Il petrolio è per noi come una droga. Continuare a bruciarlo ci sta portando a un’inevitabile catastrofe climatica, ma, invece di smettere di usarlo, facciamo di tutto per accumularne di più. È questo che pensa Luca Mercalli, meteorologo e divulgatore scientifico, intervenuto al Festival di Internazionale a Ferrara. “È come se, per scaldarci, bruciassimo i mobili di casa così da ritrovarci, dopo qualche tempo, con la casa vuota”.
Il riscaldamento globale, la conseguenza dell’uso di combustibili fossili, è secondo Mercalli, ormai irreversibile. “È già tardi per fare mitigazione dei sintomi, ora possiamo solo adattarci a essi e cercare di contenere il danno” ha spiegato. È questo il senso dell’accordo di Parigi sul clima, l’ultimo di una serie di trattati internazionali da quello di Stoccolma nel 1972. “L’accordo di Parigi diventerà efficace solo se saremo capaci di trasformare le parole in kilowattora” ha continuato Mercalli, che si è dichiarato pessimista sul suo reale impatto, perché, dice, “se si leggono i giornali di economia, ci si accorge che gli sforzi sono ancora tutti volti a migliorare la tecnologia per estrarre più petrolio e non per dismetterlo.” Petrolio che sarà disponibile ancora per qualche decennio, ma sempre di più bassa qualità e più difficile da raggiungere.
Forse questo accade perché l’alternativa al petrolio è troppo cara? Secondo il meteorologo, l’energia rinnovabile è in apparenza più costosa solo perché non si tiene conto dell’esternalità, cioè dei danni di domani. Se questi entrassero nel computo del rapporto costo-beneficio, la bilancia penderebbe a favore delle fonti alternative, perché nel prossimo futuro i danni saranno ingenti. “Non è catastrofismo pensare che noi uomini potremmo essere così bravi da scavarci la fossa” ha affermato.
E alla domanda se l’impostazione catastrofista che entra nel dibattito sul clima sia un modo corretto per comunicare il rischio, Mercalli ha risposto a sua volta con un’altra domanda: “Chi ti mostra un tombino sulla strada e ti impedisce di caderci dentro è catastrofista? E se il tombino è troppo lontano per essere visto, ma la sua presenza impone di cambiare strada, chi lo indica è un catastrofista?”.
“Sono stati provati tutti i canali comunicativi: catastrofismo, paternalismo, ottimismo eccessivo; nessuno di questi ha funzionato” ha continuato Mercalli. È necessario oggi interrogare e mettere insieme tutte le competenze utili per trovare un modo efficace di comunicare il rischio: “Servono le conoscenze degli scienziati sociali, degli psicologi sociali, degli antropologi, dei neurologi, dei letterati, dei filosofi, perché quello che abbiamo fatto finora non basta”.
E ha citato anche il Papa, Mercalli, ricordando che nella sua ultima Enciclica il pontefice ha parlato di ambiente e inquinamento, riferendosi anche a informazioni scientifiche. La parola del Papa può essere efficace, perché “se il Papa riuscisse a fare dire a tutti i parroci che inquinare è peccato, questo modificherebbe il comportamento di un miliardo di persone nel mondo.” Ma il Papa, ha proseguito Mercalli, non deve dimostrare nulla. Gli scienziati, invece, quando fanno un’affermazione, devono dimostrarla con i dati per essere convincenti.