L’evoluzione raccontata dalle donne

Mary Ellen Morbek, Allison Galloway, Adrienne Zihlman
The Evolving Female
Princeton University Press 1997

Ci sono libri che generano grandi emozioni. E non è solamente il caso di quei grandi capolavori immortali come la “Recherche” di Marcel Proust o gli anni di solitudine di Garcia Marquez. Il cuore talvolta batte anche davanti ad eventi editoriali per così dire minori. E questo “The evolving female” è proprio un “evento editoriale minore”, ma di fronte al quale non cessiamo di emozionarci. Perché? Perché questa raccolta di saggi, curata da Mary Ellen Morbek, Allison Galloway ed Adrienne Zihlman e pubblicata dalla Princeton University Press, è la prima manifestazione concreta di un lungo dibattito sul genere e la scienza.

Intendiamoci, non è il primo volume che tratta di questi temi (anzi, la bibliografia in materia è ormai assai ampia, naturalmente quasi tutta in lingua inglese), ma è, lo ripetiamo, la prima manifestazione concreta.

Per capire il perché bisogna andare indietro di qualche anno: e precisamente al 1994, quando le pricipali studiose di evoluzione umana si incontrarono nel campus dell’università della California a Santa Cruz per vedere se, dopo tanta teoria femminista, si poteva mettere insieme una teoria dell’evoluzione umana che usasse solamente il lavoro delle scienziate e fosse accettata da tutta la comunità scientifica. L’evento fu preparato con cura, per molti mesi, dalle curatrici del volume.

All’incontro californiano non parteciparono le teoriche del femminismo, ma quelle che stavano davvero cercando di costruire concretamente una scienza dell’evoluzione umana che partisse dalle femmine. Che stavano cercando di rispondere da un altro punto di vista alla domanda: «Cosa è umano? E perché?». Questo libro risponde in maniera sorprendente, perché sorprendente è stato il contributo delle donne allo stato attuale delle conoscenze scientifiche in questa materia.

Ma l’evento a Santa Cruz non poteva passare inosservato. E suscitò un gran putiferio (finito sulle pagine di “Science” e “Nature”) il fatto che nessun uomo fosse stato invitato a parlare. Naturalmente colleghi e ascoltatori erano i ben venuti nelle aule della Stevenson Hall, dove si tenevano gli incontri. Erano più che stimolati a partecipare al dibattito: ma nessuno arrivò a Santa Cruz come speaker.

Questo fatto trapelò sui giornali come una esclusione, come un divieto agli uomini a partecipare: come se non poter tromboneggiare dal podio significasse non partecipare. Insomma, i colleghi sarebbero andati a Santa Cruz a dire la loro sull’evoluzione e la umanità, ma solo come relatori. Come coloro che dispensano il verbo. L’idea di andare ad ascoltare, a domandare, ad obiettare (cosa che le donne fanno da secoli nei congressi degli uomini) non era nemmeno concepibile. Tanto che si parlò di “convegno dell’esclusione”. Adrienne Zihlman spiegò su Nature che chiunque sarebbe potuto andare, ma che le relatrici erano donne perché si voleva proprio fare il punto sulla teoria evoluzionistica raccontata dalle donne. Ma l’evento rimase nell’immaginario maschile come il primo congresso scientifico vietato agli uomini.

Oggi il volume della Princeton dimostra che l’esclusione è una fantasia di chi non vuole stare al gioco di ascoltare. La qualità dei contributi è straordinaria. Ci sono scritte cose di chiara e dirompente novità teorica e di prospettiva. Poi, la bibliografia è ricca di nomi maschili. E le autrici partono riconoscendo il tributo al loro grande maestro: Sherwood Washburn.

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