Le tante nascite dell’homo

Venni in questo universo il perché non sapendo
Né il donde, com’acqua che scorre volente o nolente
E da esso uscirò, come vento nel deserto
Che soffia volente o nolente, non so verso dove

(Omar Khayyam, Quartine )

Un giorno, e in un paese lontano, un pensoso signore di buone letture e poliedrica cultura, molto impegnato nel rispetto dei valori e della natura umana, chiese a uno di noi un po’ timidamente: “chi era il primo uomo, e quando visse?”. La prima reazione fu di stupore: che razza di domanda è mai questa? Poi subentrò il sussieguo: è una domanda banale e malposta. Quindi l’indignazione: possibile che ci sia ancora in giro gente che parla di “primo uomo”. Era, tuttavia, un’indignazione da addetto ai lavori, un po’ spocchiosa e tanto comune tra chi si occupa di origini dell’uomo.
Probabilmente non c’è nella scienza una disciplina così lontana dal senso comune come la paleoantropologia. La società civile e le sue credenze, alimentate dalla scuola e dalla pubblicistica oltre che, naturalmente dalla televisione, hanno un’immagine della preistoria e dell’origine dell’uomo conforme a quanto gli scienziati dibattevano un secolo fa: l’idea che sia esistito un “primo uomo”; che sia sorto dal nulla in un certo luogo, e già del tutto simile a noi, solo un po più ruspante e peloso, oltre che meno intelligente e che cacciasse coperto di pelli. Sono tutte sciocchezze, i paleoantropologi oggi hanno un’idea ben diversa di ciò che accadde nel corso di milioni di anni e che finì col dare luogo alla nostra specie. Ma nel senso comune è passato quasi nulla. E sebbene in una forma meno rudimentale di quella degli antenati hollywoodiani, anche quel pensoso signore doveva avere un’immagine ben fissa della nostra preistoria.
Il destinatario della domanda arricciò il naso sospirando. Qualcosa, peraltro, bisognava rispondere. Anche perché, per quanto malposta, la domanda non era affatto banale. E poi se a noi appassionati di fossili e origini parlare di “primo uomo” sembra un’eresia, bisogna pure trovare il modo di spiegare il motivo. Un motivo che rendesse comprensibile un dibattito in corso tra i paleoantropologi di tutto il mondo da svariati decenni. La risposta suonava più o meno così. Non si può identificare uno specifico periodo in cui ebbe luogo l’ominazione, ne si può indicare un animale in cui tutti e solo i caratteri umani si assommino per primi. Si deve piuttosto ritenere che un pacchetto evolutivo durato svariati milioni di anni abbia portato a Homo sapiens. Detto questo, tuttavia, possiamo girare la domanda in questi termini: a che punto di tale pacchetto e dopo l’evoluzione di quali tratti si ha ragione di tracciare la linea di demarcazione tra l’umano e il non umano? E possiamo rispondere che questo punto dipende largamente da cosa si considera essere il carattere distintivo o i caratteri distintivi dell’”umanità”, (intesa non come idea platonica fissa e immutabile, come ipotesi di lavoro transitoria).

La domanda sull’origine dell’uomo che è corretto porsi crediamo suoni allora in questo modo: quando parliamo di uomini, parliamo di bipedi? o di costruttori di utensili? o di animali capaci di articolare un linguaggio? o capaci di tenere in piedi una struttura sociale? o di cacciare? o di controllare i propri cicli riproduttivi? o di sentirsi uomini e pertanto diversi dagli altri animali? o di parlare, progettare e programmare? Quale di queste caratteristiche, prese da sole o tutte insieme, è paradigmatica dell’ Umano? Ciascuno di questi tratti evolutivi si è evoluto in una fase diversa della storia naturale dell’uomo; è stato patrimonio di animali differenti che vivevano in ambienti differenti. E si è evoluto insieme ad altre caratteristiche, molte perdute con l’estinzione di quegli umani che ne erano portatori. E allora?

Occorre a questo punto, e prima di ogni altra considerazione, enunciare un postulato senza il quale nulla di quanto scriveremo ha ragione di essere scritto. Un postulato che consideriamo indiscutibile e che, per non essere tacciati di arroganza giornalistica, mettiamo in bocca a uno dei più grandi paleoantropologi viventi. Richard Leakey scrive nel suo ultimo volume Le origini dell’uomo a proposito della qualità umana quanto segue: “Chi cerca di definirla è come se provasse a modellare della gelatina, che continua a sgusciare tra le dita. Ma se questa dimensione umana è venuta in essere nel corso della storia evoluzionistica, allora deve avere degli elementi costitutivi, che a loro volta devono poter essere identificati. Sono convinto che queste componenti ora abbiamo cominciato ad identificarle , e che possiamo individuare il graduale emergere delle qualità dell’uomo nella nostra storia evoluzionistica. Mi sento quindi piuttosto perplesso, e anche insofferente, di fronte a una diversa concezione diffusa e sostenuta da numerosi studiosi. Queste persone suggeriscono che la qualità che noi chiamamiamo “umana” sia scaturita, totalmente formata, nel cervello di Homo sapiens. L’”umanità”, secondo questa concezione, è qualcosa di recente nella nostra storia, una qualità negata a ogni nostro altro antenato. Sostenendo che questa particolare qualità sia comparsa per così dire dal nulla, da un punto del tutto sconnesso del nostro patrimonio evoluzionistico, tali studiosi assegnano in effetti alla qualità umana una caratteristica unica e scientificamente inspiegabile. E’ una posizione che getta un manto di mistero proprio sulla questione che stiamo indagando con maggiore sollecitudine, e curiosamente ha l’aria di un’azione di offuscamento creazionista. Io la respingo fermamente. Credo che le qualità della mente umana, al pari delle forme del corpo, si siano formate attraverso un’avvincente storia evoluzionistica”.

