Le università e l’identità europea

Giuliano Pancaldi (a cura di)Natura Cultura Identità. Le università e l’identità europeaUniversità di Bologna – Dipartimento di FilosofiaCentro Internazionale per la Storia delle Università e della Scienza, 2004pp.213, s.i.p. richiedere a cis@philo.unibo.itL’Europa si trova davanti al terzo millennio in cammino verso una nuova identità. Dove trovare qualcosa che sia capace di raccogliere le tante differenze, le diversità che la compongono? Compito molto difficile. Da un lato, si rischia la costruzione di un’entità astratta, senza radici. Dall’altro, la rivendicazione delle radici storiche può mancare di flessibilità rispetto al futuro, e divenire quindi rischiosa. Si pensi per esempio ai balletti verbali e ideologici che hanno preceduto la stesura della nuova Costituzione Europea – all’impronta liberista che porta e alle ingiustificate pretese cattoliche, come se la cultura politeista dell’Iliade o dell’Odissea, per fare un esempio, non abbia avuto un ruolo nello sviluppo intellettuale europeo. Tuttavia, l’unico modo per definire e dare forma a un’identità europea è guardare alla storia, capire quali concetti, quali strumenti sono utili per dare sostanza all’idea di Europa. È lo scopo di questo volume: “Ci siamo così proposti di esplorare alcuni concetti che ruotano attorno all’idea di ‘appartenenza a un luogo’; concetti che sembrerebbero necessari per parlare sensatamente di un’identità europea e che rinviano a una combinazione intricata di fattori ‘naturali’ e ‘culturali’. Come primo obiettivo ci siamo proposti di verificare se e come abbia senso parlare di un’identità europea dentro quelle singolari federazioni di attori, saperi e interessi diversi che sono oggi le università d’Europa”, scrive il curatore di questo volume.Il libro nasce da una serie di seminari tenutisi all’università di Bologna, che hanno tentato di guardare all’Europa con un’ottica multidisciplinare, mettendo in luce alcuni temi fondamentali che caratterizzano il continente, la sua storia e la sua cultura. È la scienza il principale oggetto di studio, osservato da diverse prospettive. Alcuni autori vedono nelle scienze della vita un possibile strumento di definizione dell’identità europea: per esempio Francesco Cavalli-Sforza che vede nei risultati della genetica uno degli indicatori utili alla ricostruzione delle migrazioni e della storia delle popolazioni europee. Risultati da affiancare alle indicazioni provenienti da altri ambiti, quali l’archeologia e la linguistica. In un altro saggio si legge invece che la scienza è stata usata per costruire identità nazionali precedentemente non percepite come tali. È il caso della Norvegia, che sul mito dell’aurora boreale, ha costruito un sentimento nazionale condiviso e allargato anche all’arte. Particolarmente interessanti sono i saggi della seconda (di tre) sezione del volume, intitolata “Scienza e Cultura”. Silvio Bergia mette in luce come l’attitudine scientifica, una delle caratteristiche europee par excellence, abbia portato l’umanità e l’ambiente sull’orlo del collasso. È un’intera cultura da rifondare per poter ripensare il nostro rapporto con la natura (=la scienza). Gustoso è il capitolo che discute i risultati di un sondaggio condotto tra gli universitari bolognesi, dai quali si evince, oltre a una strana propensione a considerare scientifica l’astrologia, una perdurante divisione tra scienza e cultura umanistica, con una sorta di gerarchia in favore della prima. Nonostante gli sforzi profusi negli ultimi tra decenni, non si è ancora superata la visione delle “due culture”, con il suo contorno di ottimismo scientista.Gli ultimi saggi sono dedicati alle riflessioni sui concetti di razzismo, di coordinamento sociale e politico, e di multiculturalismo, che hanno o hanno avuto un ruolo importante nella modernità europea. Il pregio principale del volume è comunque nella prospettiva pluralista adottata, che ben rispecchia la necessità di uno spazio europeo che vada oltre la tecnocrazia poco rappresentativa che si sta imponendo nelle istituzioni dell’Unione Europea, e che – come insegna la storia – delle sue diversità interne faccia una virtù.

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