possono sussistere anche senza che ci siano danni alla salute, ai beni o all’ambiente, e l’assistenza può venir richiesta al fine di prevenire o minimizzare il pericolo di effetti dannosi. Un’altra conseguenza della mancanza di una precisa definizione porta a ritenere applicabile la convenzione anche nel caso in cui l’emergenza sia dovuta ad attività legate agli armamenti nucleari. Anche questa convenzione presenta tuttavia una significativa debolezza: uno Stato “può” richiedere assistenza a un altro Stato, il quale decide “se” intende fornirle. Tutto questo può ovviamente avvenire anche senza un accordo internazionale e la convenzione non stabilisce un preciso diritto/dovere a fornire o ricevere assistenza. Entrambe le convenzioni sottoscritte nel settembre del 1986 hanno mancato l’obiettivo di creare un nuovo regime internazionale stringente, con ben definiti diritti, obblighi e sanzioni. Evidentemente, per la volontà di giungere a un accordo in tempi brevissimi, in una situazione  internazionale ancora dominata dal confronto Est-Ovest, non fu possibile concordare dei vincoli più rigidi, sempre comunque difficili in negoziati coinvolgenti una gran numero di paesi. Comunque, le convenzioni fornirono finalmente un preciso riferimento formale per la notifica e l’assistenza,  sostituendosi alla molto più vaga legge internazionale consuetudinaria. Entrambe suggeriscono la stipula di accordi complementari bilaterali e regionali, un approccio estremamente appropriato per soluzioni che tengano conto delle esigenze specifiche dei singoli Stati (6). Il concetto chiave delle convenzioni è proprio questo incoraggiamento, quasi una sfida, a superare i loro stessi termini con ulteriori specifiche iniziative negoziali a diversi livelli. Si tratta di un approccio che si svilupperà e raffinerà come “convenzione incentiva” nelle convenzioni sulla sicurezza nucleare del 1994 e del 1997.

La Convenzione di Vienna

Al di là delle specifiche circostanze, il disastro di Chernobyl ebbe come causa profonda la mancanza nell’industria nucleare sovietica di una “cultura della sicurezza” diffusa a tutti i livelli, dalla formazione dei tecnici e dei dirigenti alla progettazione degli impianti, dalla comunicazione interna alla gestione delle centrali e alla preparazione del personale. A differenza delle due convenzioni sull’emergenza, quella sulla sicurezza si propone di prevenire anziché di curare, mirando a creare, ove mancante, e comunque a rafforzare a livello internazionale, proprio una “cultura della sicurezza nucleare” per gli impianti civili. Il concetto di sicurezza nucleare a livello internazionale era stato elaborato nell’ambito del programma Nuclear Safety Standards (NUSS Programme) (7) lanciato dalla IAEA già nel 1974; la sicurezza nucleare è definita come «il raggiungimento di adeguate condizioni operative, la prevenzione di incidenti o la mitigazione delle conseguenze di un incidente, tali da fornire la protezione da rischi radiologici al personale sul sito,  al pubblico ed all’ambiente». Questa definizione è particolarmente significativa in quanto estende il concetto di protezione radiologica a includere i rischi ambientali.