Questo scrive Richard Leakey, e questo crediamo sia un postulato imprescindibile da cui deriva la nostra risposta alla domanda da cui abbiamo preso le mosse: ognuna per il suo verso, ciascuna delle specie ominidi nostre antenate rappresenta una linea di demarcazione tra l’umano e il non umano.

Umani dovevano essere gli australopiteci bipedi che si muovevano nelle savane dell’Africa orientale almeno tre milioni e mezzo di anni fa, come mostrano le impronte di Laetoli trovate da Mary Leakey, o anche assai prima come indicherebbero i fossili etiopi vecchi di circa quattro milioni di anni. Per tanti altri aspetti quegli animali non erano diversi dai primati nostri cugini, essi vagavano però su due zampe e tanto ci serve per mostrarne l’umanità.

Umani doveno essere gli Homo habilis del Turkana e di Olduvai che razzolavano in bande circa due milioni di anni or sono. Agli australopiteci era toccato diversificarsi fisicamente dagli altri primati imparando nei millenni a camminare su due zampe e liberando la mano dalla funzione locomotoria. Ad Habilis va riconosciuto il “merito” di aver imparato a costruire utensili, di aver evoluto una capacità tecnologica assai complessa sia per lavorazione che per tipologia. Phillip Tobias (paleoantropologo sudafricano di fama mondiale e massimo esperto di questa specie) sostiene poi che Habilis è il primo animale conosciuto ad avere un’area di Broca piuttosto espansa, e quindi, probabilmente ad articolare un linguaggio di qualche tipo. Eccola dunque l’umanità di questo sconosciuto (di lui ci rimangono pochissimi frammenti fossili) e antichissimo uomo: il suono che si fa parola e, forse, discorso, l’uso casuale di strumenti litici o vegetali che si fa progettazione, forse tecnologia. Ma non solo. In questo periodo della storia evolutiva umana vorremmo situare il peculiare rapporto tra i sessi proprio degli umani: la copula frontale, la perdita dell’estro da parte delle donne, l’amore, e la sessualità disgiunta dalla procreazione.

Umani poi erano gli Homo erectus, i primi colonizzatori del mondo, che dall’Africa si spostarono fino in Asia e in Europa. Avevano un cervello piuttosto grosso (1.043 cm cubi in media), cacciavano in bande e quindi dovevano avere capacità comunicative piuttosto elevate. Insomma: parlavano, seppur a modo loro. E avevano una struttura sociale molto differente da qualunque altra esistente nel mondo animale. Linguaggio, struttura sociale, grandi capacità di adattamento. Ma soprattutto il fuoco, e con esso la possibilità di modificare l’ambiente in maniera consistente. Per molti versi Erectus è un punto cardinale per capire di cosa parliamo quando parliamo di uomini perché marca l’alba della struttura sociale umana e della vita psichica, entrambe mediate dal linguaggio. Perché con lui l’evoluzione culturale inizia a sovrapporsi a quella biologica.

La lunga storia della permanenza sulla Terra questo antenato ne dimostra il successo evolutivo. Un successo che da un lato ha permesso l’esplosione demografica che lo ha spinto a muoversi da un continente all’altro, e dall’altro ha consentito l’evolversi di una serie di tratti di lusso, per così dire, impensabili in altri momenti della storia umana quando la sopravvivenza in un ambiente ostile era la preoccupazione dominante. Solo una relativa tranquillità (reperimento delle risorse alimentari, capacità di difesa dai predatori, buon livello di sopravvivenza dei piccoli) può avere permesso la specializzazione di un carattere così complesso come il linguaggio, e il rinsaldarsi della struttura sociale. Che in erectus hanno le loro origini.

E se con questo, come s’è detto, l’evoluzione culturale inizia a sovrapporsi a quella biologica, il processo si compie definitivamente nel lungo regno dei neandertaliani. Uomini, come noi anche se straordinariamente diversi. Se taluni tratti dell’emotività umana fanno la loro comparsa in erectus, infatti, è solo nei neandertaliani che si tratteggia la vita psichica, come noi la intendiamo. Gli uomini di Neandertal vissero in Europa e nel vicino Oriente per circa 100.000 anni (dai 135.000 ai 34.000 anni fa), erano uomini con un cervello leggermente più grande del nostro, ma con una strana faccia: protesa in avanti, per così, dire; un po’ come se a un cranio di plastilina qualcuno tirasse il naso. Anatomicamente erano un po’ diversi dagli uomini moderni, cioè noi, e molti paleoantropologi si chiedono se erano della nostra specie o meno. Si chiedono se fossero i nostri antenati o se invece abbiano finito con l’estinguersi. E se lo chiedono anche perché i neandertaliani avevano a tutti gli effetti una vita psichica assai paragonabile alla nostra: seppellivano i loro morti, marcando con ciò la loro differenza con gli altri animali (che invece lasciano le carogne abbandonate e permettono che altri se ne nutrano).

Ora: la questione che si pone è importante. Questa ricchezza dell’intelligenza neandertaliana può essere appartenuta a un uomo estinto e così diverso da noi da essere un’altra specie? Insomma, è possibile che uomini anatomicamente diversi da noi, molto ben adattati a un clima e a un habitat che oggi non esistono più per ciò stesso si siano estinti nonostante fossero intelligenti proprio nella stessa maniera e modo in cui noi lo siamo? Dire di sì, significa implicitamente ammettere che mutando clima e condizioni ambientali anche noi potremmo estinguerci: per questo molti proprio non riescono ad accettare questa teoria e il pregiudizio ci pare entri fin troppo nella disputa delle dispute, quella che coinvolge i neandertaliani per spiegare le origini del sapiens anatomicamente moderno. Ovvero le nostre origini.

