La signora delle pannocchie

Cristiana Pulcinelli
Pannocchie da Nobel
Editoriale Scienza 2012, pp. 75, euro 12,00

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Non ha avuto un compito facile la giornalista scientifica Cristiana Pulcinelli: fare appassionare i giovani lettori alla vita e all’opera di Barbara McClintok, la prima donna a ricevere un Nobel per la medicina senza dividerlo con un uomo. Ma ci è perfettamente riuscita, con l’aiuto anche delle eleganti illustrazioni di Allegra Agliardi.

La vita privata della scienziata non offre infatti molti spunti su cui far leva per renderne accattivante la biografia: giornate intere passate a osservare chicchi di mais, nessuna distrazione, nessun flirt, passatempi non proprio entusiasmanti come cucinare torte per gli amici. E non va tanto meglio sul piano professionale: le ricerche di genetica approdate alla individuazione dei trasposoni (i geni salterini) non sono affatto semplici da spiegare ai ragazzi.

L’autrice di “Pannocchie da Nobel” ha però inventato una efficacissima metafora per descrivere la scoperta della McClintock: i geni non sono statici come perle infilate in una collana, ma saltano da una parte all’altra come i bambini indisciplinati di una scolaresca in fila verso la porta d’uscita. Ma, soprattutto, ha trovato il modo di rendere estremamente coinvolgente il ritratto di quella donna “troppo anomala per essere un modello femminile”, incurante del suo aspetto, refrattaria ai parrucchieri tanto quanto ai vestiti alla moda. E di quella scienziata, indomabile studiosa, costretta per anni ad assistere da spettatrice ai progressi della genetica, snobbata da un mondo accademico trincerato dietro a dogmi intoccabili.

La storia di Barbara McClintock, raccontata in modo assai credibile in prima persona, diventa così la storia emozionante di una rivincita. Sul piano umano e su quello professionale.

Ci si ritrova, leggendo gli episodi della sua infanzia, a fare il tifo per quel maschiaccio sinceramente anticonformista che preferisce il calcio al pianoforte e che scambierebbe volentieri le scomode gonne con resistenti pantaloni a prova di salti e capriole. Si torna, qualche anno più tardi, a parteggiare per l’originalità dei suoi capelli corti, malvisti dalle compagne di università, e per la sua sfacciata abitudine di fumare in pubblico. Siamo accanto a Barbara quando decide di farsi largo nel mondo accademico della genetica, frequentato allora da soli maschi. Insomma, pagina dopo pagina cresce l’empatia con la protagonista e i lettori, giovani e non, non possono fare a meno di immedesimarsi.

Tutto ciò che accade a lei ci tocca profondamente: l’umiliazione subita al primo annuncio pubblico delle sue scoperte da una platea sonnecchiante, la rabbia per i commenti ben poco lusinghieri dei colleghi (“una vecchia borsa che per anni è stata appesa qui e là”), il rammarico per l’ostilità degli scienziati nei confronti delle sue rivoluzionarie scoperte.

E finalmente esultiamo insieme a lei per la tanto attesa riscossa: il Nobel per la medicina assegnato per la prima volta a una donna da sola senza doverlo condividere con nessun altro. La “vecchia borsa” trionfa sul podio più ambito della scienza. Era il 10 ottobre del 1983. Barbara McClintock entrava nella storia.

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