Prima di Chernobyl non esisteva alcuno strumento legale internazionale vincolante sulla sicurezza   nucleare. L’incidente ha costretto prima i tecnici e quindi anche le autorità politiche a rendersi conto che la sicurezza nucleare non poteva essere lasciata completamente ai singoli Stati, ma che si  rendeva necessario creare almeno uno scheletro comune di norme e procedure, che fosse fissato in un preciso e solido strumento legale. La proposta di una convenzione sulla sicurezza venne  formulata dal ministro tedesco per l’ambiente Klaus Töpfer in una riunione della direzione politica della IAEA nel 1990. I lavori preparatori della convenzione vennero affidati nel 1992 a un gruppo di esperti internazionali (100 fra tecnici e legali di 45 paesi) che lavorarono due anni per raggiungere una bozza di convenzione (8). La convenzione venne adottata a Vienna il 17 giugno 1994 e entrò in vigore il 24 ottobre 1996 con la ratifica del 22° Stato; alla fine di maggio 2007 le parti aderenti erano 60, mentre 15 paesi firmatari non l’avevano ancora ratificata, fra cui il  Kazakhstan che ha impianti nucleari civili. Oltre a Taiwan non ne fa parte nemmeno l’Iran, che ha un impianto in costruzione. All’inizio si era cercato di coprire tutto il ciclo del combustibile nucleare, ma la complessità del problema convinse alla fine che era opportuno definire in tempi brevi una convenzione per i soli impianti elettronucleari civili, affermando, nel suo preambolo, «la necessità di intraprendere rapidamente l’elaborazione di una convenzione internazionale sulla sicurezza della gestione dei detriti radioattivi» e «l’utilità di proseguire i lavori tecnici sulla sicurezza di altri fasi del ciclo del combustibile nucleare».

La convenzione si caratterizza come una “convenzione incentivante”, un elemento assolutamente
innovativo nella giurisprudenza internazionale, estendendo quanto già tratteggiato nelle convenzioni sulla notifica e sull’assistenza. Anziché basare la sua efficacia su obblighi specifici e su provvedimenti per le possibili violazioni, come avviene tradizionalmente, individua come ragione per il suo rispetto l’interesse comune di tutte le parti a raggiungere i più alti livelli possibili di sicurezza nucleare. Vi si ribadisce «l’importanza della cooperazione internazionale per migliorare la sicurezza nucleare mediante meccanismi bilaterali e multilaterali» al fine di dare «impulso ad una cultura di sicurezza nucleare vera e propria». La convenzione lascia flessibilità sulle opzioni  tecniche, per poter trarre vantaggio dagli sviluppi nel campo della tecnologia, e, basandosi sui  principi di sicurezza anziché su standard dettagliati, permette alle parti di applicare le forme di sicurezza più adatte ai singoli casi. L’obiettivo è di creare un regime internazionale di sicurezza nucleare mediante una «legislazione leggera e buone pratiche». Gli obiettivi della convenzione sono appunto: conseguire e mantenere un elevato livello di sicurezza nucleare nel mondo intero grazie al miglioramento delle misure nazionali e della cooperazione internazionale e in particolare della cooperazione tecnica in materia di sicurezza; istituire e mantenere negli impianti nucleari difese efficaci contro i potenziali rischi radiologici in modo da proteggere gli individui, la società e  l’ambiente dagli effetti nocivi degli irradiamenti ionizzanti emessi da questi impianti; prevenire gli incidenti aventi conseguenze radiologiche e mitigarne le conseguenze qualora tali incidenti dovessero avvenire.

Le misure specifiche vengono definite utilizzando come base tecnica il documento “The safety of nuclear installations” elaborato da esperti della IAEA nel 1991 e riguardano la legislazione e la regolamentazione nazionali, le condizioni generali di sicurezza, includenti il principio di priorità della sicurezza su ogni altra considerazione, le risorse finanziarie e di personale, le garanzie di qualità, la valutazione e la verifica della sicurezza, la protezione radiologica e l’organizzazione in caso di incidenti, e la sicurezza degli impianti con la scelta del sito, la progettazione e costruzione e l’utilizzazione. La convenzione sulla sicurezza impone delle condizioni molto strette, sia a livello tecnico (per la struttura degli edifici, per tutti gli impianti, per la strumentazione e i sistemi di controllo, per migliorare gli aspetti umani dell’interfaccia macchina/operatore, incluse informazioni più chiare, e metodologie di analisi probabilistiche del rischio) sia a livello normativo (per la legislazione nazionale, per il quadro della regolamentazione e delle procedure di controllo e di verifica). Qualora un impianto non possa raggiungere queste garanzie deve essere spento. La natura incentivante della convenzione si esprime nell’obbligo per le parti a confrontarsi in “riunioni  d’esame” per una vicendevole disamina critica dei rapporti sulle iniziative che ciascuna ha adottato nel campo della sicurezza. L’obbligo di partecipazione alle riunioni, cosa rara nei trattati  internazionali, mira ad assicurare che le parti presentino i loro rapporti e possano trarre vantaggio da controlli incrociati.

