Le signore del riciclo hi-tech

Trasformare un rifiuto in una risorsa, costruendovi intorno un progetto imprenditoriale basato su ricerca, sviluppo e innovazione. È il caso di Orange Fiber, un nuovo tessuto creato a partire dagli scarti delle arance dell’industria alimentare. E anche quello di HydroWEEE, un impianto per il recupero delle Terre Rare dai rifiuti elettronici. Ecco cos’altro hanno in comune questi due progetti: sono stati realizzati da donne che hanno dimostrato di possedere “visione” e di “privilegiare l’impatto sociale, la trasparenza nei comportamenti e l’etica”. E che proprio per questo sono tra le vincitrici del premio internazionale “Tecnovisionarie 2014”, promosso dall’associazione Women & Technologies e giunto quest’anno alla settima edizione (qui le altre vincitrici).

Dietro Orange Fiber vi sono due giovani startupper siciliane, Adriana Santanocito, specializzata in nuovi materiali e tecnologie per la moda al Politecnico di Milano, ed Enrica Arena, che ha una laurea in Cooperazione internazionale. A partire dalla costatazione che solo in Italia devono essere smaltite ogni anno 700 mila tonnellate di scarti degli agrumi, Santanocito ha condotto uno studio di fattibilità presso il Politecnico e ha poi depositato il suo brevetto per quello che definisce un “filato cosmetotessile”. Il primo capo, presentato lo scorso settembre, era stato creato a partire da un acetato ottenuto con gli agrumi. Oltre al recupero di uno scarto alimentare, la startup mira anche a produrre un tessuto in grado di rilasciare sulla pelle una sostanza emolliente, a base di vitamina C. Questo avverrebbe grazie alle nanotecnologie: in particolare con l’inserimento di piccolissime capsule contenenti oli essenziali di agrumi e vitamina C a lento rilascio.

Molto diversa è la storia di HydroWEEE, che nasce all’interno di una azienda di Lainate già avviata da anni, Relight, creata dalla “tecnovisionaria” Bibiana Ferrari. Qui l’obiettivo era aumentare la percentuale di materiale riciclabile dai rifiuti elettrici ed elettronici, puntando in particolare agli ossidi delle terre rare che si possono ottenere dalle polveri fluorescenti contenute in particolare nelle lampadine al neon. Il progetto, unico in Europa, è stato sviluppato insieme alle università Sapienza di Roma e de L’Aquila e grazie ai finanziamenti dell’Unione europea.

Nella foto: Bibiana Ferrari (Credits: Relights via Women & Technologies).

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