Perché parliamo di pregiudizio? Diciamolo prima di entrare nel merito delle discussioni sulle origini del sapiens citando Stephen Jay Gould: “la storia della vita non è il racconto convenzionale di un progresso costante verso una sempre maggiore eccellenza, complessità, e diversità”. Ovvio? Niente affatto, se si pensa che ancora oggi tutte le rappresentazioni dell’evoluzione dell’uomo esibiscono una scala di eccellenza che va dritta dallo scimmione al bussiness man e tendono tutte a mostare inequivocabilmente la inevitabile superiorità umana. Tutti, ancora oggi, percepiscono l’evoluzione dell’uomo come una scala di progresso dal più tonto al più furbo, dal bruto al colto, persino dal più brutto al più bello. E non c’è nulla, a nostro parere, di più fastidioso di questa demente arroganza con cui guardiamo alla natura e alla nostra storia.
Il motivo lo facciamo dire a Mark Twain, che scriveva: “l’uomo esiste da 32.000 anni. Che siano occorsi 100 milioni di anni è una prova che il mondo esiste per l’uomo Twain usava le stime della età della Terra allora correnti, oggi dovremmo cambiare le cifre in 250.000 anni per l’uomo e 4,5, miliardi di anni per la Terra, n.d.a. Io suppongo che sia così. Non lo so di sicuro. Se la Torre Eiffel rappresentasse l’età del mondo, lo spessore della vernice sul pinnacolo al suo vertice rappresenterebbe la durata relativa dell’esistenza dell’uomo, e chiunque percepirebbe che quel sottile strato di vernice fu ciò per cui è stata costruita la torre. Suppongo che lo percepirebbe, non lo so di sicuro”.
E invece oggi siamo abbastanza sicuri che, come scrive Stephen Jay Gould, “la vita è un cespuglio che si ramifica copiosamente, continuamente sfrondato dalla sinistra mietitrice dell’estinzione, non una scala di progresso prevedibile. (….) Se l’umanità è sorta solo ieri su un ramoscello secondario di un’albero rigoglioso, la vita non può, in alcun senso genuin, esistere per noi o a causa nostra. Forse noi siamo solo un ripensamento, una sorta di accidente cosmico, una decorazione appesa all’albero di Natale dell’evoluzione”. La storia della scienza è un continuo estromettere l’uomo dal centro, come faceva notare già Siegmund Freud, sottolineando quale paradosso fosse il nostro speculare scientifico che spostandoci continuamente dal centro delle cose ci costringe a pagare un prezzo psicologicamente intollerabile. L’astrofisica ha messo la Terra in un oscuro sgabuzzino dell’universo, la genetica ha mostrato le nostre uguaglianze con il resto del vivente, e la geologia ci caccia persino in un cantuccio dell’evoluzione. Per tanti è insopportabile. E ancora più insopporabile è guardare in faccia il neandertaliano ricostruito al Museum of Natural History di New York, recentemente sistemato da Jan Tattersaal con accuratezza scientifica straordinaria. E’ un bel signore dal naso grosso a dalla fronte volitiva, umano né più né meno di voi e noi. Aveva una vita interiore costruita sulla dicotomia di vita e morte (eros e tanathos, direbbero oggi gli psicoanalisti), sulla opposizione tra natura e cultura. E’ estinto; per parafrasare Gould: forse era un’altra decorazione dell’albero di Natale dell’evoluzione, una decorazione che oggi si è rotta.

Neandertal l’Europeo si è estinto e il suo posto è stato preso da sapiens l’Africano. Ma possibile che niente di lui sia rimasto, nei nostri geni ad esempio? Eccoci allora al centro della disputa sulle origini dell’uomo per eccellenza, Homo sapiens (sapiens, aggiungono alcuni e vedremo perché). Eccoci allora davanti al quesito su cui da un po’ di anni gli antropologi si accapigliano, ovvero l’origine africana degli uomini anatomicamente moderni. In sintesi, ci si chiede quale sia la linea evolutiva che nell’orgia di umanità che ha occupato il pianeta per svariati milioni di anni ha condotto proprio a noi. Taluni dicono che nei diversi continenti dall’Homo erectus si sia evoluto indipendentemente l’Homo sapiens, rispettivamente passando attraverso delle forme di sapiens arcaico in Africa e attraverso Anteneandertaliani e Neandertaliani in Europa: questi sono i campioni della cosiddetta ipotesi multiregionale che andava per la maggiore tra gli scienziati fino a qualche anno fa. Fino a quando, cioè, Allan Wilson a Rebecca Caan, biologi molecolari berkeleyani di chiarissima fama, dissero che l’analisi dei mitocondri mostrava chiaramente che tutti gli umani discendevano da un unica donna vissuta in Africa circa 150.000 anni fa. La teoria apparve, prima che altrove, sul San Francisco Chronicle del 24 marzo 1986 e in meno di una settimana tutti i mass media del mondo portavano titoli ammiccanti su Eva, Eva africana “madre di tutti noi”. La teoria dell’Eva nera non ebbe vita facile. Fu sottoposta a un ventaglio di critiche e revisioni, prima tra tutte quella sulla attendibilità dell’orologio che ne fissava l’età: 150.000 anni.

Se, infatti, tutti i viventi discendono da un unico ceppo africano vissuto 150.000 anni or sono, e visto che l’erectus migrò dall’Africa ben oltre un milione di anni fa, ne discende chiaramente che l’ipotesi di una origine di sapiens da erectus differenziata nelle varie regioni del mondo sia sbagliata. Ma, se l’orologio è inattendibile, come ci faceva notare Phillip Tobias, allora posso spostare indietro all’infinito le lancette e trasportare Eva a un milione o più di anni addietro. E l’ipotesi testé cacciata dalla porta rientrerebbe dalla finestra. Allora? E, cosa mostrano i fossili? Ma, se i biologi molecolari avessero ragione: perché si estinsero i neandertaliani? Cosa accadde in Europa, e nel mondo, all’arrivo del sapiens anatomicamente moderno?