I risultati di queste riunioni diventano quindi una misura dell’efficacia della convenzione stessa. La prima riunione nell’aprile 1999 ha costituito una prima indagine dello stato della sicurezza nucleare nei vari paesi; la seconda nell’aprile 2002 è stata molto più incisiva, con analisi dei progressi  rispetto alla situazione del 1999 e l’individuazione di alcuni argomenti specifici; la terza nell’aprile 2005 ha visto notevoli progressi e la crescita del senso di responsabilità e attenzione alla sicurezza. La convenzione non è esaustiva delle problematiche di sicurezza; se rimanda a una futura iniziativa internazionale il problema della gestione del materiale esaurito, lascia completamente scoperte due classi di reattori, quelli marini e quelli di ricerca. Oltre 120 sono i reattori utilizzati per la  propulsione marina, in gran parte militari, per cui è estremamente difficile raggiungere norme  internazionali di sicurezza.

Negli ultimi sessant’anni sono stati costruiti nel mondo 672 reattori di ricerca, 284 sono ancora attivi in 56 paesi e 16 nuovi impianti sono in costruzione o progetto. I problemi di sicurezza riguardano sia i reattori di ricerca in funzione sia quelli inattivi ma non ancora completamente spenti (9). La IAEA sta sviluppando standard di sicurezza e guide operative specifiche per questi reattori e raccoglie i rapporti di incidenti nei reattori di ricerca. Si sta diffondendo nel mondo una maggior attenzione al problema della loro sicurezza, ma non è in vista l’estensione a tali reattori della convenzione sulla sicurezza o un accordo internazionale specifico.

Combustibile esaurito e rifiuti radioattivi

La sicurezza della gestione dei detriti radioattivi era un problema fortemente sentito dall’opinione pubblica mondiale ben prima dell’incidente di Chernobyl e dagli anni Ottanta stava aumentando notevolmente il numero di depositi di scorie radioattive. Gli unici accordi internazionali allora  esistenti riguardavano solo la proibizione di scarico di scorie nucleari in mare e in Antartide. Un gruppo di 100 esperti da 53 paesi partecipò ai lavori preparatori della convenzione, che durarono dal febbraio 1995 fino al novembre 1996. Il negoziato fu difficile, fino al rischio di fallimento, in  quanto una parte degli estensori voleva trattare allo stesso modo sia il combustibile esaurito che i rifiuti radioattivi, mentre in alcuni paesi il combustibile esausto non viene considerato un rifiuto, ma una risorsa passibile di ritrattamento e riutilizzo. La soluzione fu trovata trattando i due tipi di materiali in differenti capitoli della convenzione e rendendo la convenzione stessa un “tetto  comune” (10). Altri argomenti controversi furono il trattamento di materiali provenienti da programmi militari e il problema del trasporto internazionale dei detriti radioattivi.

