Secondo il modello comumente accettato, l’Universo si starebbe espandendo a un tasso sempre più rapido, trascinato dalla misteriosa energia oscura, una forma di energia ancora principalmente sconosciuta, che alcuni fisici credono permeare tutto lo Spazio. Questo modello di Universo in fase di espansione accelerata è basato sulle osservazioni che sono state premiate, nel 2011, con il premio Nobel per la Fisica. Eppure qualcuno ne mette in dubbio la veridicità. Ma andiamo con ordine.
Gli scienziati che hanno contribuito ad elaborare questo modello, tra cui Brian P. Schmidt, hanno scoperto infatti, indipendentemente, che molte supernovae situate a grandi distanze dal nostro pianeta apparivano meno luminose del previsto: esse si sarebbero quindi allontanate dalla Terra molto più di quanto avrebbero dovuto se l’espansione dell’Universo fosse stata costante. Questo indicherebbe quindi che la velocità con cui stelle e galassie si stanno allontanando le une dalle altre sta aumentando: in poche parole, qualcosa sta facendo sì che l’Universo si espanda sempre più velocemente.
Eppure, spiega uno studio pubblicato sull’Astrophysical Journal, la scoperta di una nuova popolazione di supernovae, mai osservate in precedenza, potrebbe indicare che il tasso di espansione dell’Universo non starebbe crescendo poi così rapidamente.
Il team di ricercatori, condotti da Peter A. Milne dell’University of Arizona, ha infatti scoperto che le supernovae di tipo Ia, considerate così simili tra loro da poter essere usate dai cosmologi come segnali luminosi per sondare le profondità dell’Universo, non sono poi così uniformi come previsto. Esse possono infatti essere divise in diverse popolazioni, così come, ad esempio, le lampadine da 100-watt variano leggermente in luminosità le une dalle altre. “Abbiamo scoperto che queste differenze non sono random, ma ci permettono di separare le supernovae in due gruppi,” ha spiegato Milne: “E il gruppo che è in minoranza nelle vicinanze della nostra galassia è di fatto in maggioranza a grandi distanze.”
Milne ha anche aggiunto che ci sono diverse popolazioni di supernovae che ancora non sono state identificate e che, di conseguenza, l’assunzione che le supernovae siano sempre le stesse in tutto l’Universo, su cui si reggono i modelli attuali, non è più stabile come si credeva. “L’idea su cui si regge il modello attuale è che le supernovae di tipo Ia abbiano tutte la stessa luminosità e che esplodano tutte allo stesso modo. Per questo sono state usate come sorta una sorta di pietra miliare”, ha continuato Milne.
Milne e colleghi hanno osservato, nel visibile e nell’ultravioletto, un gran numero di supernovae di tipo Ia (tramite i dati raccolti dall’Hubble Space Telescope e dal satellite Swift della Nasa). Durante la ricerca, gli scienziati hanno notato spostamenti quasi impercettibili della luce delle supernovae verso lo spettro rosso o blu, diventati visibili solo grazie all’enorme numero di osservazioni effettuate nell’ultravioletto da Swift.
Questi spostamenti nella lunghezza d’onda della luce emessa dalle supernovae sono indicativi di due fenomeni chiamati redshift (quando lo spostamento è verso le lunghezze d’onda rosse) e blueshift (meno frequente, è lo spostamento verso le lunghezze d’onda blu). Il redshift avviene quando la frequenza della luce di una sorgente, osservata in alcune circostanze, è più bassa della frequenza della luce effettivamente emessa dalla fonte. Questo accade quando la sorgente è in movimento e si allontana dall’osservatore (di riflesso, nel blueshift invece la sorgente è in movimento verso l’osservatore). Se la velocità della sorgente è molto più piccola di quella della luce, è possibile ricavare la velocità a cui la sorgente si sta allontanando dalla formula z ≈ v/c, dove z è il redshift e c la velocità della luce. In generale, questi fenomeni sono causati appunto dall’espansione dell’Universo, che crea nuovo spazio tra osservatore e sorgente, oltre che da alcuni specifici effetti gravitazionali causati da corpo estremamente massicci, come ad esempio quasar e buchi neri.
Tornando all’oggetto dello studio, più le supernovae sono lontane, e quindi indietro nel tempo, più le differenze nel tipo di esplosioni diventano chiare, un fatto che era impossibile notare quando esse erano osservate nelle lunghezze d’onda del visibile, ma che diventa percepibile nell’ultravioletto.
Gli autori hanno concluso che queste differenze di colore tra i due gruppi di supernovae possono spiegare in parte il tasso di accelerazione dell’Universo, rendendolo “meno rapido” del previsto. Questo, di conseguenza, farebbe si che la quantità di energia oscura necessaria per giustificare l’accelerazione sarebbe meno di quella calcolata in precedenza.
“I nostri dati suggeriscono che potrebbe esserci meno energia oscura di quella ipotizzata finora, ma non possiamo stimare alcun numero,” ha concluso Milne, “Per ottenere quel dato, bisogna rifare tutti i conti tenendo in considerazione le due popolazioni di supernovae di tipo Ia”.
Riferimenti: Astrophysical Journal doi: 10.1088/0004-637X/803/1/20
Credits immagine:X-ray: NASA/CXC/U.Texas/S.Post et al, Infrared: 2MASS/UMass/IPAC-Caltech/NASA/NSF