Cominciamo dall’inizio
Chi sono quegli ominidi? Il protagonista principale della disputa sull’origine del sapiens anatomicamente moderno è Milford Wolpoff, che insegna paleoantropologia umana all’Università del Michigan. Insieme al suo socio Alan Thorne, Milford e’ il campione della teoria cosiddetta “multiregionale”. Senza mezzi termini i due sostengono che la teoria dell’origine africana di un sapiens che ha sostituito in tutto il mondo gli altri ominidi è, come dice Wolpoff, “just wrong” (semplicemente sbagliata).
Wolpoff e Thorne fanno leva sull’anima “fossilara” degli antropologi. Che sono legati ai loro sistemi e faticano a capire le innovazioni della biologia molecolare. Già perché il primo a tirare il sasso nello stagno fu proprio il grande biologo molecolare, scomparso di recente, Alan Wilson che pubblicò sulle pagine della rivista inglese Nature una memoria nella quale sosteneva, insieme a Rebecca Caan, che un ceppo di esseri umani di tipo moderno si era evoluto in Africa e poi diffuso in tutto il mondo a partire da 100.000 anni fa, senza mescolarsi in misura considerevole con i gruppi umani che abitavano dapprima il vecchio mondo. Subito attaccata con violenza dai sostenitori della ipotesi multiregionale, che affermavano invece una origine parallela della specie sapiens nei tre continenti dall’antica forma comune Homo erectus, la teoria cosiddetta dell’Eva Nera (ma ai biologi non piace questa denominazione troppo spettacolare e troppo difforme dalla realtà) ha subito in questi anni notevoli aggiustamenti, ma anche sostanziali conferme da parte dei biologi molecolari. Ma quanto a convincere gli antropologi è un altro paio di maniche. Loro si ostinano a pensare che misurando ossa si possa arrivare a conclusioni probanti. E le due categorie di scienziati stentano ancora a dialogare.

Questo ci sembra, almeno sul piano epistemologico il dissidio numero uno. Gli antropologi sono sempre stati restii ad ammettere l’apporto delle altre scienze al discorso sull’origine dell’uomo, fatta eccezione per la canonica geologia e per le recenti tecniche di datazione che appaiono più strumenti per l’antropologo che non discorsi scientifici convergenti al suo. Basti solo, per fare un esempio, pensare alla fatica fatta dai primatologi e dagli etologi per poter entrare nell’arena: ci volle tutto il prestigio di Louis Leakey per convincere la comunità scientifica a valutarne l’indispensabile apporto.
Detto questo, però, mentre i genetisti fanno il loro mestiere di rintracciare l’origine e i percorsi della nostra identità genetica, agli antropologi resta quello di interpretare i resti fossili, di datare i reperti, di valutare le condizioni paloeclimatiche, di tracciare modelli filogenetici. E la domanda è: i fossili ci raccontano la stessa storia dei geni? Se e’ giusta la tesi dell’ “out of Africa”, mentre da una parte gli erectus devono essersi estinti su tutto il pianeta (in un periodo che può essere diverso da continenente a continente) e le loro tracce fossili devono scomparire, dall’altra si devono trovare fossili di ominidi differenti, più simili al sapiens, se non addirittura fossili dei sapiens stessi.

Il problema è allora quello di fotografare la Terra al momento della transizione da l’Homo erectus al sapiens, e non è detto che la transizione sia stata unica, né che sia avvenuta in un unico spazio temporale. In realtà la confusione nasce dal fatto che a partire da circa 400.000 anni prima di Cristo sulla Terra, prima popolata dai soli Homini erectus (che dall’Africa erano partiti circa un milione di anni prima alla conquista del mondo intero), cominciano ad apparire un gran numero di ominidi assai diversi tra loro e fotografare la Terra a quel tempo diventa così una faccenda assai complicata. Chi erano, dunque quegli ominidi?

Per chiarirlo dobbiamo accordarci su come calibrare l’ora X della fotografia. E’, infatti, un’ora X assai variabile, come vedremo, perché in Africa i primi sapiens (o almeno presunti tali) cominciano ad apparire già 400.000 anni fa, nella prima metà del Pleistocene medio, diversificandosi dal ramo degli erectus che qui aveva avuto origine oltre un milione di anni prima, e sempre in Africa questi sapiens antichi si evolvono nel giro di 300.000 anni fino alla comparsa di esemplari assai simili a noi nel periodo che marca la transizione tra pleistocene medio e superiore. In Asia, invece, vivono gli erectus fino a molto avanti nel Pleistocene medio e nella fase di transizione al Pleistocene superiore (circa 150.000 anni fa) compaiono forme umane simili ai sapiens arcaici, ma classificabili anche come erectus un po’ strani. Gli anatomicamente moderni compariranno in Oriente solo tra circa 100.000 anni. In Europa, poi, regna un caos di forme umane: erectus evoluti, e anteneandertaliani assai dissimili fino all’apparire dei neandertaliani, nel Pleistocene superiore. Va detto, per sgombrare subito il campo da una eventuale velleità di tracciare gerarchie e discendenze, che non ci crea particolari difficoltà filosofiche pensare a una varietà di individui intelligenti a spasso per il pianeta, né che ci sembra disdicevole non poter dire con certezza se erano di specie differenti, o che rapporti avessero l’uno con l’altro. Ciò che ci pare importante è sottolineare la grande variabilità e le tante differenze tra gli individui che abitarono la Terra dai 400 mila (circa) ai 30 mila anni fa, data in cui l’Homo sapiens rimane definitivamente solo.

Ma torniamo alla nostra fotografia La scelta dell’ora in cui scattarla è quindi del tutto arbitraria. Per comodità sceglieremo di fissare il quadro a 200.000 +/- 50.000, ovvero a metà del Pleistocene medio , nell’interegno tra le glaciazioni di Mindel e Riss. E vediamo chi abita il pianeta in quel momento.