La convenzione venne firmata il 5 settembre 1997 ed entrò in vigore il 18 giugno 2001, con la 25a ratifica; alla fine di maggio 2007 ne facevano parte 45 Stati e l’Euratom; cinque paesi firmatari non l’hanno ancora ratificata, fra cui il Kazakhstan, che possiede impianti elettronucleari, e l’Indonesia e il Perù che hanno reattori di ricerca operativi. Non hanno aderito paesi con impianti elettronucleari:  Armenia, India, Messico, Pakistan, Taiwan, e Iran. Mancano numerosi paesi con reattori nucleari di ricerca. Anche questa convenzione è ristretta al settore civile e non copre le attività militari, a meno  che gli Stati interessati non intendano unilateralmente estenderne la portata. La convenzione si apre con un preambolo che consiste di concetti e indicazioni generali che non si riuscì a trasformare in obblighi formali: il riconoscimento dell’importanza della partecipazione del pubblico sulle questioni attinenti alla sicurezza dello smaltimento dei detriti radioattivi; il principio che spetta agli Stati di provvedere alla sicurezza dello smaltimento e che i rifiuti radioattivi dovrebbero essere immagazzinati definitivamente nel paese in cui vengono prodotti, salvo specifici accordi bilaterali o multilaterali; il riconoscimento che ogni Stato ha il diritto di vietare l’importazione nel proprio territorio di detriti radioattivi di origine straniera. La convenzione mira a fare in modo che «a tutti  gli stadi dello smaltimento vi siano difese efficaci contro i potenziali pericoli, affinché gli individui, la società e l’ambiente siano protetti, ora ed in futuro, dagli effetti nocivi delle irradiazioni  ionizzanti, in modo da soddisfare i bisogni e le aspirazioni dell’attuale generazione senza peraltro pregiudicare la capacità delle generazioni future di soddisfare le loro». Gli obblighi specifici per lo smaltimento del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi vengono definiti sulla base dei principi sviluppati in documenti della IAEA. Si richiede alle parti di provvedere alle necessarie misure legislative, regolamentari e amministrative per governare la sicurezza dello smaltimento, scegliendo opportunamente i siti di immagazzinamento e controllando i progetti degli impianti e il loro funzionamento in tutte le fasi.

La procedura “incentivante” della convenzione, con il metodo delle riunioni d’esame dei rapporti delle singole parti, segue nello spirito e nella tecnica la convenzione sulla sicurezza nucleare. Una prima riunione d’esame si è tenuta nel novembre 2003 e una seconda dal 15 al 24 maggio 2006: a quest’ultima hanno partecipato 43 paesi. Il rapporto finale esprime una sostanziale soddisfazione sui progressi dei singoli paesi nel rafforzamento della sicurezza dei siti e degli impianti, sia con la   definizione di strategie nazionali per il combustibile esausto e i rifiuti radioattivi, sia nel confronto con il pubblico. Sono stati individuati quali problemi ancora aperti il trattamento sui tempi lunghi, le scorie altamente radioattive, i rifiuti “storici”, la creazione delle competenze e risorse umane necessarie, la garanzia di allocazione di adeguati finanziamenti. Rimane una profonda divergenza fra il generale consenso degli esperti che esistono opzioni fattibili e sicure per la gestione dei detriti nucleari e la convinzione diffusa nel pubblico che ogni deposito di scorie presenti rischi  inaccettabili per la popolazione e l’ambiente. Il rispetto rigoroso degli standard di sicurezza internazionali, la chiarezza nelle scelte, una corretta informazione e il coinvolgimento dell’opinione pubblica sono tutti elementi essenziali per la soluzione del problema sociale della creazione di depositi sicuri e accettati.

Osservazioni conclusive

Immediatamente dopo Chernobyl sembrava necessario e possibile raggiungere norme internazionali vincolanti e rigorose. Di fatto le convenzioni sono risultate strumenti non rigidi, che possono venire considerati un passo indietro rispetto alle prime intenzioni. D’altra parte sono risultate più adatte alle condizioni profondamente differenti dei singoli paesi, i quali hanno ricevuto incentivi e indicazioni a sviluppare la sicurezza nucleare secondo le loro possibilità effettive. Il progresso verso la sicurezza nucleare non dipende tanto dalla forza legale degli accordi, quanto dall’effettiva volontà da parte di tutti gli attori di realizzare praticamente le disposizioni e gli interventi necessari. Le conferenze di revisione delle convenzioni sulla sicurezza confermano progressi in molti paesi e assicurano che le parti sono realmente interessate a muoversi verso una sicurezza in profondità. Il concetto di difesa in profondità sta imponendosi come strategia fondamentale e coinvolge tutte le fasi della produzione energetica, dalla scelta del sito e progettazione degli impianti, alla formazione del personale e alla operazione delle centrali. Richiede in particolare la creazione di barriere fisiche successive che garantiscano il contenimento del materiale radioattivo in ogni condizione. Impone soprattutto la creazione di una forte e precisa cultura della sicurezza in tutti coloro che a ogni titolo sono coinvolti nelle attività nucleari.

