L’Aquila, 6 aprile 2009. Una storia

    Alessandro Aquilio
    Ventitrè secondi
    Kellermann editore 2010, pp.255, euro 13,00

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    Questo è un libro speciale. Di quelli che commuovono senza impietosire, che denunciano ingiustizie senza aggredire, che raccontano un dramma personale senza volervi trascinare dentro nessuno (“So bene che non è semplice mettersi nei nostri panni, né obbligatorio”). E’ intimistico come un diario, potente come un atto di denuncia, affidabile come una testimonianza storica, ma l’unica definizione che  “Ventitre secondi”  merita veramente è quella che troviamo in copertina: una storia. Una storia che sorprende e rende fragili come dice Paola Turci nella prefazione.

    Alessandro Aquilio è riuscito in un’impresa non da poco: consegnarci, due anni dopo il terremoto che devastò L’Aquila, una personale e sincera versione dei fatti che, senza pretendere di dirci tutto, ci dice molto più di quanto abbiamo letto su giornali e visto in televisione. E lo fa con una narrazione limpida che basta a sé stessa, nel senso che non ha bisogno di fermarsi, aprire digressioni o parentesi, per farci capire cosa non ha funzionato nei soccorsi o nella copertura mediatica o ancora nell’assistenza medica dei giorni successivi la devastante scossa.

    Basta seguirlo nella ricostruzione di quelle indimenticabili giornate per conoscere veramente il dramma che abbiamo avuto la fortuna di non avere vissuto. A partire da quando la notizia lo coglie di notte nella sua casa milanese. Dopo avere subìto uno dopo l’altro come pugni nello stomaco gli squilli a vuoto dei cellulari del padre e delle sorelle, comincia l’angosciosa ricerca di notizie nella folle programmazione notturna delle televisioni: il Televideo indugia su fatti accaduti ore prima, i canali Rai rispolverano repertori d’altri tempi, sul  resto il nulla o in alternativa grottesche lezioni di analisi matematica.

    La prima informazione arriva dal rullo che scorre in basso in un programma della CNN. Una scossa di magnitudo 6,3 ha colpito il centro dell’Italia. Quel lancio d’agenzia che proviene dagli Stati Uniti (stranezze della globalizzazione) sarà lo spartiacque che dividerà in due la vita di Alessandro.

    Il grande pregio del libro, lo ripetiamo, sta nella prospettiva personale con cui sono narrate le vicende. Ed è la scelta di seguire solo il proprio sguardo a rendere, paradossalmente, “Ventitre secondi” così poco autoreferenziale. E’ proprio perché l’autore ha deciso di parlare di sé, della sua famiglia e di come il terremoto, soprannominato “il Vigliacco”, in poco meno di mezzo minuto abbia ridotto in macerie la sua città e la sua quotidianità, creando una voragine incolmabile tra la vita “prima” e quel che ne resta “dopo”, noi possiamo avvertire in sottofondo anche le tragedie degli altri. Perché sappiamo che quella che leggiamo è “una” storia che ne tace mille altre, è un assaggio di ciò che i cittadini de L’Aquila hanno vissuto, è il dettaglio in primo piano che ci permette di vedere meglio cosa c’è sullo sfondo.

    E’ lo stesso autore a spiegare il senso profondo di ciò che ha scritto quando dice che “per raccontare le grandi sofferenze, le grandi tragedie, si debba iniziare dal particolare. Le storie individuali hanno in sé il germe dell’universalità, il potere di essere accessibili a tutti, di appartenere a ogni persona, ad ogni lettore”.
    La storia di Alessandro si trascina dietro quella di Sara Bronico, Elena Ciocca, Luigi De Iulis, Emanuele Sidoni e di quella lunga lista di esistenze, raccolta in tre pagine nella commovente dedica iniziale, che “di tutti gli attimi di una vita, hanno condiviso l’ultimo”.

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