Erectus o non erectus, questo è il problema

Secondo Wolpoff e i multiregionalisti gli ominidi della nostra istantanea erano tutti discendenti dell’Homo erectus che si erano evoluti in razze differenti a seconda degli habitat geografici in cui si erano trovati a vivere. Questa ipotesi presuppone che i cambiamenti morfologici siano avvenuti lentamente e che in realtà l’erectus non si sia mai estinto, ma si sia trasformato lentamente nel sapiens in una scala gerarchica ininterrotta. Di fatto, per questi studiosi noi siamo degli erectus un po’ modificati e cinesi, europei o africani sono diversi fisicamente perché si sono evoluti da quel lontanissimo antenato in maniera differente rimanendo geograficamente isolati per lunghissimi periodi di tempo. A conferma della loro tesi i multiregionalisti chiamano la persistenza di un certo numero di caratteri attraverso i millenni e il lento mutare di altri. E sciorinano una quantità di misure e rilevazioni di somiglianze tra ominidi analoghi geograficamente e difformità tra quelli lontani.La domanda di partenza è: a chi assomigliavano i primi uomini moderni ritrovati nei quattro angoli della Terra? Agli africani o ai popoli che abitavano le aree corrispondenti? I fossili documentano una sostanziale continuità anatomica tra gli antichi asiatici e i moderni, tra i neandertal e gli europei, tra gli australiani pleistocenici e gli aborigeni contemporanei. In particolare i dati più convincenti vengono dall’Asia. A Giava l’uomo visse per circa un milione di anni, e, mentre si evolvevano i caratteri tipici del sapiens, rimasero pressocché immutate alcune caratteristiche anatomiche tra cui la fronte piatta e sfuggente, gli zigomi alti e massicci, il pavimento nasale raccordato alla faccia. L’indonesiano vissuto a Ngandong circa 100.000 anni fa presenta tutte queste caratteristiche, ma ha un cervello grande come il nostro.

Le stesse differenze che ci sono oggi tra indonesiani e cinesi c’erano circa un milione di anni fa: faccia schiacciata piccola e fragile, corporatura più esile, naso meno sporgente, fronte separata dalle arcate sopracigliari ricurve, incisivi a pala.Questa caratteristica degli incisivi a pala è un tratto morfologico che si riscontra pressocché in tutti gli esemplari cinesi più antichi.Ma il cavallo di battaglia dei multiregionalisti sono i fossili australiani. Si tratta di una serie di sepolture rinvenute a Kow Swamp, nell’Australia meridionale, e attribuibili all’ultimo Pleistocene. Conservano i resti di individui anatomicamente moderni che, secondo Wolpoff e Thorne, assomigliano ai fossili di Ngandong (Java) in molti caratteri del cranio. I resti di Java appartengono al Pleistocene Medio e, secondo i multiregionalisti, dimostrano l’esistenza di ominidi “intermedi” tra gli erectus asiatici presenti in altre parti dell’isola e gli australiani di Kow Swamp.

Ma molti esperti, tra cui la maggiore autorità in materia di erectus, Philip Rightmmire, obiettano che gli ominidi vissuti a Ngandong sono del tutto simili agli altri vissuti in Cina e a Java, ovvero sono degli erectus e non degli animali intermedi.
Spostandosi in Europa lo scenario tracciato dai multiregionalisti non cambia di molto. Dai primi erectus emigrati nel vecchio continente si evolvettero i neandertaliani che non sono affatto una specie estinta, ma gli antenati genetici dell’uomo europeo che ne conserva i tratti peculiari. I multiregionalisti chiamano in causa i lavori di David Freyer dell’Università del Kansas che al Congresso di Gerusalemme ha presentato una ricerca in cui mostra che parecchi caratteri ritenuti tipici dei neandertaliani compaiono in popolazioni europee più tarde e che una morfologia pienamente moderna compare soltanto nel Mesolitico. Lo studio dimostrerebbe che c’e’ stata ibridazione tra i neandertaliani e i sapiens africani o che i neandertaliani sono una branca di una popolazione ancora più arcaica da cui ha preso origine l’uomo europeo.Dunque, sostiene Wolpof, se l’antrolpologia e le sue misure non sono un’opinione questa storia dell’”out of Africasapiens africani abbiano invaso circa 100/200 mila anni fa le altri regioni della Terra. Che ne è stato delle popolazioni indigene di Homini erectus? Pensare che si siano estinte completamente e di un colpo solo “turba non poco”, dicono Wolpoff e Thorne.

Certo i fenomeni di invasione e colonizzazione di un territorio sono assai frequenti nella storia umana, ma non è mai successo che si verificasse l’estinzione totale degli indigeni, e di fatto molti gruppi di cacciatori-raccoglitori vivono ancora in Africa, Australia e America Latina. (Incidentalmente, ci si chiede per quanto ancora sopravviveranno gli indigeni dell’Amazzonia o quelli australiani. L’olocausto di queste popolazioni è stato pressocché totale in soli 500 anni di colonizzazione!).Inoltre, argomentano i teorici del multiregionalismo, per pensare a una invasione così totale bisogna presupporre che i sapiens avessero dei vantaggi adattativi notevoli rispetto agli indigeni (più o meno come il fucile e il cavallo dei conquistadores), ma di questi non c’è traccia fossile in tutta l’Asia. L’archeologia, anzi, documenta la permanenza nel continente asiatico di una cultura litica molto elementare attraverso tutto il Pleistocene e non c’è traccia in Asia dei grandi bifacciali e delle asce a mano tipiche della tecnologia sapiens. Neppure in medio Oriente c’è traccia di una totale sostituzione delle tecnologie dell’invasore alle altre: i sapiens di Qafzeh (Palestina circa 90.000 a. C.) sono stati trovati associati a una industria musteriana tipica dei predecessori neandertaliani. Insomma, la permanenza dell’acheleunano in Asia è la dimostrazione che l’erectus non si è mai estinto, ma è scivolato geneticamente nel sapiens.

