Il Turco pensante, storia e mito del più celebre automa del Settecento

    Alan Turing era un grande logico e matematico della prima metà del Novecento. È morto nel 1954, suicida. Pochi anni prima, nel 1950, aveva messo a punto una procedura, il “gioco dell’imitazione” – ora chiamata test di Turing – per rispondere alla domanda: “le macchine possono pensare?” La procedura prevede una persona seduta di fronte a una parete, libera di fare domande, che non sa se dall’altra parte del muro c’è un computer o una persona. Dalle risposte, si potrà fare un’idea: se la macchina riesce a ingannare l’interrogatore, e a passare per umano, allora ha superato il test. Potremo allora dire che la macchina pensa. Questo libro ci racconta di un marchingegno creato nel 1770 a Vienna, che per molti anni superò il test di Turing: il Turco meccanico, una macchina per giocare a scacchi che realmente era in grado di pensare e fare delle ottime partite, secoli prima di Deep Blue (il supercomputer che ha battuto Garry Kasparov).

    L’inganno del Turco

    Il Turco era costruito in legno, con una serie di meccanismi interni che ne consentivano i limitati movimenti del giocatore di scacchi. Come si evince dal nome, era abbigliato in modo da sembrare un raffinato abitante dell’impero ottomano: turbante, veste impreziosita da un collo di pelliccia, una lunga pipa. Un candelabro ornava la scacchiera cui era attaccato. Venne creato da Wolfgang von Kempelen, devoto servitore dell’imperatrice austro-ungarica Maria Teresa.

    Il Turco ebbe un’onorata carriera di giocatore: per 85 anni girò il mondo conquistando fama e alimentando leggende. Arrivò a giocare anche in America, conquistando anche l’attenzione di Edgar Allan Poe. Fu proprio lo scrittore, poi divenuto famoso per i suoi romanzi polizieschi e del terrore, a svelare la vera natura del Turco. Ovviamente, niente di più che un inganno: un uomo era nascosto nella macchina, costruita in modo da mostrare solo una parte del proprio spazio interno. Il candelabro e la pipa, accesi, servivano a nascondere l’odore della candela che consentiva la vista al giocatore celato. Un sofisticato meccanismo serviva a questi per guidare il braccio del Turco, che si muoveva con ottima precisione. Probabilmente era questo meccanismo il vero pezzo di bravura del costruttore. In più, la presentazione pubblica del Turco era sempre ingannevole. Veniva mostrato dopo molti altri automi più semplici, in condizioni di confusione, simulando sempre una noncuranza dei dettagli che veniva percepita dal pubblico come una prova di onestà. Per esempio gli sportelli del mobile erano spesso aperti e i meccanismi lasciati in vista. Insomma, la truffa era ben congegnata.

    Ben congegnato è anche questo libro, tratto da un lungo serial radiofonico che ha avuto un ottimo successo in Gran Bretagna. Scritto come un romanzo, ci porta fino al ventesimo secolo e a Deep Blue, descrivendo nei dettagli i miti di cui il Turco è stato oggetto e le sue vicissitudini, oltre che il suo segreto. Turing avrebbe forse qualcosa da dire in proposito, lui che fu il primo a progettare un moderno computer scacchista. Ma il test di Turing, con il computer che vuole ingannare l’umano, non prende in considerazione un elemento fondamentale: la predisposizione umana a credere a chi gli propone l’inverosimile, l’incredibile, il miracolo. Purtroppo, con effetti spesso ben peggiori di una sconfitta a scacchi.

    l libro

    Tom Standage
    The Mechanical Turk. The true story of the chess-playing machine that fooled the world
    Penguin, 2003 pp.274, euro 8,00

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