Le convenzioni descrivono un processo in corso piuttosto che congelare uno stato raggiunto  definitivamente. Costituiscono una sfida alle parti di rafforzare nelle forme più adatte al contesto politico e tecnologico la collaborazione multilaterale nel campo della sicurezza e della gestione delle situazioni di crisi. L’aspetto incentivante delle convenzioni implica per le parti un continuo e comune processo di apprendimento. Una delle più importanti reazioni al disastro di Chernobyl è stata il riconoscimento del principio della collaborazione internazionale come pilastro fondamentale della legislazione nucleare. Si è resa così possibile un’armonizzazione dei regimi nucleari individuali sulla base delle impostazioni internazionali, introducendo identici criteri per la verifica della sicurezza nucleare. Da qui l’importanza di una effettiva universalizzazione delle convenzioni, con il coinvolgimento di tutti i paesi, dato che impianti nucleari e sorgenti di radiazioni si stanno diffondendo ovunque. Occorre, inoltre, trovare le necessarie forme, eventualmente accordi bilaterali, perché anche Taiwan con il suo notevole programma nucleare entri nel regime internazionale, a prescindere dal suo status diplomatico.

La ripresa dell’energia nucleare richiede un rafforzamento della legislazione relativa alla sicurezza, con continui aggiornamenti che tengano conto delle nuove problematiche e dei nuovi mezzi posti a disposizione dal progresso tecnologico e dalla crescente apertura alla collaborazione internazionale. In particolare, le convenzioni sulla notifica e sull’assistenza a venti anni dalla loro stipula  richiedono di essere riviste e aggiornate. Le nuove minacce di usi terroristici di materiali nucleari o radiologici e la possibilità di attacchi a impianti nucleari richiedono il rafforzamento dei sistemi di reazione. Le convenzioni vanno inoltre allargate a comprendere eventi legati a sorgenti radioattive meno controllate dei reattori nucleari, per le quali i sistemi di reazione sono molto meno sviluppati. Infine, i tempi dovrebbero essere maturi per rendere le convenzioni legalmente vincolanti. Un bilancio dell’efficacia della legislazione internazionale provocata dall’incidente di Chernobyl si misura non tanto sugli aspetti tecnici e legali quanto sull’effettiva sicurezza globale e
specifica dell’industria nucleare mondiale. Come abbiamo più volte osservato, non si potrà mai raggiungere una sicurezza assoluta per gli impianti nucleari e quindi non è mai finito il potenziamento delle condizioni di sicurezza delle strutture e delle operazioni.

Nella Nuclear Safety Review for the Year 2005 della IAEA (11) si osservava che la sicurezza delle operazioni degli impianti nucleari ha continuato a rimanere alta in tutto il mondo; le dosi di radiazione ai lavoratori e al pubblico sono rimaste molto al di sotto dei limiti regolamentari; incidenti e infortuni sul lavoro sono i più bassi che in ogni altra industria; non ci sono state emissioni radioattive; gli impianti hanno resistito senza grandi problemi a terremoti, alluvioni, tsunami, tornado e uragani. Tuttavia, ci sono ancora eventi ricorrenti pur essendo note le cause, e in alcuni paesi le istituzioni preposte alle regolamentazioni hanno difficoltà a reperire risorse e mezzi. Un nuovo pericolo è la diffusione di un atteggiamento di compiacenza per i risultati ottenuti con conseguente abbassamento della guardia sul problema dei controlli e della sicurezza. La realtà sociopolitica impone all’energia nucleare di essere più sicura delle altre forme di generazione  energetica. Deve essere infatti sicura sia nei fatti che nella percezione. Gli indicatori che misurano la sicurezza assicurano che l’industria nucleare ha raggiunto globalmente livelli ottimali. Il  problema è capire quando il sistema è abbastanza sicuro.