Gli studiosi non sembrano però convinti delle prove di Wolpoff e compagni. Il problema sembra piuttosto del tutto opposto. I fossili sono talmente differenti che non si riesce a tracciare una mappa comprensibile e coerente degli ominidi che popolarono la Terra dopo l’erectus, o nell’ultima fase della vita di questo animale. Tanti e tanto diversi che scienziati come Jan Tattersaal del Natural History Museum di New York o lo stesso Bernard Wood pensano invece che non possano discendere tutti dall’erectus, ma che la scena fosse popolata da molte specie di ominidi sin dai tempi più antichi. Lo stesso Homo erectus dunque, secondo questi studiosi, non era solo, ma nel milione a passa di anni della sua presenza sulla Terra ha convissuto con molte specie che sono nate e si sono estinte. Da una di queste in Africa è uscita la linea del sapiens. Da altre, altrove, sono uscite altre linee da cui hanno avuto origine i disparati ominidi che abitarono la Terra tra i 400.000 e i 40.000 anni fa.In una recente monografia sull’Homo erectus, Philip Rightmire della State University of New York at Binghamton sembra però voler indicare chiaramente che l’erectus fu un animale assai diverso e difficilmente assimilabile al sapiens. Lo studioso afferma che si trattava di una specie senza dubbio molto polimorfica (come stupirsene vista la sua lunga sopravvivenza e i diversi ambiti geografici che abitò), ma abbastanza stabile per tutto il tempo della sua storia. Dunque, Rightmire mette in guardia i suoi colleghi dal postulare l’esistenza di specie ominidi contemporanee all’erectus. Non ci sono prove della esistenza di questi altri ominidi, i fossili sono talmente pochi che basta pensare, appunto, a una specie molto polimorfica. La sua storia, però, a un certo punto finisce ed erectus si estingue soppiantato da un altro o da diversi altri animali. Questa scomparsa avviene in fasi differenti nelle diverse aree geografiche e la nostra fotografia della Terra presa all’ora X 200.000 a. C. ne vede ancora parecchi, soprattutto in Asia. Ma, sottilinea Rightmire, gli esemplari fossili di erectus sono tutti assolutamente ben distinguibili da Homo sapiens e anche i reperti più tardi che ancora abitavano l’Asia 250.000 anni fa non mostrano alcun carattere di “modernità”.

Al contrario, invece, ci sono, in Africa reperti molto antichi (400.000 a. C.) di animali simili all’Homo erectus, ma più moderni, con un cranio più grande. Sono questi i cosiddetti “sapiens arcaici”, ominidi evoluti dalla linea dell’Homo erectus, di cui conservano, tuttavia ancora molti caratteri. E le varie linee evolutive di questi primi sapiens riempiono il continente africano nel periodo di cui ci stiamo occupando.L’Europa,invece è il regno della diversità. Ci sono esemplari assai dissimili che però oggi gli scienziati classificano come preneanderaliani, perché da un tipo di questi ha avuto origine la linea dell’uomo di Neandertal. Sembra così delinearsi seppur vagamente una risposta alla nostra domanda di partenza. Chi sono quegli ominidi? Sono homini erectus, sono Homo sapiens arcaici (chiamiamoli così anche se molti tassonomi ritengono insoddisfacente la definizione), sono ominidi estemamente differenti tra di loro . E per conoscerli meglio bisogna zoomare sui diversi continenti.

Africa: gli arcaici parlatori

L’Africa è senza dubbio il territorio del sapiens che si evolve dalle forme primitive a quella moderna. Lì, e precisamente Broken Hill, nello Zambia, 250.000 anni fa viveva un ominide del tutto simile ai suoi cugini erectus, ma con un consistente allargamento del cervello. Come lui i sapiens arcaici sono ominidi con un cervello assai grosso (dai 1100 ai 1300 cc), una regione parietale espansa e una diversa base del cranio forse collegata alla presenza di una regione vocale simile a quella moderna. Parlavano, più degli erectus e forse similmente a noi, questi antichi africani, robusti e muscolosi come gli ominidi che li avevano preceduti, ma con una corporatura meno scimmiesca e un naso e un volto più ampio.

E lungo questa linea evolutiva, dopo oltre 100.000, anni appaiono individui anatomicamente moderni che convivevano però con altri ominidi più arcaici. Una stupefacente scoperta di questa convivenza la fece nel 1967 una spedizione guidata nientemeno che da Richard Leakey che trovò nel bacino del fiume Omo in Etiopia due crani, assai incompleti, databili a 125.000 anni fa. Uno di questi due crani è piuttosto arcaico mentre l’altro invece appare estremamente moderno. Sfortunatamente la datazione di questi due esemplari è piuttosto incerta e non si sa ancora che posto questi signori occupassero nello scenario evolutivo. Sembra però legittimo poter dire che l’uno era un sapiens molto arcaico (forse anche un tardo erectus) mentre l’altro era già un individuo anatomicamente moderno.

A complicare il quadro è venuto, nel 1976, un altro illustre ritrovamento. Questa volta era scesa in campo la supervecchietta degli studi di preistoria: Mary Leakey. Nella sua Laetoli, in Tanzania, Mary trovò un cranio forse vecchio 120.000 anni e di fattezze intermedie tra gli arcaici e i moderni sapiens. Chi era? Chissà, sicuramente un parente stretto di un altro ominide del tutto simile trovato a Florisbad in Sud Africa. Insomma, tutto lascia pensare che l’Africa subsahariana abbia funzionato come centralina biogeografica per la evoluzione del sapiens moderno, cioè noi. Tutti questi ominidi di cui si è parlato sono gli attori di questa storia. E il protagonista principale sembra però essere un uomo vissuto attorno alla foce del fiume Klasies in Sudafrica, di cui diremo tra breve. Sono questi i colonizzatori della Terra? L’ipotesi dell’ “out of Africa” direbbe di sì. Sembra, secondo questa ipotesi, del tutto legittimo immaginare che possano esserci state delle migrazioni, dovute forse ai cambiamenti ambientali che andavano desertificando ampie zone dell’Africa durante l’interglaciale Riss-Wurm. Gli ominidi si spostarono lungo la valle del Nilo verso il Medio Oriente e poi l’Europa e l’Asia (la stessa strada seguita un milione di anni prima dagli erectus in cammino verso l’Asia).

