La mancanza delle fini particelle attorno alle quali si depone l’acqua per formare le nuvole sarebbe stata la causa dell’assenza di nubi nell’atmosfera di 50 milioni di anni fa. E quindi dei cosidetti intervalli di “super effetto serra” che hanno interessato il nostro pianeta nel passato. Questa l’ipotesi di due paleoclimatologi americani hanno dato una spiegazione al consistente riscaldamento globale tra il Cretaceo e l’Eocene. L’assenza di nuvole, infatti, avrebbe consentito ai raggi solari di raggiungere direttamente la superficie terrestre.
Secondo lo studio, condotto da Lee Kump e David Pollard della Pennsylvania State University in America e pubblicato su Science, le nuvole sono in grado di riflettere circa il 30 per cento dell’energia solare nello spazio. “Oggigiorno l’essere umano genera aerosol e inquinanti che fungono da nuclei di condensazione per la formazione delle nuvole. Ma nei millenni che hanno preceduto la comparsa della nostra specie sulla Terra, gas generati biologicamente erano prodotti da organismi primordiali come le alghe negli oceani”, ha dichiarato Kump. Secondo il paleoclimatologo americano il Cretaceo è stato invece un periodo particolarmente ‘povero di particolati’ e, di conseguenza, di nuclei di condensazione, a causa delle modificazioni che hanno interessato le acque degli oceani e gli organismi che vi vivevano. Questo avrebbe contribuito all’aumento delle temperature sulla superficie terrestre. In questi anni, diverse sono state le ipotesi degli scienziati per spiegare l’effetto serra di queste ere geologiche. Secondo alcuni, a essere responsabili sarebbero state le elevate concentrazioni di anidride carbonica o di altri gas come il metano, ma finora le evidenze scientifiche hanno fatto cadere tutte queste supposizioni. “Il modello da noi proposto giustifica una riduzione dal 64 al 55 per cento della copertura nuvolosa della Terra. Questa situazione giustificherebbe l’incremento delle temperature che ha interessato la Terra tra il Cretacico e l’Eocene”, ha concluso Kump. (s.m.)
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