Categorie: Vita

Le radici dell’evo-devo

Ron Amundson
The Changing Role of the Embryo in Evolutionary Thought: Roots of Evo-Devo
Cambridge University Press, 2005
pp. 296, euro 71,48

Il crescente interesse suscitato dall’evo-devo, la biologia evolutiva dello sviluppo, ha posto fine a decenni di incomunicabilità tra la genetica delle popolazioni e l’embriologia, e ha sollevato il problema della conciliazione tra i rispettivi presupposti teorici. Studiare l’evoluzione biologica in termini di cambiamento delle frequenze geniche, oppure in termini di cambiamento dei processi di sviluppo, può sembrare una questione astratta, ma ha importanti conseguenze per quanto riguarda i metodi e i risultati della ricerca (qui e altrove, “sviluppo” sta per la serie di passaggi che portano dall’uovo fecondato all’individuo adulto). Uno dei molti meriti di questo libro è di non dare per scontato che una conciliazione teorica sia possibile: saranno gli scienziati, a posteriori, a mostrarci se e come l’impresa sarà portata a termine. Ron Amundson ha fondati motivi, filosofici e storici, per un certo scetticismo. Fino a non molto tempo fa, gran parte dei biologi avrebbe probabilmente sostenuto che gli aspetti più interessanti dell’evoluzione biologica sono gli adattamenti, e che i vincoli dovuti allo sviluppo sono fattori secondari. Per citare i soliti noti, chiunque ha avuto modo di veder articolata questa posizione, e le critiche che ha suscitato, nel lungo dibattito tra Richard Dawkins e Stephen Jay Gould. Amundson vede in questa discussione la riproposizione di un conflitto tra funzione e forma che ha radici filosofiche profonde, e che rimane tuttora irrisolto. La prima parte del libro è una sfida, argomentata e convincente, alla storiografia della sintesi moderna. Ernst Mayr ha spesso criticato il pensiero tipologico – lo studio del vivente in termini di strutture, o piani anatomici – come una concezione fissista, vale a dire creazionista. Per Amundson, al contrario, fu proprio il pensiero tipologico a lanciare la prima sfida al “metodo adattamentista” prescritto dalla teologia naturale. Da questo punto di vista persino Richard Owen, tra i principali esponenti del pensiero tipologico e oggi al più ricordato come avversario di Darwin, può essere visto in una luce positiva per aver fornito con il suo “archetipo” un solido fondamento alla nozione darwiniana dell’antenato comune.La seconda parte del libro è una ricostruzione della dialettica, conflittuale, che ha caratterizzato i rapporti tra genetica e biologia dello sviluppo nel corso del ventesimo secolo. Nel momento in cui la genetica si appropriava, in modo esclusivo, della ricerca nei campi dell’ereditarietà e dell’evoluzione, il ruolo precedentemente avuto dall’embriologia e dalla morfologia in questi stessi campi veniva messo in sordina. Per esempio, la teoria di Weismann della continuità del plasma germinale nasceva da problematiche embriologiche, ma sarebbe poi stata narrata nei termini propri della genetica, riducendosi alla confutazione dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti.Nonostante i numerosi spunti polemici riservati alla genetica, questo non è l’ennesimo libro sull’ascesa e il declino del gene e sulle sue contraddizioni. È una riflessione su questioni che è difficile ignorare se si vuole comprendere l’unificazione oggi in atto all’interno della biologia, i suoi potenziali rivoluzionari e gli ostacoli che potrebbero condizionarne il successo.

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