L’Asia, il dilemma

Come abbiamo visto, Wolpoff e i sostenitori della ipotesi multiregionale affermano che anche in Asia, come in Africa, dall’erectus si sia evoluto un sapiens asiatico.E rimane una serie di dubbi a cui i multiregionalisti si appigliano per tuonare le loro conclusioni. Il primo di questi dilemmi viene dalla Cina. Precisamente da Dali, a quanche centinaia di chilometri a sud di Pechino (non distante da Zhoukoudian il sito che ha restituito sia l’erectus cinese, il celebre Uomo di Pechino, che un moderno sapiens vecchio circa 20.000 anni) dove gli archeologi nel 1978 hanno rinvenuto un cranio assai bizzarro che è diverso sia dagli erectus di Zhoukoudian che dai sapiens trovati negli strati superiori della stessa grotta. Ed è diverso anche da un sapiens antico (34.000 AC) trovato più a sud, a Liukiang. L’animale di Dali visse nel tra 180 e i 230 mila anni fa e potrebbe essere descritto come un erectus dalla faccia neandertaliana. Ma Wolpoff non ha dubbi che si tratti di una forma intermedia tra l’Uomo di Pechino e Mao Tse Tung. “Non e’ vero,” obietta Christopher Stringer del Museum of Natural History di Londra che ha cercato matematicamente di correlare i tratti morfologici di questi ominidi. E ha scoperto che “implicherebbe mutamenti più complessi passare da Zhoukoudian a un cinese moderno via Dali che direttamente.” E poi, tutti i suoi calcoli lo hanno convinto che proprio l’Uomo di Pechino non poteva essere l’antenato di Mao Tze Tung.

Chi sono allora quegli ominidi asiatici del Pleistocene medio? Sono erectus come l’uomo di Ngandong (lo ha dimostrato Rightmire), sono erectus un po’ modificati come l’uomo di Dali e sono sapiens arcaici come quello di Narmada, l’altro anello debole cui Wolpoff e compagni si appigliano.

Narmada è un animale del tutto simile ai sapiens arcaici che popolavano l’Africa nel medio Pleistocene, analogo a molti degli animali europei dello stesso periodo. Dunque non è difficile concludere che può essere il prodotto di una evoluzione in loco. L’ottuso cronista a questo punto non può che domandarsi se questi sapiens arcaici erano parenti o amici di quelli africani e se si possa pensare a una prima migrazione da datarsi pressocché 150.000 anni prima di Cristo. Ma gli specialisti alzano le spalle, in un perenne “chissà”. Insistiamo: di fatto l’Uomo di Narmada, che De Lumley e Sonakia hanno chiamato “un Homo erectus più evoluto”, assomiglia assai ai preneandertaliani europei, perché non si può ipotizzare che tutti siano frutto di una prima migrazione di sapiens arcaici? Dopotutto già gli erectus li avevano preceduti e i sapiens moderni li seguiranno.
Non si può dire, semplicemente perché non ci sono le prove e si potrebbe con la stessa cognizione di causa dire che questi animali sono variazioni inserite nell’albero evolutivo degli erectus asiatici, variazioni poi estintesi.

Ma i misteri dell’Asia non sono finiti. C’è da sistemare l’anomalo ritrovamento di Niah. Nel 1958 una spedizione guidata da Tom Harrisson, curatore del Museo di Sarawak nel Borneo occidentale scavò la spettacolare grotta di Niah, fino a quel momento famosa solo per i nidi di rondine rocambolescamente raccolti dagli abitanti dell’isola. Harrisson portò fuori dalla grotta un cranio di adolescente moderno vecchio di oltre 40.000 anni. E’ davvero stupefacente che i sapiens moderni fossero già in Asia quando ancora i neandertaliani bazzicavano per l’Europa. Un’altra prova per i multiregionalisti. Non proprio perché nessuno può stabilire la data d’inizio della migrazione dall’Africa del sapiens. Forse iniziò assai presto e questo sarebbe confermato dai fossili del monte Carmelo, uomini anatomicamente moderni che abitarono il Medio Oriente più di 90.000 anni fa. Furono loro a spostarsi verso l’Asia? Arrivarono dall’Africa? Sono discendenti dell’Uomo di Klasies? Francamente crediamo di sì.

L’Europa: elogio della diversità

La prima glaciazione di Wurm colpisce l’Europa circa 70.000 anni fa. E da quel momento in avanti soltanto un ominide abiterà i monti e le pianure del vecchio continente: l’homo neandertalensis. Ma fino ad allora il nostro continente è teatro di una vera e propria moltitudine di specie, o gruppi, ominidi che nascono e si estinguono lasciando traccie molto flebili. Sono diversi tra loro questi ominidi e sono diversi anche dagli erectus che li hanno preceduti nelle grotte di Tautavel, sulle coste di Terra Amata, o nella piana di Isernia. Chi sono? Insomma, chi riprende la nostra istantanea scattata a 200.000 anni fa?
Riprende un sacco di gente, ma tutti appaiono assai sfocati perché di loro ci rimangono solo frammenti di scheletro, spesso ritrovati in situazioni fortuite che ne hanno impedito una precisa datazione. Alcuni di questi ominidi sembrano proprio degli erectus, come l’uomo di Bilzingsleben (300-200.000 anni fa). Molti ne conservano parecchie caratteristiche, ma quasi tutti hanno quel certo non so che di neandertaliano. Gli uomini di Swanscombe (Inghilterra), e di Steinheim (Germania) gli assomigliano nel torus occipitalis, quello di Petralona (Grecia) nelle guance e nella mascella. E anche l’antico francese di Arago (450.000) ha una faccia vagamente neandertaliana.