È importante che il pubblico abbia una chiara comprensione dei rischi e dei benefici rappresentati dall’energia nucleare. Per questo si rende necessario un maggior coinvolgimento del pubblico anche nel processo di sviluppo della legislazione internazionale sulla sicurezza dell’energia nucleare: solo così si può eliminare, o almeno ridurre, l’attuale diffidenza generalizzata e spesso aprioristica per questo tipo di energia. Bisogna assolutamente evitare che si renda necessaria una nuova crisi, una nuova Chernobyl, per poter progredire nella normativa sulla sicurezza: è questa forse una delle  maggiori lezioni date dall’incidente del 1986 ai responsabili mondiali.

NOTE

(1) Una stesura più ampia dell’argomento si trova in PASCOLINI A., «Il disastro di Chernobyl e le iniziative internazionali per la sicurezza nucleare. Parte seconda: accordi e convenzioni  internazionali», in Pace e Diritti Umani, in corso di stampa.
(2) Esempi significativi sono l’incidente alla petroliera Torrey Canyon nel 1967, quello all’industria chimica di Bhopal, le azioni terroristiche coinvolgenti aerei nel 1988 e nel 1989, la dispersione di materiale fissile militare nei paesi dell’ex-Unione Sovietica, gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.
(3) I reattori nucleari che hanno subito gravi incidenti, a parte quelli su navi militari, sono stati: il reattore sperimentale NRX (Canada 1952), il reattore militare Windscale-1 (UK 1957), il reattore sperimentale militare SL-1 (USA 1961), il reattore sperimentale Fermi-1 (USA 1966), il reattore sperimentale Lucens (Svizzera 1969), i reattori commerciali Browns Ferry (USA 1975), Three Mile Island-2 (USA 1979), Saint Laurent- 2 (Francia 1980), Chernobyl-4 (Ucraina 1986), Vandellos-1 (Spagna 1989). Oltre a Chernobyl, solo SL-1 ha comportato vittime (3 operatori) e solo Windscale ha prodotto contaminazioni radioattive significative.
(4) Per un’analisi dell’incidente di Chernobyl vedi PASCOLINI A., «Il disastro di Chernobyl e le iniziative internazionali per la sicurezza nucleare. Parte prima: l’incidente», Pace e Diritti umani, 2, 2006 p. 9.
(5) A Taiwan esistono importanti attività nucleari: operano sei impianti elettronucleari e due sono in costruzione; inoltre vi è un reattore di ricerca in funzione e uno in costruzione.
(6) Molti accordi di questo tipo sono stati raggiunti: vedi Bilateral, Regional and Multilateral Agreements relating to Co-operation in the Field of Nuclear Safety, Vienna 1990 (IAEA Legal Series, 15) e gli aggiornamenti pubblicati nel Nuclear Law Bulletin.
(7) Il NUSS-Programme aveva appunto l’obiettivo di guidare gli Stati membri della IAEA sui vari aspetti della sicurezza degli impianti elettronucleari. All’epoca dell’incidente di Chernobyl erano già stati predisposti cinque codici di procedura e cinquantacinque guide per la sicurezza. Alla luce dell’incidente i codici vennero aggiornati nel 1988, includendo un insieme di principi fondamentali di sicurezza.
(8) Un’analisi dei negoziati si trova in JANKOWITSCH-PREVOR O., «The Convention on Nuclear Safety», Nuclear Law Bulletin, 54, 1996, p. 9.
(9) Reattori di ricerca vengono impiegati per studi e sviluppi di scienza e tecnologia nucleari, ma soprattutto per produrre fasci intensi di neutroni dedicati alla produzione di radioisotopi,  applicazioni mediche, studi di materiali, prove di componenti industriali, controllo dell’inquinamento. In molti casi utilizzano uranio estremamente arricchito, fino al 93 per cento. L’uranio fortemente arricchito pone seri problemi di proliferazione e terrorismo nucleari.
(10) Un’analisi dei negoziati si trova in TONHAUSER W. and JANKOWITSCH-PREVOR O. , «The Joint Convention on the Safety of Spent Fuel Management and on the Safety of Radioactive Waste Management», Nuclear Law Bulletin, 60, 1997, p. 9.
(11) Nuclear Safety Review for the Year 2005, IAEA, Vienna, 2006.

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