L’adenovirus prende forma

Dodici anni di ricerche: tanto è servito per ottenere la struttura tridimensionale dell’adenovirus umano a Dna, responsabile, in adulti e bambini, di malattie respiratorie, congiuntiviti e gastroenteriti. A riuscirci due  distinti gruppi californiani grazie a due diversi studi, entrambi pubblicati su Science, grazie ai quali si aprono nuove prospettive nello sviluppo di vaccini, nella lotta contro il cancro e nelle ricerca sulle malattie genetiche. Questi virus, opportunamente disinnescati, potrebbero infatti essere impiegati come vettori per  inserire geni “terapeutici” in persone malate.

Nel primo studio, partito nel 1998, i ricercatori dello Scripps Research Institute (La Jolla) sono riusciti a determinare la struttura molecolare di un adenovirus umano attraverso la tecnica della cristallografia a raggi X: dopo aver realizzato un cristallo di elevata qualità, lo hanno sottoposto a un fascio di raggi X e ne hanno esaminato le caratteristiche. “Abbiamo realizzato un’immagine del capside (l’involucro proteico che circonda il Dna del virus) contenente circa un milione di aminoacidi”, ha spiegato Vijay Reddy, uno degli autori dello studio.

Nel frattempo, il secondo gruppo lavorava presso l’Università della California – Los Angeles per ottenere un’immagine della struttura atomica di un intero adenovirus umano. Questa volta è stato determinante però l’uso di un particolare microscopio elettronico, che ha consentito di determinare regioni proteiche critiche, non visibili con la  sola cristallografia a raggi X.

Considerate nell’insieme, queste due strutture offrono informazioni utili per comprendere le interazioni tra il microorganismo e la cellula ospite. “Non dimentichiamo che proprio le scarse conoscenze su questo rapporto ha determinato il fallimento dei numerosi studi condotti finora, in particolar modo di quelli sulla fibrosi cistica”, hanno commentato i ricercatori: “Senza questa informazione non è possibile impiegare correttamente i virus come vettori di geni”. 

Riferimenti: Science DOI: 10.1126/science.1187292
DOI: 10.1126/science.1187433

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