Dopo di loro hanno abitato l’Europa gli uomini di Gibilterra, La Chaise, Ehringsdorf, Saccopastore. Molti studiosi definiscono questi ominidi che vivevano nell’interglaciale Riss-Wurm, il periodo che va dai 125.000 ai 70.000 anni or sono, subito prima che la glaciazione ibernasse l’Europa, con il nome di “preneandertaliani”. Li hanno chiamati così non perché fossero un’unico gruppo e specie, ma perché mostrano una morfologia assai simile a quella dei neandertaliani classici. Anche questa nuova generazione di Europei, tuttavia, come la precendente, è assai polimorfa e i reperti sono troppo pochi per stabilire paternità e filiazioni. Anzi molti ricercatori rifiutano anche la dizione “preneandertaliani” perché sembra indicare che da loro ebbero origine i neandertalini preferendo quella “anteneandertaliani”, che pone l’accento soltanto su una questione cronologica. Di fatto, nessuno sa dire se questi ominidi appartenessero alla stessa specie né a quale di loro toccherà la paternità delle popolazioni del Wurm. E Bernard Vandermeersch suggerisce che da un tipo simile al Saccopastore possano aver avuto origine i neandertaliani mediorientali, mentre da un ominide più nordico abbia avuto origine la linea neandertaliana europea.
Ma l’albero genealogico degli europei è materia di aspro contendere, e gli scienziati amano accapigliarsi. Quasi sempre c’è in ballo la palma del fossile più antico e più umano al tempo stesso: chi lo possiede è un po’ come se avesse trovato Adamo e così tutti litigano per avere tale onore. In questo caso il problema è il seguente. Tutti questi antichi abitanti d’Europa sono erectus rispettivamente arcaici, classici ed evoluti? (il che darebbe la palma a chi ha trovato gli erectus europei). O sono invece tutti neandertaliani, ancora arcaici, classici ed evoluti? (il che darebbe invece la palma a chi ha studiato più neandertaliani di altri). O sono sapiens arcaici? (il che portebbe la palma addirittura fuori dall’Europa).

Come chiamare questi signori che popolarono il nostro continente lo decidano gli scienziati (con o senza palma). A noi basta raccontare che i recenti ritrovamenti fatti nella grotta spagnola di Sima de los Huesos nella Sierra di Atapuerca hanno finalmente mostrato come dovevano apparire questi nostri antenati.Ad Atapuerca, infatti, il tempo ha conservato i resti di 24 individui vissuti 300.000 anni fa. Un colpo da novanta per gli archeologi spagnoli che hanno spazzato via gli irrilevanti frammenti di crani, mandibole o altro su cui era stato costruito tutto il castello del preneandertaliani, erectus, o sapiens arcaici che dir si voglia. Finalmente agli antropologi è offerto materiale per dire come erano davvero fatti quegli antichi europei. E, le prime analisi (apparse su Nature del 8 aprile 1993) raccontano di ominidi assai lontani dalla forma dell’Erectus e ben simili ai neandertaliani nella faccia e nella corporatura (che sono i tratti distintivi della specie). Chris Stringer del Natural History Museum di Londra ne conclude che . La palma va allora all’uomo dei neandertaliani? (Sia detto senza che i nostri consulenti scientifici ci sentano: ci pare proprio di sì. E per fortuna perché è molto più simpatico degli altri). Almeno, così è per il momento, perché i misteriosi animali che abitarono l’Europa prima dei neandertaliani sembrano aver deciso di rivelarsi tutti insieme e, nell’ottobre del 1993, uno scheletro pressocchè intero di un ominide vissuto circa 200.000 anni fa è stato trovato in una grotta calcarea nei pressi di Altamura, in provincia di Bari. Di questo straordinario ritrovamento non si sa ancora nulla e la comunità antropologica nostrana fa a gara per accaparrarsi l’onere e l’onore di studiare il fossile. Sembra che prevalga l’opinione, saggissima, di costituire gruppi di lavoro in varie università e permettere a tutti gli studiosi italiani accreditati di studiare il reperto ognuno per le sue competenze. Intanto, l’uomo di Altamura se ne sta seppellito laggiù, in un pozzo profondo 9 metri, concretizzato in una stalattite da dove, se mai decideranno di farlo, non sarà semplice tirarlo fuori. Va da sé che è impossibile, ora, dire alcunché su questo uomo e sulla sua vita. Un’impressione, per quel che vale: guardando la diapositiva del suo cranio concretizzato non abbiamo potuto fare a meno di esclamare che assomiglia da morire a quello di Broken Hill. Ma c’è già stato chi ci ha bacchettato sulle mani per aver fatto questa osservazione: assomigliare non vuol dir nulla, lo sappiamo, e senza vedere il retro del cranio (ben nascosto nella stalattite) non si può dire nulla. Che animale era questo antico pugliese? Forse un sapiens arcaico come l’uomo di Broken Hill? Un’antenato dell’uomo di Saccopastore e dei neandertaliani mediorientali? Pe ora non siamo in grado di dirlo, ma è certo che, quando studiato, potrà chiarire il confuso albero genealogico degli europei.

Poi prese a fare sempre più freddo e i querceti si trasformarono in steppa. L’Europa era cambiata, aveva iniziato a fare più freddo, e la diversità di forme ominidi era andata pian piano sparendo. Era iniziata l’era dei neandertaliani. Li conosciamo bene perché di loro ci sono rimaste molte tracce, gli scienziati ne celebrano la grandezza ma non hanno ormai molti dubbi nel considerarli un ramo estinto, un popolo europeo che se n’è andato senza lasciare traccia circa 30 mila anni fa. Le specie di transizione che la nostra fotografia ha impressionato ci sembrano tutte variazioni sul tema dei due punti cardinali dell’umanità che abbiamo sin qui identificato: l’erectus e il suo erede sapiens arcaico, l’animale africano dalla lingua sciolta e le gambe forti da cui laggiù ebbero origine gli uomini anatomicamente moderni. I neandertaliani, no. Crediamo rappresentino uno stadio complesso e a se stante della evoluzione umana: sono un altro punto cardinale, che però è andato perduto. Noi siamo della stessa specie degli africani, dalle gambe lunghe e dalla lingua sciolta.

Le linee essenziali di questo saggio sono già state trattate nel volume degli stessi autori La ricerca di Eva. Viaggio alle origini dell’uomo moderno, Giunti,1995

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