Legge 194, nel Lazio è impossibile abortire

A 34 anni dalla sua nascita, la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza sta morendo. Per lo meno nel Lazio, come ha denunciato la Laiga (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’Applicazione della legge 194) il 13 giugno scorso in una conferenza presso l’ordine dei Medici di Roma.

Secondo i dati presentati, aggiornati a maggio 2012, nella regione il 91,3 per cento dei ginecologi ospedalieri è obiettore di coscienza, e in 12 strutture pubbliche su 31 non eseguono aborti. Nelle tre province di Rieti, Viterbo e Frosinone, racconta Mirella Parachini, ginecologa dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma, membro della Laiga e dell’Associazione Luca Coscioni, non è possibile sottoporsi ad aborto terapeutico (quello successivo ai primi tre mesi di gravidanza). Questa circostanza costringe le donne o a rivolgersi ai centri della capitale – che già non riescono a far fronte alle richieste – o a recarsi in altre regioni.

È questo tipo di interruzione di gravidanza, sottolinea la ginecologa, il più problematico. Per quanto riguarda gli aborti nel primo trimestre, infatti, si può ricorrere a medici convenzionati e “a gettone”, presenti circa nel 5 per cento dei casi. Ma a eseguire un aborto terapeutico deve essere un ginecologo regolarmente inquadrato in una struttura ospedaliera.

Ad aggravare la situazione è l’assenza di giovani ginecologi non obiettori pronti a sostituire i molti medici che hanno quasi raggiunto i limiti di pensionabilità. Responsabili sono, secondo la Laiga, università e Regioni che contrariamente a quanto previsto dalla stessa legge 194 non formano nuovo personale. A non eseguire interruzioni di gravidanza sono, infatti, anche strutture universitarie come l’Azienda Ospedaliera S. Andrea di Roma o il Policlinico di Tor Vergata, sempre nella capitale. L’associazione sta pensando quindi di intraprendere azioni legali contro le direzioni sanitarie delle strutture inadempienti.

Intanto nei prossimi giorni la legge 194 dovrà superare l’esame della Consulta, chiamata a decidere in merito alla costituzionalità dell’articolo 4 in seguito al ricorso presentato da un giudice minorile del Tribunale di Spoleto. Secondo il magistrato la legge si porrebbe in contrasto con la sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo che prevede la tutela assoluta dell’embrione umano; di conseguenza poi violerebbe l’articolo 2 (riguardante la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo) e il 32 (diritto fondamentale alla salute dell’individuo) della Carta Costituzionale italiana.

Per difendere la legge e il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza e a una genitorialità programmata delle donne si è mobilitata anche la rete grazie all’iniziativa #save194: l’obiettivo è non far calare l’attenzione dell’opinione pubblica in merito a questa questione prima della sentenza della Consulta pubblicando su Twitter post con l’hashtag #save194.  

Nel video la campagna contro l’obiezione di coscienza della Consulta di Bioetica Onlus.

Credit immagine a Monja / Flickr

1 commento

  1. Rispetto la vostra posizione. Nel senso della difesa del “diritto di abortire”. Ma allora, non posso condividere la vostra difesa della legge 194. Nella 194 non si parla MAI di “diritoo”. E non si parla nemmeno di aborto, se si ha la pazienza di leggerla.
    Per cui non esiste nessun “aborto terapeutico”.
    Se qualcuno, come la Luca Coscioni, desidera introdurre tale diritto,e vuole (legittamamente) limitare il diritto all’obiezione di coscienza, non deve difendere la legge 194 ! Anzi, deve chiederne l’abolizione o la sostituzione !
    La legge, così come è stata formulata, votata, firmata,e confermata da referendum, è estremamente chiara. E i concetti che esprime e che trasforma in norme legali, sono pochi e chiari.
    Nessun “diritto” all’aborto
    Massima tutela del prodotto del concepimento
    La donna, se ritiene inconciliabili i diritti suoi con quelli del nascituro, può interrompere la gravidanza.
    Così come può partorire e non volere il figio nato, può rinunciare alla gravidanza; e se il prodotto del concepimento è vitale, esso sarà salvato.
    Fin qui, ciò che riguarda donna e bambino.
    Poi, c’è la questione del medico.
    Mentre, per qualsiasi altro atto medico-chirurgico, è implicito che il professionista agisce se e solo se considera utile l’atto, e se e solo se ha l’assenso del paziente, per l’IVG, si è voluto introdurre un diverso meccanismo.
    Ogni medico deve decidere per il sì o per il no; e, se avrà detto sì, dovrà agire a semplice domanda della donna, senza possibilità di valutare caso per caso.
    Una situazione oggettivamente assurda, che però fa comodo a molti perpetuare.
    Immagino cosa succederebbe se un meccanismo simile fosse introdotto, che so, per l’appendicite. Se un paziente chiede l’appendicectomia, un chirurgo DEVE sempre operare, oppure non deve mai operare. senza guardare se ci sono sintomi, se c’è febbre, se c’è infezione…
    Pensiamo alla chirurgia estetica. Se un paziente, o una paziente, chiede un “ritocco”, un chirurgo può essere d’accordo,e allora opererà; se non è d’accordo, si rifiuterà, e magari indirizzerà verso colleghi di “manica più larga”. Spruzziamo una buona dose di cinismo, e di voglia di guadagnare… ed avremo uno scenario poco edificante, ma perfettamente lecito e legale.
    Uno scenario che, evidentemente, il legislatore, confezionando la 194, ha voluto evitare, per evidenti motivi.
    A questo punto, c’è poco da dire e da sbraitare: o si prende la legge 194 così come è, piaccia o non piaccia, con obiezione e con tutti (tutti !) i suoi articoli, e si cerca di farla applicare; oppure se ne chiede l’abolizione o la riforma.
    Come la Chiesa.
    Ma non è onesto ergersi a difensori di una norma che si vuole, in realtà, stravolgere

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