Le mani sull’ambiente

Ecomafia: il termine è appena entrato nel nuovo Vocabolario della lingua italiana Zingarelli. Una conquista di Legambiente, che ha riassunto in un’unica parola un vasto e grave problema ambientale, economico e sociale. In occasione della presentazione dell’ultimo rapporto Ecomafia 99, Galileo ha chiesto a Ermete Realacci, presidente di Legambiente, quali sono le caratteristiche di un fenomeno così complesso.

Quando e come avete svelato l’intima corrispondenza fra mafia e illegalità ambientale?

“Inizialmente, la nostra attività era soprattutto di denuncia di singoli eventi. Poi progressivamente abbiamo capito che i nemici dell’ambiente non erano solo i privati cittadini, singoli imprenditori che aggiravano le leggi, ma che c’era qualcosa di più e di peggio: abbiamo scoperto il ruolo molto forte della malavita organizzata. La mafia lavora come una holding finanziaria, cioè orienta i propri interessi dove c’è minor rischio e maggior profitto. In altre parole: un trafficante di cocaina viene arrestato, uno che scarica arsenico in un fiume non rischia più di tanto. Ecco spiegata la rapida colonizzazione di questi settori da parte della malavita organizzata, che dopo averne verificato le possibilità di guadagno ha incrementato la sua attività. Così cinque anni fa, dopo aver studiato il fenomeno, abbiamo coordinato le nostre informazioni con i dati dall’Arma dei Carabinieri e abbiamo compilato il primo rapporto. Poi sono intervenute altre forze: la Polizia, la Guardia di Finanza, il Corpo Forestale, e da quest’anno anche il Sisde, i servizi segreti”.

Qual è la specificità dell’ambientalismo italiano?

“L’Italia ha i problemi ambientali caratteristici di tutti i più grandi paesi del mondo: l’inquinamento locale e i grandi fenomeni globali, come l’effetto serra. Ma in più ci sono delle specificità: la peggiore è proprio la presenza patologica della malavita organizzata. Certo, fenomeni come il traffico illegale dei rifiuti o l’abusivismo edilizio esistono anche negli altri paesi. Ma solo in Italia assumono questa rilevanza. Per fortuna, l’Italia ha anche una sua specificità positiva. E cioè il modo in cui il nostro paese viene percepito nel mondo: abbiamo un enorme patrimonio storico-culturale, delle bellissime città, un paesaggio che il mondo ci invidia. Essere ambientalisti in Italia significa occuparsi anche di questo. Per questo, se importassimo le politiche ambientali di altri paesi, commetteremmo un grande errore”.

Può farci un esempio?

“Consideriamo la politica dei parchi americana: un parco statunitense può superare gli 800 mila ettari di proprietà pubblica, senza che all’interno di quest’area si trovi una casa, un paese, una traccia del passaggio dell’uomo. In Italia, 800 mila ettari corrispondono alla somma di tutti i parchi del Centro-Sud, riserve comprese. Dentro ci sono centinaia di paesi, abbazie, castelli. Se in queste zone si vietasse la presenza dell’uomo, imitando la politica dei parchi statunitensi, diventerebbero delle zone degradate. Insomma, l’ambientalismo italiano non può che essere “antropizzato” perché deve fare i conti con la presenza dell’uomo, nel bene e nel male. Ecco perché la battaglia contro l’ecomafia è strategica: non possiamo permettere la distruzione di quel patrimonio che il mondo ci invidia”.

E’ d’accordo con l’espressione “abusivismo di abitudine”, usata anche dal ministro del lavoro, Antonio Bassolino, durante il convegno napoletano “Giù il Fuenti, su la testa”?

“L’illegalità in campo ambientale si inserisce nella cultura dell’italiano medio, tipica soprattutto di alcune zone dell’Italia, regioni dove l’evasione della legge – dalle cinture di sicurezza al biglietto dell’autobus – è guardata con occhio tenero. Noi abbiamo parlato di “Italia dei Furbi” proprio per evidenziare un problema specifico del nostro paese. Il fenomeno va contrastato su due fronti: semplificando le leggi e reprimendo queste tendenze con denunce e sanzioni. Perché spesso le piccole cose sono il segno di problemi più gravi: anche il piccolo abusivismo, quello di abitudine, può essere l’incubatrice di fenomeni più gravi”.

Che ne pensa dell’autonomia regionale in fatto di ambiente?

“Sono d’accordo, a patto che le regioni migliorino le loro capacità in termini di politica ambientale. Sappiamo che alcune regioni, come la Campania, non hanno attuato alcuna legge nazionale in materia ambientale. Se trasferire alla Regione Campania tutti i poteri significa indebolire la lotta all’abusivismo, allora non ci sto”.

L’abitudine va combattuta anche nelle scuole: le piacerebbe un’ora di “educazione ambientale”?

“No, sarebbe un peso in più per i ragazzi, e si ridurrebbe a una materia come tutte le altre. Questo non significa che la scuola non sia importante. Per questo Legambiente organizza ogni anno corsi di formazione per 80 mila insegnanti. Alla fine di aprile, poi, ci sarà una giornata per prendersi cura delle aule, dell’edificio, del giardino, per responsabilizzare la collettività nei confronti della scuola. Bisogna far capire ai ragazzi che parlare d’ambiente significa parlare di cose che riguardano tutti”.

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