Lippolis, il Dreyfus italiano

Piero RisolutiI rifiuti radioattivi in tribunale. Il caso LippolisStorie residuali del nucleare in ItaliaVecchiarelli editorepp. 197 , euro 15,00La vicenda di Giuseppe Lippolis rappresenta, secondo l’espressione dell’autore, un “piccolo caso Dreyfus italiano”. Un episodio minore, ma dal quale molto si può imparare sulla storia del nucleare in Italia. Che a sua volta è una parte importante della storia del Paese negli ultimi decenni e ne esemplifica alcune delle caratteristiche deteriori: la lottizzazione politica degli enti pubblici, il vuoto di responsabilità, le inadempienze, le manipolazioni dell’opinione pubblica, e l’inadeguatezza della giustizia. Giuseppe Lippolis è un ingegnere che nel ’90 assume la direzione dell’Itrec, un impianto per il ritrattamento del combustibile nucleare, in funzione presso il centro di ricerche della Trisaia, a Rotondella (Matera), gestito dall’Enea (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente). L’impianto serve a estrarre nuovo combustibile da quello precedentemente utilizzato, e produce rifiuti radioattivi. Sebbene Lippolis sia una figura minore ed estranea alla storia precedente dell’impianto, su di lui ricadono le accuse che gravano sul centro: la mancata solidificazione di alcuni rifiuti radioattivi (processo necessario per poterli stoccare definitivamente), la perdita di liquidi pericolosi da una condotta e da alcuni contenitori, e lo smaltimento non autorizzato di rifiuti biomedicali. A queste va aggiunta un’ulteriore imputazione, quella di traffici illeciti di plutonio con l’Iraq. Il procuratore Pace, responsabile delle indagini, non fornì mai prove sufficienti per far includere quest’ultima fra i capi di accusa, ma la continuò a riproporre, soprattutto alla stampa. Risoluti discute le accuse con la passione di chi conosce in prima persona gli eventi (l’autore, infatti, è uno dei maggiori esperti italiani di rifiuti radioattivi e fa parte dell’Enea). Di alcune mostra l’inconsistenza, riconosciuta, d’altra parte, anche in sede processuale. Per quanto riguarda le accuse di inadempienza e di incuria, suggerisce che le responsabilità reali vadano ricercate a un livello ben più alto di quello di Lippolis, che invece ha subito una condanna a 15 giorni di carcere.La prospettiva del racconto, dunque, si allarga a tutta la storia del nucleare in Italia. Risoluti ne ripercorre la parabola a partire dagli anni Sessanta, quando l’Italia era al terzo posto fra i Paesi che lo utilizzavano per scopi civili. La seconda tappa è rappresentata dagli anni Ottanta: progetti faraonici, realizzazioni scarse, e soprattutto occupazione sistematica delle alte cariche dell’Enea da parte di uomini scelti in base alle vicinanze politiche, piuttosto che alle competenze. Si prosegue con il referendum anti-nucleare del 1987: secondo Risoluti, ebbe effetto solo perché il progetto nucleare italiano era già fallito (un parco di sole quattro centrali era largamente insufficiente); fu soprattutto uno strumento per archiviarne l’insuccesso senza che la classe dirigente che ne era stata responsabile venisse toccata (e infatti importanti dirigenti Enea come Fabio Pistella e Umberto Colombo, sostenuti dai partiti di maggioranza, restarono in carica fino agli anni Novanta). La storia arriva fino ai nostri giorni, con i rifiuti radioattivi ancora da stoccare e le centrali ancora da smantellare, a quasi 20 anni dal referendum. Risoluti si sofferma anche sull’imprecisione e l’allarmismo della stampa, sul protagonismo di alcuni giudici, incoraggiato dal successo di Tangentopoli, e soprattutto sull’indifferenza della classe politica (in particolare quella di vocazione anti-nuclearista) verso i ritardi nello smaltimento dei rifiuti. Il libro è corredato da un poscritto e da un appendice particolarmente utili per aggiornarsi su un problema di attualità, la cui soluzione è fondamentale per poter chiudere definitivamente i conti dell’Italia col nucleare: quello dell’individuazione di un deposito nazionale unico per i rifiuti radioattivi.

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