L’Europa premia l’Italia

Cosa hanno in comune un foglio che si strappa, l’apertura dei canali bronchiali e il fragore dei terremoti? Un rumore crepitante, un “crackling noise”. “L’aspetto comune di questi sistemi apparentemente diversi è che il rumore riflette una dinamica microscopica simile, che si può definire ‘a valanga’. In altre parole un perturbazione esterna piccola ma costante può provocare una perturbazione interna catastrofica e improvvisa”. Spiega così il suo campo di ricerca Stefano Zapperi, dell’Università di Roma “La Sapienza”, uno dei due italiani insigniti quest’anno dall’Unione Europea del premio Marie Curie, una borsa di studio che incentiva la mobilità e lo scambio di ricercatori fra laboratori. Zapperi ha studiato il “rumore Barkhausen” emesso da un ferromagnete nel processo di magnetizzazione riconducendo l’effetto ai meccanismi microscopici associati a questo processo.Quello europeo è un riconoscimento al profilo internazionale della ricerca svolta da giovani ricercatori, come quella di Benedetta Ciardi del Max Plank Institute for Astrophysics. “La mia ricerca”, spiega la ricercatrice, “si occupa di studiare l’effetto delle prime stelle e delle prime galassie sul gas circostante. Questo è importante perché la radiazione prodotta dagli oggetti primordiali influenza il processo di formazione galattica e determina le caratteristiche dell’universo come lo vediamo oggi”. Uno degli effetti principali è noto come “reionizzazione del mezzo intergalattico”, un fenomeno grazie al quale la luce delle stelle lontane può arrivare fino a noi. Benedetta Ciardi è l’unica in Europa a studiare questo processo e ha sviluppato uno dei pochi programmi a disposizione della comunità scientifica per la simulazione della propagazione della radiazione nei gas intergalattici.Con i loro risultati, sia Zapperi che Ciardi hanno dimostrato di poter portare avanti una ricerca originale di grande valore. E per entrambi, poter sviluppare un progetto indipendente sarebbe l’ideale. “Le Azioni Marie Curie, vanno nella direzione giusta”, spiega Zapperi, “perché comprendono non solo lo stipendio del ricercatore per un periodo abbastanza lungo ma anche un budget iniziale che copre le spese per strumenti e personale aggiuntivo. In questo modo si offre al ricercatore la possibilità di mettere in piedi una nuova attività”. I singoli Stati, però, non possono delegare esclusivamente alla Ue il finanziamento della ricerca. Infatti le iniziative dell’Unione Europea riguardano solo progetti a breve e medio termine. “Sono gli Stati che devono risolvere il problema a lungo termine”, prosegue Zapperi,”il che vuol dire semplicemente: posti a tempo indeterminato. Da questo punto di vista la situazione italiana non induce all’ottimismo”. Concorda Ciardi: “credo che l’Italia abbia una grande tradizione nella ricerca, ma per poterla mantenere è necessario investire sui giovani, dare loro la possibilità di creare dei gruppi di ricerca indipendenti, sul modello europeo”. I ricercatori, insomma, chiedono prospettive. Il “posto fisso” non è un ostacolo all’efficienza, come affermano i fautori della “flessibilità”, ma un condizione indispensabile per poter portare a frutto la propria ricerca. “La flessibilità universitaria che si vorrebbe introdurre in Italia, di fatto, già esiste”, commenta Zapperi. “Infatti, è molto raro che un giovane abbia un posto fisso nella ricerca senza un certo numero di anni di esperienza. Mi sembra invece che ci sia bisogno di aumentare il flusso di posti permanenti, insieme a una procedura di valutazione trasparente basata sul merito scientifico.

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