La storia della big science

Jeff Hughes
The Manhattan Project. Big Science and the Atom Bomb
Icon Books, 2002
pp.176, euro 14,70

Se all’inizio del Novecento bastava un tavolo da cucina per disporre gli strumenti necessari a studiare le particelle atomiche, come mai oggi la stessa ricerca richiede centri di ricerca che raggiungono le dimensioni complessive di decine di chilometri quadrati, con aree di laboratorio grandi quanto i campi di calcio e strumenti alti quanto un palazzo? Secondo Jeff Hughes, docente di storia della scienza all’Università di Manchester, alla base di questo cambiamento c’é la big science, ovvero la ricerca di dimensioni industriali contrassegnata sinteticamente da cinque M: Machines, Media, Militars, Manpower e Money. Il termine non è nuovo, venne usato infatti per la prima volta negli anni Sessanta dal sociologo americano Derek De Solla Price. Hughes qui lo ripropone per inserire la “grande” scienza nel contesto storico del Novecento e per mostrarne la parabola.Molti hanno attribuito la nascita della big science al progetto militare segretamente codificato come Manhattan District e finalizzato alla costruzione della prima bomba nucleare. Un progetto reticolare in cui i finanziamenti del governo statunitense permisero l’edificazione di un complesso di ricerca grande tanto quanto l’intera industria automobilistica degli Stati Uniti. Secondo Hughes tuttavia la big science non nasce con il progetto Manhattan, il quale semmai rappresenta solo la perturbazione di una traiettoria della ricerca scientifica delineatasi precedentemente. D’altra parte la perturbazione è significativa. Proprio grazie al successo del Progetto Manhattan, la fisica nucleare, uno dei settori di punta della big science, riceve finanziamenti a pioggia che le garantiscono la costruzione di apparati per la ricerca sempre più grandi: gli acceleratori di particelle. Solo negli anni Novanta del secolo scorso, la crisi economica che investe i paesi sviluppati costringe alla riduzione dei finanziamenti per la ricerca e “uccide” il progetto del più grande acceleratore mai costruito dall’essere umano: il Superconducting Super Collider (Ssc). Prendendo spunto da un controverso articolo del direttore del laboratorio di Oak Ridge Alvin Weinberg, Hughes si chiede se la big science sia entrata in una sua fase patologica in cui la crescita dimensionale degli apparati non corrisponde più a una crescita delle conoscenze scientifiche. O forse la big science sta solo “cambiando pelle” rivolgendosi ad altre discipline scientifiche (per esempio la biologia molecolare) piuttosto che alla fisica nucleare?Quale che sia la risposta a questa domanda, Hughes illustra alla perfezione come la scienza del XX secolo sia stata plasmata da interessi economici, di sicurezza nazionale e dal ruolo dei media. Sono questi elementi che hanno contribuito a farla grande. Attraverso l’uso di un linguaggio non specialistico e arricchendo la narrativa con molte illustrazioni, questo libro apre il mondo della bigscience ai non addetti ai lavori, mostrandone gli aspetti salienti senza trascurarne i fin troppi “lati oscuri” sia rispetto al suo ruolo sociale, che rispetto alle limitazioni di risorse finanziarie che ha imposto ad altre discipline. E soprattutto svelando la mitologia che il suo affermarsi nella storia della scienza contemporanea ha inevitabilmente prodotto.

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