Mad in America

Robert Whitaker

Mad in America

Cattiva scienza, cattiva medicina e maltrattamenti dei malati mentali.

A cura di Andrea Cantini e Alice Masillo

L’Asino d’oro, 2015

pp. 379, Euro 30.00

Maltrattamenti terapeutici, e umani, subiti dai malati mentali dal 1750 ad oggi, negli Stati Uniti e non solo. Li racconta in questo suo ultimo libro Robert Whitaker, giornalista americano che da tempo si occupa delle questioni legate alla malattia mentale e al ruolo dell’industria farmaceutica. Il libro, com’era prevedibile, ha suscitato numerose critiche. Contro Whitaker ci sono infatti gli psichiatri convinti dell’efficacia delle terapie farmacologiche, e degli antipsicotici in particolare. A favore ci sono invece coloro che, diffidando della cronicizzazione delle terapie, suggeriscono per esempio come la minore incidenza della malattia mentale in alcuni paesi africani possa essere in gran parte dovuta proprio alla scarsa diffusione degli antipsicotici.

Secondo l’autore, infatti, la ricerca farmacologica mirata alla sedazione dei “matti” è oggi in pieno sviluppo soprattutto grazie al potere economico dell’industria farmaceutica. I risultati presentati ai convegni e sottoposti agli enti regolatori per la commercializzazione delle nuove molecole, continua il giornalista, sono più spesso condizionati dalle leggi del mercato che dalla reale efficacia delle sostanze sperimentate. Queste, inoltre, presentano spesso effetti collaterali gravi che si manifestano in tempi lunghi e che, secondo l’autore, non vengono sempre presi in considerazione.

Di certo la documentazione raccolta da Whitaker mostra in modo efficace come i malati mentali, più o meno gravi che siano, abbiano sempre generato paura e ripugnanza in ogni tempo e cultura. Probabilmente perché, ipotizza l’autore, le loro angosce hanno sempre messo in pericolo le abitudini consolidate della gente “normale”. Prova ne sia il fatto che gli psichiatri abbiano inventato e continuino ad inventare, dice Whitaker, sistemi di difesa e protezione dei sani, rinchiudendo i malati, sterilizzandoli o rendendoli socialmente inoffensivi, anche a costo di distruggere la loro personalità e, in senso più ampio, la loro umanità.

E infatti il libro è un susseguirsi di testimonianze e descrizioni sconcertanti. Quando la medicina pensava che la follia fosse provocata da attività “irregolari e morbose” dei vasi sanguigni del cervello, i pazienti venivano considerati alla stregua di bestie feroci e, come tali, dovevano essere domati e piegati. Salassi, purghe, alimentazione al limite della sopravvivenza… erano i rimedi terapeutici settecenteschi a cui fu sottoposto perfino re Giorgio III di Inghilterra. Nei luoghi in cui venivano rinchiusi, i “matti” erano anche costretti a docce gelide sotto dolorosi scrosci d’acqua, o a sedute su “sedie ruotanti” (cento giri al minuto), che procuravano sofferenze inenarrabili. Nei primi anni dell’ ’800 vi furono in Europa alcuni tentativi isolati di trattamenti morali (cioè rispettosi delle personalità e delle esigenze dei malati) in strutture gestite prevalentemente da medici quaccheri, ma ben presto il costo di queste strutture e il peso dell’opinione pubblica che considerava gli alienati come degli scarti sociali ne determinò la chiusura.

Anche le posizioni degli eugenisti, nella loro disumana ferocia, sono ampiamente documentate da questa ricerca, che descrive con efficacia la vita nei campi di concentramento americani dove venivano rinchiusi e spesso sterilizzati i malati mentali.

Nel tempo, continua l’autore, dalle atrocità fisiche si è passati gradualmente alle atrocità chirurgiche e infine a quelle farmacologiche, che, sotto la guida di Big Pharma, trasformano gli individui in zombi sofferenti, incapaci di volontà propria. Ma nella polemica del giornalista ce n’è anche per le agenzie regolatorie americane, condizionate da informazioni non sempre obiettive e complete sulle proprietà dei farmaci di cui hanno approvato la commercializzazione.

In un panorama così drammatico, la postfazione al libro lascia una piccola speranza terapeutica: vi si descrive un modello di cure alternativo, con un uso selettivo di farmaci, sperimentato in Finlandia. Un approccio diverso che potrebbe dimostrarsi più efficace di quelli tradizionali.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here