L’impero dei sensi artificiali

    L’Uomo da sei milioni di dollari non è più un personaggio da telefilm. Occhi bionici, muscoli di plastica e orecchi artificiali ormai esistono, sono gli ultimi risultati della ricerca tecnologica applicata alla medicina. E non solo. Dai laboratori emergono anche apparecchi in grado di far comunicare cervello e computer, apparecchi che miglioreranno sensibilmente le relazioni con il mondo esterno delle persone affette da gravi paralisi.

    E’ di poche settimane fa la notizia di un 62enne newyorkese che ha riacquistato la vista grazie a un occhio artificiale. L’uomo, che ha preferito non fornire le proprie generalità, era rimasto cieco all’età di 26 anni. Ora riesce a leggere lettere alte cinque centimetri da un metro e mezzo di distanza, a prendere la metropolitana e a navigare su Internet. L’occhio artificiale è formato da una micro telecamera e da un “emitettore” di ultrasuoni, montati sulle lenti di un normale paio di occhiali da sole. I due dispositivi riprendono le immagini e le trasmettono a uno speciale computer che le elabora. I dati arrivano quindi al cervello del non vedente attraverso 68 elettrodi di platino impiantati nella zona visiva della corteccia cerebrale. La griglia di elettrodi crea infatti nella corteccia un’immagine formata da diversi lampi di luce coordinati fra loro. L’impianto, che è permanente, occupa un’area di circa due centimetri quadrati. William Dobelle, l’inventore dell’occhio artificiale e fondatore dell’Istituto Dobelle del Presbyterian Medical Center di New York, sostiene che presto si realizzerà un nuovo impianto che utilizzerà microscopici spinotti direttamente inseriti nel cervello.

    La cecità non è l’unico handicap a cui la tecnologia sta ponendo rimedio. Direttamente da Francoforte è in arrivo l’orecchio artificiale. Si tratta di un dispositivo formato da un piccolo microfono, un minuscolo amplificatore e un processore. Questo micro computer traduce i suoni in segnali elettrici e li trasmette alle fibre nervose che costituiscono il nervo cocleare, quello che si occupa di inviare tutte le stimolazioni nervose uditive dall’orecchio al cervello. Anche in questo caso si tratta di vere e proprie interfacce elettroniche inserite, attraverso piccolissimi elettrodi, sulle fibre del nervo cocleare. L’orecchio artificiale funziona bene solamente nei bambini. La corteccia uditiva di un adulto sordo, infatti, presenta caratteristiche rudimentali: non è espansa e non è quindi di grado di decodificare gli stimoli che gli arrivano. Nei bambini, invece, la protesi contribuisce a mantenere in buona salute la corteccia che può così assolvere alle sue funzioni uditive.

    Anche i disabili affetti da gravi malattie neuromuscolari possono avvalersi di dispositivi in grado di emanciparli dal loro “isolamento comunicativo”. Nei mesi scorsi una società italiana ha infatti realizzato un piccolo sensore a forma di ditale per far comunicare il cervello con le macchine. Si indossa come se fosse un anello e registra dalla pelle del polpastrello più di settanta parametri fisiologici come il battito cardiaco, la pressione sanguigna e soprattutto la forma delle onde emesse dal cervello. Un apparecchio simile fu usato durante la Guerra del Golfo dai militari americani per dirigere i missili contro il nemico. Meno bellicosi gli scopi per cui verrà usata questa tecnologia in futuro: un computer, analizzando i dati raccolti dai sensori, potrà “capire” il disabile e le sue necessità.

    La tecnologia applicata al corpo umano non si limiterà riparare i cinque sensi. Anche ossa e muscoli potrebbero presto far parte della lista dei pezzi di ricambio. In realtà, i muscoli di plastica già esistono. Si tratta di polimeri (gruppi di molecole dello stesso composto), che reagiscono con velocità e precisione agli impulsi elettrici, proprio come i muscoli reagiscono ai segnali elettrici del sistema nervoso. I materiali usati per la loro realizzazione sono il silicone e il poliuretano, le plastiche che si utilizzano per costruire i comuni mobili da giardino. Ron Perline, il ricercatore che li ha ideati, nei suoi esperimenti ha attraversato con un elettrodo di materiale flessibile i polimeri. Quando poi ha fatto passare la corrente elettrica attraverso gli elettrodi i muscoli di plastica si sono mossi e distesi allungandosi in diverse direzioni. Le applicazioni pratiche, comunque, sono ancora lontane nel tempo. Bisognerà superare alcune difficoltà come la messa a punto del voltaggio e soprattutto controllare i movimenti dei polimeri. La plastica, infatti, al contrario dei muscoli veri, una volta allungata non torna mai nelle condizioni iniziali.

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