I vent’anni dell’Ultima Cena

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Torna a splendere una delle opere più disastrate della storia dell’arte: il 28 maggio prossimo riaprirà al pubblico l’Ultima cena di Leonardo da Vinci, dopo un restauro durato oltre vent’anni. E’ stato un lavoro lungo e complesso, ammirato e criticato, che ha visto unite la scienza e l’arte: l’équipe che ha lavorato sulle impalcature del Refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie di Milano, sotto la guida della restauratrice Pinin Brambilla Barcillon, era infatti formata – oltre che da storici dell’arte – anche da chimici, architetti, biologi.

“Il restauro è stato un’emozione continua, dall’inizio alla fine. Ed è difficile dire cosa mi abbia colpito di più di questo grande capolavoro: ogni giorno si svelavano davanti a noi nuovi particolari”, ha ricordato Brambilla Barcillon durante la giornata di studi dedicata al capolavoro di Leonardo, svoltasi nei giorni scorsi a Roma, all’Accademia Nazionale dei Lincei. Qui per la prima volta è stato dato un resoconto completo delle infinite indagini scientifiche compiute sul dipinto dai ricercatori.

Ma quello emerso dai lavori di restauro è proprio il vero Leonardo? Gli esperti non si illudono: “Noi parliamo di originale, ma quello che abbiamo ritrovato non può essere paragonato al dipinto nel momento in cui Leonardo ha posto per l’ultima volta il pennello sul Cenacolo”, spiega Pietro Marani, che ha affiancato Brambilla Barcillon nella direzione del restauro. “La visione dell’opera è stata condizionata dai precedenti nove restauri, quelli documentati, senza contare quelli di cui non abbiamo testimonianza, iniziati forse già dal Cinquecento, quando si ebbero le prime avvisaglie della rovina della pittura. Una testimonianza di questo ci viene dal Vasari, che nel 1566, dopo aver visto il dipinto, lo definisce ‘tanto male condotto che altro non si scorge se non una macchia abbagliata’”.

Il restauro ha finalmente svelato anche alcuni dei misteri che da sempre accompagnano il Cenacolo. Primo fra tutti, quello relativo alla tecnica usata dal Maestro. Leonardo, affermano i ricercatori, usò una tempera grassa a base di olio di lino e di uovo. E forse, la causa del rapido disfacimento del dipinto sta proprio nella proporzione fra il legante (olio di lino e uovo) e il pigmento. E’ probabile, insomma, che il Maestro abbia usato troppo legante. Non solo. “Leonardo ha dipinto il muro come se si trattasse di una tavola lignea. Ha steso una preparazione sulla parete, e sopra vi ha applicato il colore: una metodologia certamente più adatta alla tavola che al muro”, continua Pinin Brambilla, che ha ripulito le scaglie – provocate dalla progressiva frantumazione della pittura originaria – dalla polvere minuta, fissandole sul dipinto una ad una.

Le rivelazioni

Con l’opera di restauro, gli studiosi sono riusciti a penetrare tutti gli strati di ridipintura e di incrostazioni secolari, raggiungendo così la “vera pelle della pittura”, anche se questa è ormai in condizioni frammentarie. Non più, quindi, i colori rosso e azzurro vivo, aggiunti sopra quelli di Leonardo nel corso dei vari restauri, ma la riconquista di una pittura basata sulla modulazione di toni. “Abbiamo perseguito questa armonia tonale giocando tono su tono, soprattutto nella parte di sinistra del Cenacolo, dove i toni dell’azzurro collegano il gruppo degli apostoli Pietro, Simone e Giuda. Queste sfumature di colori sollecitano lo sguardo al movimento che Leonardo voleva suggerire: un movimento che dal centro del dipinto si propaga verso l’esterno della composizione. Ora dal gruppo emerge la testa di Simone in tutta la sua plasticità. E, proprio nella letteratura, questa figura è stata spesso citata come anticipatrice dei profeti della Cappella Sistina di Michelangelo”, continua Marani. Così, i restauratori sono riusciti a recuperare anche quella circolazione spaziale fra le figure che era andata perduta nel magma delle ridipinture.

Un’altra novità emersa dai lavori è il recupero della testa di Matteo, che rivela il cambiamento e l’evoluzione dell’arte di Leonardo alla fine del Quattrocento. “Il profilo dell’Apostolo è di tipo classico, ma pieno di carne e di sangue. La sua pelle è di un naturalismo impressionante. Leonardo imita gli antichi solo nella forma, perché nella sostanza li rende di naturali”, continua il condirettore.

Sotto controllo

Per controllare il microclima dell’ambiente, e porre rimedio alla presenza di polveri e agenti inquinanti, gli studiosi hanno condotto alcuni interventi sull’edificio del Convento di Santa Maria delle Grazie: il tetto del refettorio è stato coibentato, sono state installate porte in vetro ad apertura alternata, mentre un impianto di aspirazione permette la purificazione e un lieve condizionamento dell’aria. Infine, gli esperti hanno predisposto il monitoraggio permanente delle condizioni termoigrometriche e di qualità dell’aria: precauzioni per tutelare il Cenacolo da eventuali danni futuri.

Per questo i visitatori – non più di 25 persone alla volta – attraverseranno un lungo percorso dove due zone filtro impediranno l’entrata dell’aria esterna e cercheranno di eliminare, il più possibile, la polvere introdotta dalle scarpe.

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